(Voti: il numero dei brani significativi sul numero dei brani totali)
Wolfheart (Century Media, 1995) sei su otto Irreligious (Century Media, 1996) quattro su undici Sin/Pecado (Century Media, 1997) sette su tredici Butterfly effect (Century Media) uno su dodici Darkness and hope (Century Media) uno su undici | Links: |
(Scheda di Tommaso Franci)
Nei primi anni ’70 i Black Sabbath tinsero l’hardrock di nero; nel 1982 i Venom portarono quella tinta nelle sonorità dei Motorhead; nel 1988 i Death estremizzarono queste voci e questi suoni fino alle non-voci e ai non-suoni. Nel 1991 i Paradise Lost chiamarono il tutto (black + death) gothic metal. Questa la nascita e la fine di un genere rock che al di là dei padri fondatori trova ben pochi nomi degni di nota. Nessuno. Qualche non-noiosa canzone, qualche non-noioso album: niente di più, comunque già visto. Eppure negli anni ’90 e ’00 il genere, con i suoi vari sottogeneri e varianti, ha pienato le tasche di imprenditori/compositori senza dignità e di adolescenti e non senza cervello. L’unica pseudo-novità tentata per sopravvivere è stato il trucchetto del concept: finito il rock-medio si sono fatti album concept-rock; finito il punk: concept-punk; finito il metal: concept-metal ecc. ecc. Nella fattispecie i concept prediletti dal gothic sono quelli di "ambient" post-industriale o pre-istorico, il che è lo stesso in quanto fuori dalla storia e fantasy. Questa la dialettica all’interno della quale trova posto il modus vivendi Moonspell: ovverosia come mettere il gothic in rima portoghese. Wolfheart (Century Media, 1995) La poesia di quest’album sta tutta in quella dell’epica portoghese. Quest’album è il primo tentativo di fare epica in portoghese. Chi lo ha composto (Fernando Ribeiro voce, Ricardo Amorim chitarre, Mike Gaspar batteria, Pedro Paixao sintetizzatori, Sergio Crestana basso) è riuscito a purificarsi e destoricizzarsi fino a risalire all’autenticità primitiva ed ancestrale di Omero: Omero portoghese che invece di parlare di viaggi o guerre parla di Nibelunghi e della "patetica" vita di villaggio e palazzo tra il sottobosco attorno alla città, i delitti, gli intrighi, le pene d’amore visti tutti dai terrorizzati occhi tragicamente panici di un maledetto ululatore (secondogenito inquieto di una casata nobiliare o figlio scapestrato di un modesto artigiano che sia non tradirà mai il suo giuramento di dignità, che per lui equivale a magniloquenza). Wolfshade è uno dei due capolavori dell’album: descrive una situazione cosmicamente vissuta, parte desolatamente acustico e prima di concludersi in un abbandono di corde deflagra in cicli e cicli di devastanti "timbri" baritonali (effetto creato dall’unisono di voce e basso). Love crimes senza tregue né di valore né di pesantezza sonora catapulta in un’altra ora maledetta di questa notte maledettamente sublime: cambia tempo, coinvolge due composizioni o nastri in uno, lascia spazio al sibilo mellifluo di una malia femminile che non si sa se è contro o pro un aedo che vede ma con il cupo della voce sembra volersi accecare. La poesia incontenibile dell’aedo rende raffinata ogni retorica situazione o stato d’animo: ed allora i sintetizzatori, possono davvero far sembrare un pezzo di semplice terra, erba, o zolla, il centro propagatore e conchiuso del cosmo. …Of Dream and Drama alterna un tono compiaciuto (l’assolo di piano alla Jerry Lee Lewis volutamente antiestetico ma limitato dalla retorica del "resistere" contro tutto e tutti) ad un timbro (prima solo poi in coro) di canto dei più condivisibilmente trascinanti. Lua D’Inverno è il gioiello (fatto di flauto di pan e chitarra acustica) da offrire prostrati a quella dama che si sposerà con un altro e si scorderà di noi e del gioiello. Trebaruna è l’effetto di una sorta di cornamusa portoghese, suonata mentalmente al di sotto degli elmi di tutti coloro che all’alba si svegliano nel fossato di un campo di battaglia: fra questi c’è il secondogenito o scapestrato che ha perso la via del bene (la donna) ed ora si sovviene della famiglia a casa (la tradizione: la lingua portoghese) pur non potendo fare a meno di affrontare il presente (la lingua inglese). La donna è solo oramai l’astio dell’addio. Vampiaria: pieno di sangue e sudore: il novello combattente è sopravvissuto alla battaglia: torna, ma dove? A casa non può, non ha voglia di famiglia dacché la Donna non ha voluto costruirne una con lui. Ci sono delle forze, sono forze droganti e malefiche: se non altro vere in quanti spietate, perché la vita è spietata: seguirà queste: e il sangue che ha versato nel combattimento lo consacrerà, ora a Vampiria. Un rullo di grancassa un baritono transilvano (la sopportazione del dolore) significano questa iniziazione. L’urlo della Donna, in lontananza sono le zozze mani del marito: era lui, quello che si credeva il Bene, il vero Male. An Erotic Alchemy è la prostituzione del combattente alla strega delle brume portoghesi e dei boschi: più che per consolarsi per rinfaccia al mondo il suo essere male: un sesso violento sarà sufficiente per questo: la voce femminile in controcanto è l’eventualità di una redenzione pacifica comunque mai raggiungibile. Alma mater è l’altro grande capolavoro di questo album d’epica: il panismo appare una scelta, ma solo perché atto precedente nel tempo, in quanto comunque, alla fine, sarebbe stato una necessità. I riffs di chitarra iniziali sono un’ovazione, l’urlo/latrato che li consacra una catarsi suicida, il resto una voce che alterna il lupo all’aedo, il folk (non autocompiaciuto: una cosa simile, anche se infinitamente meno raffinata, pur se infinitamente più consistente dal punto di vista musicale, facevano in quelli stessi anni i Sepoltura con Roots e Chaos A.D.) portoghese all’inglese universale, la poesia alla poesia. Si beve da un boccale rosso rubino, strabocchevole, il mento è rigato di rivi: e non è vino, ma sangue, sangue di un cuore ormai muscolo da macellai e sbrani e basta. Irreligious (Century Media, 1996) Le prime battute (Perverse … Almost Religous) sembrano il mondo di Wolfheart traghettato nella notte (e nel tempo) di un complesso monacale/eremitico: poi parte Opium un esperimento anomale e riuscito di punk/gothic: è il capolavoro dell’album. Awake danza tzigano prima di deflagarsi su un bastione rupestre a scogliera (e sotto una valle, o il buio, ma non il mare). For a taste of eternity quando tutto sembra finito esplode: è morte: ma se non altro, quell’urlo (come solo Ribeiro/ Portogallo/Lupo/Conte/Maestro di circo sa fare), fa compagnia: Pan, alla fine ricompone la polvere di ossa che costipa l’aria. Ribeiro è un religioso: il credente per eccellenza: vive per questo; solo, che la sua religione è quella pagana e "illecita". Credere a Satana o a un suo opposto è solo un altro modo per fare la stessa cosa. Ruin & Misery è triste in quanto mal riuscita: la voce di Ribeiro è di quelle che fanno passare anche un elenco telefonico per una saga epica ma, potendo fare di meglio, quando fa peggio, ce se ne accorge: e questo peggio qui è associato a un certo compiacersi di una dimensione cittadina/contemporanea di cui si sente l’inadeguatezza e l’impaccio nell’appartenervi dei protagonisti, classico pesce fuor d’acqua. Poisoned gift continua inutilmente nello stilema del violentato/violentatore di An Erotic Alchemy. Si avverte in quest’album un’adesione del gruppo al mondo sterile dei "metallari d’oggi giorno": stesso linguaggio stessi vestiti stessi pensieri: ripetitività, noia, insulsaggini, per di più retoriche. Ovviamente chi ha stile, e Riberiro (anche se monolitico: e quando sembra poliedrico è solo questo monolite che tratta col suo filtro temi diversi) ce l’ha, si fa sempre apprezzare .. da chi ha un po’ di pazienza. Subversion è il lento d’atmosfera nero di effetti elettronici e sintetizzati: una (modesta) ambient music in un ambient gothic: poi parte con un battito disco, disco: del disco del Dance with me dei T.S.O.L. Raven Claws spaccia un soul metallaro e gotico/death senza scorza e con un’eleganza dubbia. Mephisto è l’alter ego maschile di Alma mater … solo che, si sa, quando manca il fascino femminile e la presenza scomoda di una donna, indispensabile per dare senso al nostro stare in qualsiasi posto, manca molto … Nerr spiegelmann parte con un sorprendente e antiesteticamente voluto (per alienarsi) organetto da circo, si schianta in un autoflagellante topo-in-gola love me, si placa nella contemplazione dello stato desolato presente, riparte. Full moon madness: è il sinfonico e commosso funerale/addio al lupo di Wolfheart, il suo ultimo, cattivo (e quindi amichevole: mentre il buono è amico al buono, il cattivo è nemico sia al buono sia al cattivo, pur se, volendo usare la relazione di amicizia per lui, è più appropriato usarla per un altro cattivo che per un buono) latrato. Sin/Pecado (Century Media, 1997) È la raffinata, talora ridondante, sintesi dei due album che lo precedono, dell’epico e dello storico, del metal e dell’elettronica: è un album di giorno, di caldo: di quello stesso caldo in cui (erano le tre del pomeriggio) morì il Cristo: dal villaggio pre-miceneo di Wolfheart e dalle a volte rozze scorribande cittadino.limitrofe di Irreligious si passa alla dimensione dei conventi nell’America latina (e quindi, già, nel Portogallo che ha colonizzato quest’ultima, importandoceli). Siamo nel misto di religione cristiana e folklorica con ,questa volta, più spostamento sulla prima che sulla seconda. I brani migliori sono quelli elettrico-sintetizzati, magari cadenzati da qualche colpo di strumento tradizionale, anziché quelli più propriamente heavy metal (peraltro sempre ingabbiati nei primi). Slow Down è un inizio squisito e raffinatissimo di gingilli elettronici ed artificiosamente essenziali: la nascita di una mosca, di u n pulviscolo della morte/vita. Handmadegod fonde ciò in un ballabile gothic d’atmosfera conventuale/colonica, preludendo all’assoluto 2econd skin, il miglior brano dei Moonspell insieme ad Alma mater: sintesi perfetta di tutto ciò che questi raffinati poeti portoghesi ancestrali sanno fare e hanno da dire: elettroliti calibrati, gola-di-topo calibrata, ambient: ha chi basta la perfezione basterà anche questo. Abysmo riprende le leghe dell’interfaccia d’apertura che asservisce ad una dimensione medio-rock: al voce di Ribeiro talare si ispira a quella di David Gahan dei Depeche mode che in quel 1997 facevano uscire l’Ultra di Useless: quando sono uguali queste due timbriche o sono per un certo ovattato da soffitta. Flesh è un lieve celebrale: molto sperimentale, la pesantezza metal sembra solo, oramai, un diversivo alla monotonia o un mezzo per rendere evidenti e più contrastanti i vari sentimenti e situazioni: ma non importa, quando i risultati sono della "raffinatezza stanca" del presente. Magdalene è titolo stesso a giustificarne l’eleganza di club-dance desertica e "calvaria" (da Calvario). V.C. è il sesso e la Chiesa, il confessante e la confessata: tripudio di viola e rossi cosparsi di nero: al croce e al caldo umido-soffocante di una croce imbiancata a prendere salsedine. Eurotica è la riuscita prosecuzione di An erotic alchemy (quello che Poisoned gift non era riuscito ad essere): i Depeche mode, se ci sono, sono naturalizzati portoghese e infusi di stilemi post-metal post-gothic. In Mute sublima il buongusto e l’album raggiunge il suo picco: le chitarre si rifanno vedere e lo fanno nel migliore dei modi: al voce è quella di un baritono che compiage il suo stesso baritono (vedi Nick Cave) o di un topo-in-gola che compatisce il suo stesso topo in gola (vedi gli Anathema del capolavoro The silent enigma). Dekadence di sintetizzato in sintetizzato riporta alla dimensione della spiaggia sassosa e sabbiosa di un fine-epoca funereo. Let the children cum to me … vede protagonista un tripudio grancassa che lascia poi lo spazio per librarsi ad una cantilena femminile (ancora il contrasto, maschilista e perversamente religioso, di maschio/femmina, rito/bestemmia, confessione/adulterio, monaco/satanico, Adamo/Eva). The hanged man è un altro inno alla raffinatezza del male: melodico fino a morire, struggente fino a consumarsi: le chitarre tratteggiano contrappunti acusticamente subliminali, il tono maschile, quelli femminili (l’Eva senza cui Adamo non sarebbe stato Adamo, e non avrebbe preso la mela ecc. ecc.). 13 il finale (ed incredulo: vedi l’insbocco alla contemplazione mistica (fatta con gli occhi di Omero) dell’era post-industriale. Con Butterfly effect (Century Media, 1999) Darkness and hope (Century Media, 2001) i Moonspell hanno stakanovisticamente continuato il loro progetto; lo hanno chiamato new-tribal-black: ma è solo noia. |
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