Summary.
"Big beat" was pioneered by
the Chemical Brothers, i.e. "Madchester" veterans Tom Rowlands and Ed Simons, whose Exit Planet Dust (1995) and Dig Your Own Hole (1997) recycled overdoses of funk, heavy-metal and hip-hop, confusing the languages of Public Enemy, Kraftwerk and the Stooges.
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I Chemical Brothers,
ovvero i vecchi Dust Brothers
Tom Rowlands e Ed Simons (conosciutisi alla Manchester University nel 1989),
si presentarono con
Exit Planet Dust (Junior Boy's Own, 1995 - Astralwerks, 1995)
nei panni di divulgatori delle
nuove ritmiche da discoteca. Ne furono in effetti pionieri, in qualita` di disc
jockey nella "Madchester" di inizio decennio. La miscela di rock e acid house
che misero a punto come "dj" e` appunto l'asse portante di questo album,
un album di musica (prevalentemente
strumentale) elettronica come non se ne facevano dai tempi dei Kraftwerk.
Il nuovo sound coniato dai due rimescola overdosi di funk, heavymetal, jazz e
hip hop, come in un caotico collage di pop art.
La prassi si ripete monotonamente dall'inizio alla fine: campionare battiti
di hip hop, mandarli in loop, avvolgerli in volute di sintetizzatori, condirli
di schitarrate vetrioliche. Va loro reso atto di farlo con un piglio
surreale e demenziale, che stravolge in maniera piacevolmente folle
il funk galattico del nuovo singolo Leave Home (destinato a rimanere
uno dei loro capolavori) e
l'incalzante In Dust We Trust.
L'album contiene anche il loro primo singolo, Song To The Siren, costruito
attorno al campionamento di una voce femminile, che qui
sfigura un po' a confronto delle produzioni piu` professionali dei nuovi brani.
La loro vareieta` di futurismo trionfa nella progressione siderale di
Chemical Beats, fra cacofonie alla Public Enemy e riff petulanti di chitarra,
e mostra un minimo di erudizione nell'approccio
un pochino piu` industriale e progressivo di Playground For A Wedgeless Firm.
Il disco ritrova emozione e cervello verso la fine, con i due strumentali
piu` pacati (quasi new age One Too Many Mornings,
con i suoi gorgheggi angelici e i suoi lenzuoli di elettronica, quasi ambientale
Chico's Groove, con la sua melodia in trance); e con i due brani cantati,
che usano voci d'autore per comporre ballad psichedeliche:
il mantra malinconico di Alive Alone e Life Is Sweet, affusolata e decadente
alla Stones And Roses.
Come cambiano i tempi: non molti anni prima Jarre veniva lapidato dalla critica
per dischi di musica elettronica come questa.
Dopo l'album usci` anche l'EP Loops Of Fury (Astralwerks, 1996),
di qualita` (ballabile) forse superiore (certamente piu` martellante e
violenta), grazie a tre numeri irresistibili come
Loops Of Fury, Breaking Up e Get Up On It Like This.
Dig Your Own Hole (Astralwerks, 1997),
il secondo, attesissimo, album del duo piu` celebre del techno mondiale (davvero
le uniche superstar del genere) riparte dai loro esordi, dalla fusione fra
ballabile e rock. Il singolo Block Rockin' Beats propone una miscela esplosiva
di campionamenti fantasiosi alla Public Enemy e di sincopi sismiche e rumori
violenti. L'armonia di tutti i brani e` costruita in maniera certosina,
accentuando il senso di artificiale che il loro meticoloso montaggio ha sempre
conferito alle musiche. Le chitarre sono in primo piano e i ritmi fanno
palesemente il verso al primo hip-hop di New York.
Gli otto minuti di Elektro Bank sono emblematici del programma del disco
con le continue metamorfosi dell'arrangiamento attorno a una complessa cadenza
poliritmica. La fanfara interrotta e riciclata all'infinito di Piku e` un
saggio di equilibrismo armonico da parte di due consumati attori del
campionamento. La metronomia demenziale di It Doesn't Matter ha la stessa
funzione sul fronte della sperimentazione ritmica.
Talvolta l'eccesso di eventi sonori finisce pero` per nuocere all'identita`
del brano (la title-track affoga fra glissando "hendrixiani", sirene,
tribalismi africani e pulsioni funky) .
Ancora una volta, verso la fine il disco acquista compostezza e serieta`,
con una Where Do I Begin cantata in maniera folk da Beth Orton e un
monumentale, trascinante raga dell'assurdo come Private Psychedelic Reel,
summa della loro arte di puzzle (in collaborazione con i Mercury Rev), capace
di citare il mistico minimalismo di Terry Riley e le dissonanze scrobutiche
di Morton Subotnick.
Il culmine dell'operazione, e forse della loro carriera, e` rappresentato
da Setting Sun (Astralwerks, 1996),
un singolo spettacolare (Noel Gallagher degli Oasis al canto)
che decostruisce la Tomorrow Never Knows dei Beatles.
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