La minaccia ambientale


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L'ambientalismo rimane un problema nazionale. Gli ultimi decenni hanno visto grandi progressi in questo campo, dall'"Endangered Species Act" al "Clean Air Act".

A svegliare la coscienza pubblica erano stati libelli come "Silent Spring" (1962) di Rachel Carson, quando l'enfasi era ancora sull'estinzione di specie rare. Altri libri, come "Population bomb" di Paul Ehrlich e "The closing circle" di Barry Commoner (il primo a lanciare l'allarme contro le radiazioni nucleari) crearono il panico, pronosticando catastrofi planetarie che si sarebbero ritorte contro l'uomo. Stewart Brandy, un ex Merry Prankster al seguito di Ken Kesey durante i suoi festini a base di LSD, fondo' nel 1968 il movimento "Whole Earth" (fu lui a inventare il "logo" del movimento ambientalista) e la rivista "Coevolution Quarterly", divenuta poi "Whole Earth Review".

L'"Audubon Society" (fondata per proteggere le specie in via di estinzione) e il "Sierra Club" (fondato alla fine del secolo scorso a San Francisco da John Muir per preservare le foreste) si trasformarono da club per pochi eccentrici in organizzazioni su scala nazionale con migliaia di membri. Nel 1970 si tenne il primo "earth day", la giornata dedicata alla protezione dell'ambiente: venti milioni di persone sfilarono in tutte le citta' della nazione. L'umile attivista che lo organizzo', Denis Hayes, cambio' per sempre la faccia dell'ambientalismo spostando l'enfasi sull'inquinamento e unendo le forze dei movimenti underground a quelle dei borghesi abbienti. La "rivoluzione verde" era cominciata.

Ma a convincere del tutto l'opinione pubblica furono disastri colossali come quello della Union Carbide a Bhopal (dicembre 1994, 2.500 morti) e quello della Exxon Valdez in Alaska (1989, piu' di trenta milioni di litri di petrolio versati in mare). Il nuovo (giovanissimo) vice-presidente, Al Gore, e' un ambientalista, che della protezione ambientale ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.

La nazione non ha comunque aspettato che si muovessero i leader: stati come la California hanno gia' emesso legislazioni durissime contro chi inquina e stanno obbligando i costruttori d'auto a convertirsi ai motori elettrici.

L'incubo nucleare non e' ancora finito. Ha semplicemente cambiato aspetto. A Hanford, per esempio, vicino a Seattle, c'e' il pericolo di una nuova Cernobyl: le scorie radioattive dei reattori nucleari impiegati per costruire armi atomiche sono state conservate per vent'anni in contenitori inadeguati; per di piu' gli agenti chimici utilizzati per neutralizzare il materiale radioattivo si sono nel tempo decomposti in sostanze altamente esplosive. Pertanto quei contenitori sono diventati delle vere e proprie bombe atomiche, pronte a esplodere alla prima scintilla. Per risolvere il problema sono oggi impiegate 1240 persone, con un budget annuale di 500 milioni di dollari.

I contenitori sono ben 177, con un diametro medio di oltre venti metri e con una capacita' complessiva di oltre 160 milioni di litri (senza contare tre milioni di litri che sono fuoriusciti dalle perdite di 66 contenitori avariati: i contenitori erano stati certificati nel 1948 per la durata di venticinque anni, e venticinque anni esatti sono durati).

Nel 1990 la Westinghouse, la societa' incaricata dell'ispezione, rifiuto' persino di esaminare il famigerato contenitore 101SY in quanto nessuno era in grado di immaginare quale sostanza fosse stata generata dalle reazioni chimiche in corso e quanto pericoloso potesse essere l'immersione di una sonda. Soltanto un anno dopo la Westinghouse riusci' a immettere un video-registratore e il nastro di quella registrazione fece il giro delle stazioni televisive americane: fu come osservare il centro di un vulcano alla vigilia di un'eruzione.

(Per la cronaca l'allarme presso il pubblico venne scatenato quando nel 1989, in fase di "perestroika", i sovietici rivelarono che un contenitore simile esplose nel 1957 negli Urali, come da sempre sospettavano gli americani: solo che fino al 1989 nessuno aveva fatto notare come simili contenitori esistessero anche negli USA).

Sono storie ed immagini come questa a creare il nuovo livello di allarme ecologico. Ogni stato e ogni contea ha la sua piccola Cernobyl in agguato, nucleare o non.

Al tempo stesso sono innegabili i successi ottenuti dai vari programmi per "restaurare" ecosistemi in pericolo di estinzione. La E.P.A. (Environmental Protection Agency) ha un potere forse unico al mondo. Il caso piu' impressionante e' forse quello delle Everglades della Florida, che a un certo punto erano diventate una discarica chimica e oggi sono tornate ad essere il paradiso di innumerevoli specie di uccelli.

A Chicago tremila volontari sotto la guida di Steve Packard hanno trasformato centomila acri della periferia piu' degradata nella prateria che un tempo era: con i fiori e gli alberi sono tornati anche le farfalle e i falchi. E indubbiamente nessuna nazione ha investito tanto quanto gli USA nell'auto elettrica (nel 1994 un'auto della Solectria ha compiuto quasi 400 km senza fermarsi).

A meta' degli anni '90 il panorama psicologico e politico sta pero' cambiando. I conservatori hanno buon gioco a convincere larga parte del pubblico che le leggi per la protezione dell'ambiente sono troppo severe, e talvolta finiscono per ritorcersi contro il genere umano. La California, che era stata all'avanguardia nella legislazione ambientalista (il primo parco nazionale fu Yosemite, nel 1864), e' anche la prima in cui si fanno sentire le contraddizioni del caso: val davvero la pena di proteggere i leoni di montagna per essere poi sbranati da uno di essi, com'e' successo a una donna che stava correndo nelle colline dietro casa sua in California? E, soprattutto, ha senso perdere tante fabbriche, che preferiscono emigrare in stati meno schizzinosi, in un momento di crisi economica?

Un attacco non meno duro viene da sinistra. I movimenti ambientalisti tradizionali, come "National Wildlife Federation" e "Greenpeace", dominati dal ceto bianco abbiente, rappresentano talvolta un atteggiamento molto egoista e razzista. Il loro scopo principale e' spesso quello di proteggere non la Natura ma gli eleganti quartieri dell'alta borghesia. Vogliono essere certi che non si installino discariche nei pressi delle scuole dove studiano i loro bambini.

Il fatto che poi quelle discariche vengano spostate nei quartieri poveri (come infatti successe per tutti gli anni '70), poco importa. Negli anni '70 era gia' evidente che il pericolo di inquinamento nelle zone residenziali dei bianchi era praticamente nullo, mentre i ghetti neri e ispanici, ignorati dai movimenti ambientalisti, stavano scendendo al di sotto del livello di vivibilita'.

Negli anni '90 l'ambientalismo perde cioe' il suo carattere aristocratico e globale e diventa un fatto piu' populista e locale. I gruppi di attivisti tendono a raccogliersi attorno a un problema molto specifico del loro quartiere. Il loro scopo e' quello di salvare la vita di esseri umani, non quella di uccelli e farfalle. Ed e' allora che il movimento ambientalista diventa un fenomeno inter-razziale. Non solo: di colpo il numero delle donne coinvolte in queste lotte supera quello degli uomini. E si scopre allora che la priorita' forse non e' salvare le aquile dall'estinzione ma migliorare le condizioni igieniche dei quartieri in cui ogni anno muoiono decine di bambini.


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