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Forrest Fang è un musicista solitario che durante gli anni '90 ha
coniato uno dei linguaggi piu` originali della world-music elettronica.
Nato a Los Angeles nel 1959, Fang studiò composizione alla Washington
University di St Louis, nel Missouri, dove venne iniziato
alla composizione jazz e alla composizione elettronica, nonche' alle
tecniche di registrazione digitale.
Il suo primo album,
Music From The Blackboard Jungle (Fang, 1980),
registrato e pubblicato in privato e stampato in soli duecento copie,
rivelava le influenze
della musica progressiva europea
(Jade Warrior, Mike Oldfield) e dei primi esperimenti dei musicisti rock con
l'elettronica (in particolare della "frippertronics"), ma soprattutto quella
di Terry Riley.
Si tratta di un'opera naif, che si dipana fra reminescenze di musica folk e
orientalismi di maniera. Il disco contiene sette brani, fra
cui una suite di dodici minuti (Greenway 112) e un assolo alla Fred Frith (To The Limit).
I brani della prima facciata (Sequence, Tales of Yog e il finale Eventide Rising)
sono quelli che gettano le fondamenta per le sue ricerche future.
Nel 1981 Fang andò a studiare legge alla Northwestern School of
Law di Chiago. La sua musica era ancora un fatto molto privato, ma l'anno dopo uscì il secondo lavoro, Some Brighter Stars (Fang, 1982),
registrato ancora in tiratura limitata (trecento copie) e in gran parte
a St Louis. Sono molto più intensi gli esperimenti di tape-delay, che ne fanno un disco più
"serio", ma tolgono anche un po' di comunicatività al sound. Fang vi suona tre sintetizzatori,
nessun sequencer. Sul primo lato spicca Monsoon (che rende la sensazione del monsone attraverso
un minimalismo fortemente percussivo), sul secondo Mirrors Surround The Sun (in un formicolio
impressionista di elettronica); ma sono ancora idee a seguire, sviluppate in maniera piuttosto
ingenua.
Nel 1984 si laurea e inizia la pratica di avvocatura nella zona di San
Francisco.
L'influenza maggiore su Migrations (Ominous Thud, 1986) sembra essere
Deuter: le
armonie prendono lo spunto da "om" ineffabili per le loro lente estatiche progressioni (Through A
Glass Landing). Ma alcuni brani (Gradual Formation In Sand, Lowland Dream)
esibiscono già una diversa fenomenologia: lievi fluttuazioni increspano la superficie, prendono
forma e si disfano, ripetendo il ciclo in continuazione. E' un processo che ricorda l'ordine paziente dei
giardini zen. Molto più professionale, grazie anche all'impiego di una tastiera polifonica, questo
disco fece di Fang un nome di rilievo nel mondo della world-music elettronica.
Fang entrò poi in contatto con Zhang Yan, una maestra della cetra
cinese (strumento diatonico, con un pedale che consente di cambiare scala), che gli inculcò la
filosofia musicale dell'Oriente. Fang diventa uno dei pochi musicisti occidentali a saper scrivere e leggere
la notazione musicale cinese, la quale non usa il pentagramma ma un sistema di codifica numerica e
simbolica, tramite il quale è possibile catturare fenomeni, come i microtoni, che sono difficili da
esprimere con la notazione occidentale. In quegli anni vengono eseguite le sue prime composizioni per
ensemble, i cui spartiti sono dei misti di notazione cinese e notazione occidentale.
L'influenza di Yan si avverte in
The Wolf At The Ruins (Ominous Thud, 1989), il primo
capolavoro di Fang, che richiese tre anni di lavoro. La produzione mescola felicemente suoni acustici e
suoni elettronici e, grazie a un campionatore, dà la sensazione di una musica d'ensemble. I brani
presentano ritmiche più forti, ma l'uso delle percussioni è in realtà tipicamente
orientale, non come accompagnamento ma come linea musicale che guida le altre. Fang attinge alla sua
sterminata collezione di strumenti esotici, in particolare alla sezione giavanese.
Sulla falsariga di tanti ensemble del genere, ma con un tono più
calmo e modesto, Fang perviene così alla musica da camera per strumenti esotici di
Windmill e The Luminous Crowd. Il suo stile elettronico si focalizza su una forma di
poema elettronico in perenne, geometrica, armoniosa evoluzione (Passage And Ascent, Silent
Fields), una forma asettica, "neutra", che rifugge tanto dalle apoteosi melodiche di Kitaro quanto dai
concerti di timbri di Aura. Questa ideologia di ascendente zen culmina nella monumentale fantasia
elettronica di An Amulet And A Travelogue, dove il mantra si fa fiaba, l'"om" si fa affresco e i
suoni più tenui valgono quanto intere sinfonie. I raga elettronici di Terry Riley e quelli acustici di
John Fahey non sono estranei ai picareschi excursus di Fang.
World Diary (Ominous Thud, 1992)
è un'opera "tibetana", dedicata non
all'arcinoto folk sacro di quella zona (percussioni ritualistiche e canti statici), ma a quello profano, che
è uno stile molto colorato, dinamico e melodico. Il disco è però soprattutto un tour
de force di meticoloso collage sonoro. Un timbro o un campionamento viene sfruttato per pochi secondi,
invece che essere esplorato per minuti e minuti come prassi per i musicisti elettronici. Disorientante per la
quantità di eventi sonori, il disco concede più spazio agli strumenti acustici della
collezione privata di Fang, relegando l'elettronica al ruolo di sottofondo.
Se Ceremony At The Edge Of The Great Abyss ricorda gli
esperimenti con le percussioni di Wolff & Hennings, Archipego trascende le sue fonti sonore
(la musica di strada giavanese) per comporre un concerto spaziale di elevato lirismo e The Bushmen
Clear The Savannah sfrutta una cornucopia di strumenti esotici (gong birmani, tamburi siriani, kora,
gamelan di bambù, mbira africano, il liuto indonesiano, il mandolino tar dell'Asia sovietica) per
innalzare una vertiginosa preghiera sciamanica in crescendo. Sono composizioni di grande respiro, in cui
Fang condensa tanti anni di studio e di pratica.
Il clou dell'album è la suite Nomads, di ben trentun minuti,
strutturata in otto sezioni. Del tutto astratta, si snoda attraverso undici pezzi da camera per combinazioni
sempre diverse di strumenti orientali Le polifonie degli episodi Gobi e An American
Okinawa, che arrivano ad accostare una decina di "voci", sono complesse e veloci, molto lontane
dagli stereotipi della world-music. La festosità folk degli esordi riemerge nelle danze di Rain
Of Stones e Passing The Chung o nell'incalzante progressione di
balalaika di Song Of Divination.
Folklore (Cuneiform, 1995), influenzato tanto dai suoi vecchi amici cinesi e tibetani
quanto dai nuovi amici Steve Roach e Robert Rich, lo presenta invece di nuovo nelle vesti dello sciamano
elettronico. Non a caso il brano più suggestivo è A Shaman In Pursuit Of Chabui's
Image, in cui coesistono nuvole elettroniche e ritmi tribali. Il suo modo di oscurare i suoni degli
strumenti acustici tramite suoni elettronici ricorre in tutti i brani. Ciò nonostante Crossing The
River, An Offering Of Wood e The Eight Immortals sono innanzitutto concerti di
timbri, in cui ancora una volta Fang concepisce la musica come collage di particelle discrete, e non come
flusso organico di parti correlate.
Le armonie sono più dense e vivaci, orchestrali e cadenzate. Tanto
che The Dragon King's Advice potrebbe fungere da colonna sonora a un carnevale cinese. E' il
lavoro più accessibile della sua carriera, e, se non il più ottimista, il meno cupo.
La musica di Fang è un'evoluzione di quella di Deuter e di altri
musicisti panetnici della prima ora: il mix elettronico prevale ora sulle fonti sonore originarie, l'afflato
mistico è ricondotto a un più generale limbo metafisico, il sound è corposo e
dinamico.
The Blind Messenger (Cuneiform, 1997) accentua i connotati
etnici di Folklore. Ogni brano stipa decine di spunti (e di
strumenti), che vengono amalgamati dalla sua raffinata sensibilita` di
regista/pittore. Nelle melodie e nelle cadenze si riconoscono le influenze
di generi tanto diversi quanto l'opera cinese, la musica giapponese di corte
("gagku") e il gamelan balinese. Ma soltanto nel primo brano,
il balletto marziale di The Shifting Envelope, queste sorgenti sono palesi.
Eternal decompone una specie di raga nelle
sue componenti fondamentali, le moltiplica e proietta in tutte le direzioni
fino a ottenere una spessa coltre di droni, ma poi, quando le tabla e il
violino intonano il rtimo, impedisce loro di ricomporsi.
Il limite della musica di Fang e` sempre stato lo stesso: era anche troppo ovvio
che spesso la musica era soltanto un pretesto per esplorare strumenti e generi
da cui era rimasto affascinato. Quel limite, che comunque non gli aveva
impedito di comporre opere di grande respiro, sembra qui completamente superato.
Alcuni brani che sembrano essere composti al computer, tanto sono matematici
nel loro svolgimento e nel modo in cui generano la polifonia. Qui il folklore
orientale e` soltanto un timbro, e talvolta neppure quello. Siamo anzi nelle
vicinanze della musica d'avanguardia.
Le percussioni (o comunque gli strumenti usati a mo' di percussione) dominano
la folle galoppata di Fragments From An Unbroken Chain,
all'insegna di un minimalismo tanto frenetico e torrenziale quanto meccanico
e millimetrico.
Lo schizzo fantascientifico di Echo sovrappone fino a livelli spaventosi
loop e riverberi di temi melodici.
Un primo vertice del disco e` rappresentato da In Heaven There Are No Borders,
un vero e proprio concerto per dissonanze (sia acustiche sia elettroniche).
Fang assembla un repertorio di gesti calibrati: droni in moto libero,
tintinnii tratti da un vasto arsenale di timbriche, echi di corde appena
pizzicate. Il tutto prende forma poco alla volta, guidato da linee melodiche
che emergono tanto nell'elettronica quanto negli strumenti acustici (in
particolare dalle "fughe" di pianoforte). Il mosaico e` complesso, e non si
puo' dire davvero polifonico, in quanto ciascuna delle partiture sovrapposte
viaggia a un tempo diverso, e pertanto non si compenentrano mai.
The Alchemy Of Angels (venticinque minuti) in sei parti rappresenta un altro
vertice della sua carriera. La musica si discosta pero` alquanto dal
suo standard. Fang conia una musica cosmica per angeli che e` un ibrido di
Klaus Schulze e Raphael, pittorica come il primo e incantata come il secondo.
Il gorgo dissonante del primo movimento (che acquista spessore quasi sinfonico),
la trance vellutata di droni leggerissimi del secondo movimento,
il carillon disarticolato del quarto, conducono a un finale tragico che
stratifica (tra l'altro) un requiem per organo a canne,
un fluttuare libero di accordi di pianoforte, un coro d'angeli,
strimpellii casuali di strumenti a corda e borboglii di elettronica alla
Morton Subtnick. La logica dei sei movimenti e` un po' forzata, ma il tema
di fondo e` un tributo alle forze soprannaturali che sovrastano la vita umana.
Nel suo anelito metafisico, Fang rinuncia allo studio un po' pedestre delle
culture orientali e si concentra sui mezzi elettronici. Quell'affastellare
suoni a casaccio che e` sempre stato il suo metodo diventa un mezzo per
tenere acceso il fuoco della caldaia: cio` che conta e` la caldaia, non
i pezzi di legno che vi bruciano. E Fang e` magistrale nell'orchestrare il
turbine di suoni.
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