Mia madre e' di nuovo malata:
non dorme la notte.
E' allungata sulla poltrona per riposare meglio,
senza perdere di vista il giardino; i suoi occhi
si posano su di me e scappano via subito.
Sotto tutti quei capelli bianchi,
trova il modo di sussurrare:
"com' e' bella la primavera !";
e sembra un rimprovero;
mi sento come se fossi di nuovo bambino,
a inventar giochi in cortile tutto il giorno,
e lei mi stesse gridando di non correre
dal balcone di casa.
Di la' dai vetri sembra tutto diverso.
Non ho ancora ripreso confidenza con casa mia;
da quando sono tornato non provo nulla,
per niente e per nessuno.
Mia madre passa il pomeriggio a confabulare con il sole;
ogni tanto da una frasca di quel viso taciturno
sbuca fuori un uccellino impazzito.
Cogli occhi soltanto piu' socchiusi,
mia madre sospira profondo,
china il capo sul petto, e si addormenta.
La ruota del tempo riprende a cigolare,
torcendo fili di nomi e di cose
nascosti in fondo al cuore, ciascuno tirato
da una diversa direzione, e qualche volta
sembra che non ce ne possano stare piu',
tanto e' stipato e confuso il groviglio,
e vien voglia di tagliarli via tutti,
e scappar lontano da quel cigolio,
senza neppur badare se si ferma o continua.
Sono tutti lontani adesso;
non ho piu' niente da fare,
solo andare in ufficio e tornare casa;
e' tutto cosi' lontano adesso.
Ma quella sera, uscendo coi mille altri,
nel clamore dei saluti, e nella fretta di tutti,
stavo per perdere me stesso;
quella sera non riuscivo proprio a pensare "domani",
forse non ero neppure vivo, non del tutto.
Scesi quelle scale, le stesse di ogni sera,
chiacchierando, scherzando; autunno,
il primo dopo quell' estate.
Quella sera l' aria fredda, un sole malato,
il brusio forsennato dell' uscita ...
mi sentivo come i bambini innocenti puniti
per qualcosa che non hanno commesso,
che strisciano in terra frignando forte
da mozzarsi il respiro, quando sognano
di essere morti, distesi supini dentro una bara,
davanti ai crudeli che ora li piangono pentiti.
Da una finestra l' ho visto, ogni sera,
da una fessura, viene e va con le stelle:
un frammento di tutto; ombra nello spazio,
un viluppo di ombre, inestricabile.
Voglio anch' io la mia stella,
un punto in cielo che butti luce
nei miei occhi ... il resto e' vita,
e' vita minuta d' ogni giorno.
Salvo la morte: la morte spegne
tutte le stelle.
Qua non e' che una foresta in fiamme;
un cielo buio, lambito dalle punte scarlatte;
la luna pesta; e un fumo vuoto per l' aria,
roteano schegge e foglie accese.
C'e' intorno odore di radici arse
e perse per sempre, ceneri sul terreno sterile.
E io, voltato dall' altra parte alla terra salva,
chiamo, gridando, e ripeto, ripeto quel nome:
nessuno risponde.
Mi giro e cammino; scompaio nel fumo,
come un demone che torni al suo inferno.
Mi fermo, esausto dopo la corsa,
in fondo a un vicolo chiuso;
e davanti a me uno specchio
riflette quel nome !
Una distesa di foglie mosse da un cuore nascosto,
una favilla in un punto, stella piccina;
un soffio, un crepitar di venti, un falo' ...
soli che si accendono, divampano per brevi eternita',
e tacciono gia' morti, relitti, orbitanti
attorno a un centro di cui nessuno sa.
"E' l' ultimo giorno
di questa mia vita
ultima vita
voglio morire
per l' ultima volta
non svegliarmi piu'
lascia che dorma
coi miei sogni
per tutto il tempo
che ci vorra'
a disfare il mio corpo
questa volta
non potrai dire
che sono arrivato
tardi
non so piu' chi sono
mi faccio paura
le mie risa bruciano
in fondo agli occhi
di tutto quel nulla
che chiamate vita
ho un solo rimpianto
di non aver pianto
la vergogna
di non essere stato
niente per nessuno.
"Non abbiamo
bisogno di te !"
Bisognerebbe avere
un cuore in piu'.
"Tu sei l' unico ad aver capito che io vivo soltanto
per vendicarmi di tutto cio' che non ho mai avuto,
di tutti coloro che non mi hanno mai degnato di uno sguardo,
di tutto un mondo che ho fatto finta di ripudiare
per non dover ammettere di essere stato ripudiato,
tu hai capito che io non diventero' mai niente,
che restero' solo per sempre con i miei sogni
e che un giorno comincero' ad odiare anche quelli,
e cio' che verra' dopo non hai avuto il coraggio di dirmelo,
ne' io ho il coraggio di scriverlo.
Neppure volendo riesco a vomitare
tutto il disgusto che ho dentro;
ho paura di quando avro' finito le parole,
e non avro' piu' voglia di scrivere.
Di tutta la mia vita cosa mi sara' rimasto ?
In questo mondo non ho nulla di mio;
un granello di sole per i miei occhi;
sono stanco di questo silenzio;
che colpe ho commesso per meritare tanto silenzio ?
E' come se tutto il mondo mi avesse sputato addosso
ogni mattina appena alzato.
Non ho nemmeno la forza di urlare.
Tu sai che io sono pazzo: pazzo di odio,
pazzo di paura, pazzo di malinconia,
pazzo d' amore.
Non ho nessun buon motivo per svegliarmi domani.
Forse di te non sapro' piu' niente;
scomparirai come tutti gli altri;
e io avro' un fantasma in piu' da commemorare;
ma forse non sei mai esistito;
e io sto soltanto facendo finta
di scrivere questa lettera".
La luna brucia: del fumo verdognolo
copre le stelle.
La luna piange sui tetti.
La luna cade, cade ...
e i muri sono imbrattati di lei.
Voler bene a qualcuno in un buco
mille chilometri sotto terra.
La luna ciarla burlona nel mucchio dei sogni.
La luna s' infila nel bosco; un uccello impaurito
le ringhia dietro da un tronco cavo.
La luna respira fra i rami;
si butta sull' erba, gonfia.
La luna e' un sole diroccato,
o un' ombra con le ali.
La luna attraversa i paesi e le citta'.
Ascoltare l' agonia del vecchio mondo che muore,
e milioni di animaletti sbuffanti che divorano
a piccoli morsi la carcassa del gigante.
La luna e' una fiamma, un lampo che deve ancora cadere.
Crepita un incendio nella mia mente:
sono pieno di rancori bambini;
e' il terrore della vita,
il terrore di stare aspettando
qualcuno che non verra' mai.
Luna, sento battere il tuo cuore
sotto una coltre di soli.
Sei viva.
Sento il tuo fiato sui miei capelli
quando corro solo per le strade dell' orizzonte,
quando mi fermo sull' orlo dell' arcobaleno
a contemplare l' abisso di stelle.
A tratti mi sovviene il sorriso
leggero leggero dei tuoi occhi,
a tratti indugio incredulo su quel frammento;
lo mescolo alle altre cose, umili e buffe,
che non finiranno mai.
E, senza saperlo, ti rincorro anch' io,
per quei mari di sentimento
che non ho ancora ben capito.
Siamo, un po' tutti, farfalle,
sciupate in un deserto senza colori,
che rimediano giocando al loro malinconico destino;
ridono, schiamazzano, ruzzano traballando nell' aria,
ad ogni colpo d' ali rischiando di cadere.
Respiri.
Ti dico in silenzio tante di quelle cose inutili
che sembrano rimpianti e sono speranze.
Mi rispondi a schegge, a gocce, a granelli;
e respiri piu' forte che mai.
Com'e' fioco il ronzio della vita!
Una tua carezza lacera improvvisa
la distesa dei soli, come un morso.
E' uno strazio il tramonto.
In quella carezza c'e' il mondo;
ma quale ?
"... ho pensato di scriverti, adesso ..."
Negli ultimi tempi sono sprofondato
nella piu' cupa malinconia.
Ho la testa piena di pensieri ossessionanti,
come tanti martelli azionati da uno stesso
ingranaggio che battano tutti insieme.
E' tutto buio, dall' alba al tramonto,
Uno di questi giorni moriro',
e tutti verranno sulla mia bara a piangere;
ma io, anche morto, saltero' fuori all' improvviso,
e li inondero' tutti con il mio sputo ...
Ci sono momenti che penso di aver capito tutto:
quel che mi fa piu' male e' ridere.
Non mi consolava il pensiero
che altri sapessero quel che provavo.
"Ho scritto questa lettera per dirti...
che non cambiero' mai, e che, se potessi, lo rifarei."
Avevo rovinato tutto.
Mi erano bastati pochi giorni.
L' avevo fatto quasi senza rendermene conto.
E lei ... lei non avrebbe perdonato.
Quando parla lei, sembra che parli il mondo;
ha una voce che puo' trafiggere una vita intera.
Io parlo sempre a bassa voce,
ma con lei sussurro quasi.
L' avevo fatto, e ne avevo paura;
mi aggiravo muto nel suo mondo,
sepolto nella sua memoria come da un macigno.
Mi sento cieco quando fisso il cielo,
un cieco solo sul ciglio del sentiero
ai margini del bosco nel cuore della notte,
mentre dall' ombra escono e s' avvicinano
i versi delle bestie, freddi, senza fiato,
e il terrore sbarra le mie vane pupille.
Dal sonno riemerge un sorriso randagio.
Sono ai margini della vita.
Io strillavo forte, e tu non mi dicevi nulla,
meravigliosa come sempre.
"Non so proprio come chiederti scusa;
e pensare che non ti conosco neppure".
Lasciavo un segno sulle zolle anch' io,
ma un segno che scemava di passo in passo.
"Ho cercato a lungo le parole per dirti qualcosa:
ne ho trovata una sola".
Ansavo sul ciglio della discesa, senz' appiglio.
"Perdonami: non e' facile vivere e, allo stesso tempo,
essere innamorato di un sogno;
spero di non aver fatto del male a nessuno".
Ma tutto cio' che le avevo detto
era soltanto quella parola infinita.
"Vorrei tanto aiutarti, ma temo
che sarei soltanto d' impaccio nella tua vita".
Sognavo ad occhi aperti il suo cuore,
tutti i giorni in silenzio.
"Ho paura di cosa penserai;
non mi sono mai vergognato tanto."
Mi torco le mani, e strillerei di nuovo,
se sapessi che qualcuno mi ascolta.
"E tu cosa starai facendo mentre io passo le mie notti
a scrivere il tuo nome ?"
La verita' e' che aspettero' ancora tutto solo,
arrossato dal mio incendio.
"Com' era bello credere in te !"
Il mio segno consunto era li' sulla terra,
e io stavo un po' piu' avanti, fermo.
"Ho scritto trentamila volte il tuo nome:
io sono questi fogli, tutto cio' che avevo da dirti."
Da questo mondo non si torna.
"Ho paura di quando smettero' di scrivere il tuo nome,
e saro' di nuovo solo coi miei sogni;
cosa faro' in tutto quel silenzio ?"
Una grossa lacrima brilla in cielo,
sulla guancia dell' infinito,
e scende piano piano:
e' il sole che naufraga all' orizzonte,
e gabbiani cantano a squarciagola.
E fra i rami del giardino
frusciano i primi fantasmi.
Quando lei mi guarda, sembra
che tutto il mondo mi guardi.
Scendevo le scale ben sapendo
che arrivato in fondo sarei morto.
Un morso continuo mi serrava la gola,
e impediva al respiro di liberarsi.
Scendevo adagio, mentre gli altri
mi sorpassavano in fretta, spingendo e vociando.
Lui riprese a parlare, peraltro
senza convinzione, del paese, dei suoi.
Mi sbottonai il colletto della camicia
per respirare meglio; forse non stavo
neppure tanto bene, da giorni digiunavo.
Trascinavo il mio povero strascico
giu' per quelle scale, l' anima fasciata
dalle parole che pensavo le avrei detto
se l' avessi incontrata adesso.
Trassi di tasca un fazzoletto
per pulirmi il volto, e mi arrestai un momento;
dovevo essere pallidissimo,
perche' mi guardo' tacendo
e finse un sorriso benevolo;
mi mancarono le parole.
Una folata di immagini
spazzo' il mio cervello, ma attizzo' l' incendio.
Procedevamo fianco a fianco, zitti.
Mi si strinse il cuore,
al pensiero di quell' ultimo gradino,
sfocato e tremolante, come in sogno.
Sentivo che il tumulto non si placava,
la gente sgusciava sotto di noi,
veniva inghiottita nei gorghi delle rampe.
Cara morte,
cara amica
senza voce
ch' accompagni
i miei passi
quando varco
col cuore in fiamme
il recinto azzurro
di casa mia
e m' inoltro
nelle strade deserte
qualcosa stasera
ha cambiato
le tue rughe
non riconosco
il tuo volto
cavo nel buio
come invecchi
cara morte
non mi spaventi
piu' adesso lo so
che sei buona
cara morte
non temo piu'
i tuoi artigli
il mantello nero
le folate di ricordi
la fitta schiera
di angeli neri
vieni vieni
qui con me
mostra anche a me
le piaghe infette
e lasciami
accarezzare
le orbite vuote
cara morte
sei brutta
e buona quasi
quanto me.
Con un filo di respiro salutai qualcuno,
con un po' di quel respiro in gola
cercai di ricordare un' altra sera.
Ero acquattato in un angolo del pianerottolo,
al fondo di una branca di scale e a capo di un' altra,
riparato dall' ombra che un finestrone polveroso
incupiva e macchiava, e me ne stavo ben fermo nel cantuccio,
sperando che quelle forme avviluppate,
imbrogliate dalla fretta, e inselvatichite dalla noia,
passassero senza vedermi.
Portavo ancora i calzoni corti,
ed ero vestito a festa.
Il lungo vomito convulso
lambiva la punta delle mie scarpe
ed io, raccapricciato, non potevo che stringermi
piu' forte le ginocchia al mento,
e alzare lo sguardo di tanto in tanto
per vedere se scemava.
A un tratto la luce si spense, o fini';
e d' incanto il frastuono muto' in silenzio assoluto,
e io non sapevo se ero rimasto solo,
ed era tutto finito, o se gli altri erano ancora li',
acquattati zitti e immobili.
Nel punto in cui batteva la luce del finestrone
non c'era nessuno.
Attesi qualche istante che tornasse la luce,
poi cominciai ad avere paura.
Non osavo tastare il pavimento, non osavo chiamare;
neppure alzarmi in piedi, perche' il bagliore del finestrone
mi avrebbe inondato; ne' respirare.
Dietro di me c'era un muro, e davanti un chiarore fioco
di polvere danzante; e forse tutt' intorno
c' erano loro, con le spente pupille fisse
su quell' inerme fagotto di paure che ero io.
E forse si stavano avvicinando, chi strisciando carponi
chi in punta di piedi, senza farsi sentire,
e il cerchio si stava stringendo ogni istante di piu',
e presto avrei intravisto i loro artigli
fendere la nebbiolina del pianerottolo,
e sarebbero penetrati nel mio cranio dalle orbite ...
Aspettavo la condanna, come un assassino
accovacciato nella branda della cella
aspetta di sentire i passi del boia,
ma essi non venivano, mi lasciavano morire di terrore.
Tendevo le orecchie a ogni minimo scricchiolio,
cercavo con gli occhi ben spalancati,
il profilo della ringhiera.
Aspettavo che una voce uscisse dal nulla e venisse,
sussurrando la formula, a girarmi intorno come una luna.
Ero preso da un terrore convulso, la lingua secca schioccava
contro il palato ogni volta che mandavo giu' la saliva,
sudavo e le gocce correvano da tutte le parti,
lungo la schiena, le gambe, il volto,
e, col naso imperlato ritto verso l' alto,
gelavo, squassato dai brivivi.
Mi desto' qualche minuto piu' tardi
una nuvola sottile di fumo,
che serpeggiava sotto il mio naso
prima di perdersi in alto, nel buio.
Veniva dalla mia destra, riconobbi subito il profumo di tabacco.
Tornai in me, coi sensi di nuovo accesi dalla paura.
Ero madido di sudore, intirizzito,
col formicolio alle gambe, e la febbre mi bruciava gli occhi.
Per quanto mi sforzassi di sentire rumori,
non percepivo nulla.
Cresceva in me la tentazione di gridare,
chiamare aiuto; ma per farlo dovevo essere ben certo
che qualcuno mi avrebbe sentito.
Speravo nel cigolio di una porta, in un passo
nel corridoio, e, piu' di tutto, in una voce.
Quando mi fui riabituato del tutto all' oscurita',
cominciai piano piano a girare il capo verso destra,
facendo ben attenzione che le ossa non scricchiolassero.
Il fumo ammorbava l' aria.
A meta' del movimento distinsi il chiarore,
non piu' di un metro distante da me,
che si attizzava e rimpiccioliva a scatti;
era alto, percio' in piedi con la sigaretta in bocca.
Un lampo disegno' la sua sagoma,
e una nuvoletta piu' paffuta delle altre
si stacco' e si libro', si sfece.
Mio padre prese la sigaretta fra le dita,
ammicco' e mi domando' se avevo sonno.
E poco piu' in la', dietro il muro,
c' era il prato, fatto di cielo e di vento:
il cielo colorava il ruscello, e segnava i confini,
il vento muoveva l' erba a onde, e alzava un polverone di piume
che si spappolavano in aria;
il terreno dentro il cavo del tronco
era cosparso di aghi caduti dai rami,
di funghi e di radici traboccate dalla terra.
Un altro tramonto spazzava il cielo
e zittiva il vento.
Un colpo di tosse mi squasso',
con un brivido che corse dalla testa ai piedi,
e rovinai in frantumi sul pavimento,
sfavillando nel sinistro tintinnio.
Sul palmo dell' infinito avvizziva
il fiore senza stelo.
Mi sedetti poggiando la schiena contro il tronco,
e chiusi gli occhi per addormentarmi.
Da un ramo si mosse un' ala, frusciando,
e strillo' due volte; non sapro' mai perche'.
Da una fessura tornai nell' onda che scendeva le scale.
Il mio cuore aveva messo radici nella pietra
e succhiava la linfa nera;
solo una piega del cuore trepidava ancora.
La luna e' il guscio da cui sono uscite le stelle.
Ogni cosa su cui posavo lo sguardo era coperta
di chiazze giallastre e grumi grigi.
Pensai che non avrei mai camminato tenendola per mano;
ma erano pensieri che incominciavano
esili e diritti nella mia mente,
si gonfiavano cammin facendo, rotolavano lontano da me,
si perdevano, e alla fine affondavano
dentro una pozza di nulla.
Io avevo amato una stella troppo lontana,
e tante sere l' avevo gridato alla luna,
lei segno di un bacio che luccica da sempre
su quella guancia.
Quando non ero piu' stato capace di reggere il suo sguardo,
avevo scritto alla memoria di un sogno,
rovesciando, con la bocca serrata,
bave di rancore contro di lei
e contro il mio cuore; sfogando nell' angolo buio
il brusio di conchiglia che m' era rimasto dentro la testa,
e i guizzi di luce nel cielo scomparso
che picchiano con la punta contro i vetri.
Su quell' ultimo gradino
davo l' addio a tante delle mie cose;
abitudini forse; promesse.
"Ti ricordi quella sera
un anno fa
la gente era corsa via
per la strada
eravamo solo noi
senza casa
avevamo quella notte
le parole
per nascondere il sonno
voglia pazza
di una vita senza giorni
ti ricordi
di quell' alba improvvisa
che non volli
quella che m' indicavi
senza pieta'.
Non arrivero' mai a Camelot
ho cambiato strada all' ultimo bivio
ho finto di sbagliare direzione
cosi' se tu avrai piu' fortuna
non aspettarmi
non so dove sto andando
spero soltanto
di non arrivarci mai."
Un occhio risucchiava il mondo.
Il gigante aveva nel cavo della mano un piccolo uomo,
avvolto alla vita in una pelle striata e a torso nudo,
che reggeva sulle spalle una pesante clava, e camminava assorto,
inerpicandosi sui calli e scavalcando a balzi
le linee scoscese della vita e della morte e quante altre
correvano a piccoli stormi dal polso alle dita.
La sua lunga chioma bionda, sfiorata dall' alito del gigante,
danzava in disordine nell' aria, e di quando in quando
ne riavviava con la mano libera le ciocche che ricadevano sul viso.
Marciava ormai da molte ore per quella valle misteriosa,
cosi' deserta e afosa per chi, come lui,
veniva dalla parte pelosa e ombreggiata della mano.
Si fermava dietro un dosso senza fiato, si puliva
con il dorso del braccio la fronte imperlata di sudore,
alzava lo sguardo all' occhio rovente del gigante
che offuscava con tanta luce il resto del cielo.
Nessuno era mai passato da quest' altra parte,
sia per timore di quell' occhio che da sotto non si vedeva,
sia per il disagio di camminare a testa in giu'.
Passo', rapido e veemente, un soffio;
l' omino con la clava si rannicchio' dentro una ruga,
e attese un po' sinche' fu certo che era finito.
Si tiro' fuori facendo leva sui polpastrelli,
e fece per rimettersi in cammino, ma un altro soffio,
piu' forte, lo scaglio' in terra prima ancora
che potesse muovere un passo.
S' accorse allora che tutte le ombre s' erano allungate,
che l' occhio di fuoco si era abbassato;
e voltandosi piano piano se lo vide vicino,
enorme e minaccioso.
E ancor piu' lo spavento' il buco di cielo
che, proprio sopra la sua testa, si stava gonfiando in fretta,
e che si sarebbe certamente sgonfiato con una folata immane.
L' omino capi' cio' che l' aspettava e balzo' su nudo com' era,
perche' la pelle era volata via, e prese a brandire la clava per aria,
a inveire con la bava alla bocca e la mente gia' buia.
La luna e' una gobba del cielo,
e le stelle sono briciole di luna.
La luna e' un morso.
La luna si scioglie e le stelle sono gocce.
Era come se lei stesse in cima alle scale,
e, sporgendosi dalla ringhiera, mi cercasse
in mezzo ai corpi ammonticchiati la' sotto;
e io mi nascondessi per farle dispetto;
e, al vedermi cosi' bambino, un sorriso postumo
le inondasse il viso, le labbra, gli occhi.
Le gridavo: "non andare via!",
ma lei non c' era gia' piu',
e io scendevo, scendevo, col capo affondato nel petto,
caracollavo qua e la', spinto dalla folla,
vacillavo sui gradini, mi aggrappavo alla ringhiera,
e nel farlo mi sporgevo quel tanto che bastava
per scorgere l' ultima rampa in fondo;
allora balzavo indietro inorridito,
con la lingua che sapeva di sangue.
La luna e' un cuore morto nel cielo.
Era finita, finita! Pochi minuti ancora ...
Avrei voluto esumare la salma putrefatta
di un ricordo piu' bello, mi si polverizzo' fra le dita.
Non sapevo la mia eta', ne' il nome,
ne' da dove fossi venuto, con una clava a tracolla.
Ero un fantasma e mi muovevo senza vita
in un mondo di morti.
La voce ronzava intorno;
i suoi occhi fissavano i miei e aspettavano.
Gli dissi:
"La luna e' un sasso scagliato contro il sole.
Per me la vita e' stata un inganno,
mi hanno raggirato il vento d' universo
che trascina il sole, il mare di stelle
che luccica ad onde, e la risacca del dolore
che m' impedisce di avvicinarmi e coglierne qualcuna,
il pallido mattino di quest' atroce eternita',
deserto di cuori, oceano dirompente di caso,
i fili incantati della pioggia, fatti di nulla
e di riflessi malinconici d' autunno,
le notti che chiamano, bisbigliando infiniti dagli scogli,
uno stelo reciso dentro l' arcobaleno,
e un matto sulla spiaggia che innalza
castelli di sabbia dove arrivera' l' alta marea.
E davvero avrei voglia di scagliare un sasso contro il sole,
che restasse per sempre in aria, minaccioso.
E vorrei essere quel sasso."
L' aria dei suoi occhi, annacquata dall' autunno,
si tinse di noia, perche' ripetevo balbettando
sempre le stesse cose.
Assorto, o impigliato in un pieno di roghi spenti.
Forse setacciando la melma del suo fiume aveva trovato
qualche granello che assomigliava ai miei.
Si riempi' gli occhi di un sospiro profondo:
la sua mente solcava ancora a vele spiegate
quei mari turbolenti in cui affogare
e' un modo per tornare a riva.
Seguendo la scia, l' affanno si chetava;
neppure mi guardo'.
Scendevamo zitti fianco a fianco.
Mi strinse il cuore la pieta' per gli altri,
per tutti coloro che erano sopravvissuti.
Questo fuggire di sonno in sonno non poteva essere vita,
con l' anima dentro morta di tedio e un infinito sulle spalle,
terribile e bello, ombra che col suo peso spegne
anche gli ultimi fuochi, e con un filo di voce prigioniero in gola,
che non sa uscire e cercar scampo fra la folla delle strade
il giorno di vacanza a zonzo senza meta torcendo il cammino
in spire sempre piu' curve, sempre piu' simili ad artigli...
e il cuore pesante, il cuore una roccia,
una montagna che nessuno puo' spostare.
Il guscio lampeggia di tanto in tanto,
fa capolino un becco, e non vale aspettare altro.
Le stelle sono una collana di pietre preziose,
e la luna un ciondolo.
Verra' mai l' alba di tanta notte ?
Quanto tempo era passato dal giorno in cui,
senza alzare lo sguardo, avevo risposto a bocca chiusa:
"e' la mia vita, e la difendero' con i denti e con le unghie!"
Guardo la mia faccia: il gelo nelle pupille,
la lingua asciutta e tremante, la memoria stinta,
e un rombo sordo per il cuore, cenci di pensiero
raggomitolati sotto la volta squarciata.
Il profumo della vita, il fondo della vita,
non ho mai avuto il coraggio di alzare il capo e guardarlo.
Tra il fumo dell' incendio crepita la mia vita.
E per la mente devastata corrono rigagnoli di sogni,
e precipita dritto sul mio futuro un urlo sterminato,
l' ombra nera del gigante.
Rivedo in un lampo la soglia di casa mia ...
e' finita per sempre.
Avevo scritto anche una lettera, persa per strada
prima di riuscire ad imbucarla.
Com' era bella quella stella: piccola e azzurra,
un viluppo di azzurri!
Davanti a me, improvvisa come l' aurora,
si stagliava l' ultima rampa, e, in fondo, la fine.
Una rampa sul nulla.
Ruzzolavo giu', sbavando rimpianti.
Spiccavo giorni dalla pianta,
roteando intorno lo sguardo impazzito e cieco.
Un frullo d'ala e la voglia di sempre, la voglia di volare;
bambino mi sentivo escluso dai giochi delle rondini,
mi accucciavo su un sasso caldo, sotto il sole rosso
dell' estate, e sentivo crescere l' ansia di vivere,
una lagna che con gli anni si sarebbe affievolita,
finendo in un soffio.
Nel nulla aspettiamo che la nebbia si alzi,
per vedere in quale mondo dovremo vivere,
e quando finalmente ...
Sentivo crescere come un rimpianto di non aver
avuto da questa vita ...
Lasciavo le mura del carcere che avevo imparato
persino ad amare, e sentivo le voci
che gemivano lungo il cammino, e sembrava
che mi chiamassero per avvertirmi del pericolo...
da un posto in fondo al mondo.
Non ci sara' un altro mattino,
un altro sorriso di sole al risveglio,
un altro raggio infisso nella rugiada
sul palmo della mano, nessuno piu' vedra' ...
Inseguono me, ma non mi raggiungeranno in tempo:
loro non sono piu' in tempo per nulla.
Spingere l' uscio col timore di scoprire cosa c'e' dietro;
e d' improvviso un soffio gelido irrompe in uno sbattere d' imposte,
e come per incanto la casa e' sempre stata aperta
e dentro non c'e' mai stato nulla.
Quel sorriso che i miei occhi non lasciavano piu'
l' avevo perduto per una parola che non seppi dire,
per una bolla di sapone che non seppe levarsi in volo.
Ed ora, con le labbra sfasciate dall' ultimo dei miei silenzi,
le guance scavate dall' inedia del rimpianto,
stavo in piedi su quel gradino,
che tutti avevano sceso senza chiedersi perche';
e rivedevo proprio il suo sorriso, decrepito e sbiadito
come ogni cosa che muore d' autunno.
Un trucco stinto, scampoli d' estate che mi gonfiavano il cuore...
la mia vita l' avevo passata a strappar poesia dal nulla;
la voce mi manco', e mi sentii svanire nella nebbia,
come ogni cosa che muore d' autunno.
"Si dice che non si arriva mai, e invece .."
e invece eravamo sull' ultimo gradino.
Pensavo: "che strano: ha il sapore del suo sorriso!
il fiume, il ponte, la guerra che combatti,
le giornate in cui ti nascondi, l' odore del bivacco
e il perdersi delle cose, la nostalgia,
la brezza sulla soglia, il mio ultimo respiro..."
ogni cosa per strada e dappertutto.
L' universo e' un formicaio di stelle.
Un' ombra opaca al mio fianco mi tocco' sulla spalla.
Mi saluto', gli risposi, e se ne ando', per altre scale,
lasciandomi solo, in bilico.
E gia' piangevo: "tanto mi ha dato il mondo
tanto gli rendo io: gli devo soltanto la vita".
Misero, e sconfitto dai mostri che avevo rincorso e ucciso,
trascinando al suolo l' innocua spada, calpestando
le armature diroccate e vuote sparse in terra,
arrancando, stremato dopo la cruenta battaglia,
sulla crosta, neppure scalfita, del mondo,
sferragliando sul terreno polveroso con la corazza bucata
e l' elmo tutto ammaccato, sudicio di sangue e di fango,
idiota come sempre ero stato, mormorai:
"oggi e' il piu' bel giorno della mia vita".
E scesi anche l' ultimo gradino.