Meredith Monk (1942) coined a vocabulary of vocal
sounds that she used to create theatrical performances.
The Key (1970), Education Of The Girlchild (1973),
Tablet (1977), Turtle Dreams (1983),
Atlas (1991) focus on acrobatic and schizophrenic mutations that run
the gamut from child to witch. They populate the music with characters,
moods and states of mind.
This article was originally written for an Italian-language book.
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Meredith Monk, cresciuta in una famiglia di cantanti e musicisti, si
formò a New York durante gli anni '60 come coreografa e performer. Mise a frutto la laurea al
Sarah Lawrence College scrivendo musica vocale per i suoi spettacoli e prestando la sua voce a
compositori d'avanguardia. Il primo brano di cui si abbia traccia è 16 Millimeter Earrings
(1966), in cui si accompagnava alla chitarra.
A partire dal 1967 la sua attività musicale si fa sempre più
consistente e nel giro di pochi anni alcune composizioni/interpretazioni la pongono ai vertici del
vocalismo colto. Si esercita d'altronde intensamente, ampliando a dismisura la gamma delle sue
performance canore. Oltre a questo difficile esercizio fisico, Monk costruisce la sua musica attraverso
un'oculata revisione dei materiali sonori raccolti in anni di interdisciplinarietà, dal folk agli
inserti pubblicitari, dall'opera all'alea cageana. Protesa alla ricerca di effetti che siano innanzitutto vocali,
si accompagna con una strumentazione scarna, per lo più il suo piano e un po' di percussioni.
Dal 1967 al 1970 porta in giro per la California il suo "teatro invisibile"
intitolato The Key (Lovely, 1977), registrato nel gennaio 1971.
La colonna sonora di quello spettacolo ambulante prevede una cantante
(l'autrice stessa), organo, scacciapensieri, percussioni. Questo teatro musicale si affida soprattutto a
cantilene a cappella alla maniera dei muezzin (Porch) o dei cori gregoriani (Change), le
quali possono diventare all'occorrenza vocalizzi astratti, demenziali, allucinati (Under Street)
oppure bisbigli frenetici, come di un disco suonato a velocità doppia (What Does It
Mean), o ancora striduli pigolii da nevrotica (Do You Be), con cadenze che ricordano ora il
balletto kabuki ora le funzioni religiose.
Al flusso di coscienza rimandano i deliri più spigliati, come Fat
Stream, un gentile lamento di gorgheggi da soprano su pattern minimalisti dell'organo, e
Dungeon, una danza rituale sostenuta da percussioni africane e contrassegnata da lenti mutamenti
del registro della voce, la quale subisce un grottesco processo involutivo, gutturale poi nasale poi
ansimante, ululato di pulcino, capriccio di bambina, riso, nitrito, verso di gufo.
Dello stesso periodo è Vessel Suite del 1971, parzialmente
raccolta su Facing North (april 1992 - ECM, 1993), che re-interpreta il mito di Giovanna d'Arco.
L'opera Education Of The Girlchild (1973), parzialmente documentata su
Dolmen Music, contiene diversi dei
suoi frammenti più geniali.
Biography inizia come una preghiera accorata, un lamento
agonizzante ("dying, dying, dying ...") che si riduce a una "i" agghiacciante e sconsolata di pianto dirotto
e poi trascende in una disperazione rarefatta, rotta da un belato orientale gridato a tutta voce dalla cima
dell'Himalaya, fino a decomporsi nella follia nevrastenica di un ritornello cinese di "na-na".
Travelling è uno dei suoi crescendo più trascinanti:
la cadenza marziale e incalzante è mantenuta dal piano e dai tonfi metodici della percussione,
mentre la voce cavalca irrefrenabile in distese enormi, lanciando urla di guerra indiane e richiami per
streghe, s'inerpica libera e felice in progressioni smisurate e si arrotola in versi infantili, squittii e pigolii,
riprende il galoppo a folle velocità, doppiata da un'eco angelica; quintessenza sonora di istinti
scatenati, energia allo stato puro.
E' il principio delle "mutazioni continue" di Dungeon portato alle
estreme conseguenze, così come in The Tale, scherzo bizzarro non meno travolgente,
girotondo per bambini, risata folle che cambia in continuazione e si arriccia su se stessa, che declama e
delira sospinta dal ritmo frenetico del piano, dal rumore di oggetti spezzati e da brevi interventi di un
violino asfittico, una gag tutta giocata sul registro dello sketch satirico-didattico alla Brecht.
Fear And Loathing In Gotham (1975) annovera altre chicche di
questo genere di lied minimalista: una ninnananna nostalgica come Gotham Lullaby, favola
malinconica che si propaga per acrobazie vocali in rapido mutamento su un ritmo ad onde del piano, e
una filastrocca da carillon come Esther's Song.
Nel frattempo Monk ha già composto, eseguito e registrato
Our Lady Of Late (Wergo, 1986),
che vedrà la luce soltanto nel 1986. Si tratta di uno dei suoi lavori più
ostici, una raccolta di sedici brevi lied, ciascuno interpretato con una tecnica vocale diversa ma sempre
con l'obbligo di suonare in consonanza con il suono prodotto dal bordo di un calice strofinato con il dito.
In Unison Monk imita semplicemente il timbro del "drone", ma i brani successivi impiegano
forme vocali che vengono ripetute con un certo periodo, in maniera da generare anche ritmo. In
Sigh intona un gorgheggio per sospiri e in Morning "canta" con i singhiozzi di un pianto.
In Slide sembra imitare i canti dei pellerossa e in High Ring quelli dei monaci tibetani; in
Free una bambina che gioca e in Prophecy una mamma che canta la ninnananna. Monk fa
musica usando icone canore: in Edge l'acuto di una cantante d'opera, in Cow Song la
risata di una bambina, in Waltz le grida di un'isterica, in Dumb il tremito di un'epilettica.
Con questo arduo lavoro per voce e vetro Monk definisce in maniera rigorosa l'idea di un lessico canoro
fatto di gesti elementari che rimandano ad emozioni primitive dell'animo umano.
Songs From The Hills (Wergo, 1979), scritto su una collina della zona arida del
New Mexico nell'estate del 1976, è una raccolta di dieci aforismi senza accompagnamento che
si ispirano al folklore indio, in ciascuno dei quali Monk interpreta un personaggio diverso con una voce
diversa: Mesa è un angosciato lamento per la sterilità del deserto che attraversa
con tensione spasmodica più di una voce, Jade un trepido petulante monologo di vecchia,
Descending una stridula nenia-dialogo per due voci giapponesi, Prairie Ghost
un'imitazione dei soffi di vento e dei versi degli animali che emergono dal nulla nel silenzio spettrale
della notte, Bird Code un trillo radioso, Silo una vocale ronzante a sirena.
La grande varietà dei registri, e l'attenzione psicologica con cui
Monk li interpreta, costituiscono un nuovo genere di recital. Ogni lied vale non per la melodia (banale) o
l'orchestrazione (inesistente), ma per le evoluzioni canore in sé.
Il modello stabilito in quest'opera verrà ripetuto con esiti via via
più suggestivi e aristocratici nelle composizioni successive. Il paradigma fondamentale della sua
musica è la cantilena, una delle forme musicali più primordiali dell'umanità. E,
infatti, ogni suo brano porta in sé qualcosa di arcaico, che giunge all'ascoltatore attraverso i
millenni come un qualcosa di già noto. Anche Monk, come gran parte dei compositori americani
da Cage in poi, opera una riduzione della musica ai suoi componenti elementari, ma, a differenza degli
altri, Monk prende come riferimento non la struttura tecnico-scientifica del suono, ma la struttura
emozionale della tonalità, ovvero il suo aspetto psicologico.
Tablet (1977), per quattro cantanti, flauto e tre pianoforti,
è un conciliabolo sereno e vivace che fa di nuovo uso di materiale folklorico, ma questa volta
trattato secondo tecniche minimaliste e contrappuntiste.
Sui pattern ossessivi ripetuti dai pianoforti Monk attacca una delle sue
litanie più angosciate, patetiche e folli. Rimasta sola, si lancia in una serie di acuti spericolati. Poi,
mentre il piano e il flauto abbozzano un passo di danza medievale, tutte e quattro le cantanti si cimentano
in una diversa serie di nitriti fino a comporre un coro giapponese. Un concitato e stridulo vociare, il
declamato prepotente di Monk, un diluvio di trilli nasali da mantra che decolla nel ronzio di un reattore, il
pianto singhiozzante di Monk contrappuntato da un coro straniante di "tatarà tatarà", una
confusione babelica di fonemi meccanici e gorgheggi robotici, i trilli in cascata e i deliri a gola spiegata
che si alternano in vertiginosa successione compongono un mosaico sonoro di grande presa
drammatica.
La suite si chiude con dei coretti giapponesi a velocità folle che
tengono di fatto il tempo per la cantilena di Monk, disfandosi in ritmi diversi fino a comporre una piccola
In C (Terry Riley) per il canto.
La sua e' un'arte che, in effetti, discende dal minimalismo, sia per il meccanico
ripetersi di pattern di fonemi sia per l'accompagnamento di accordi ossessivi al pianoforte. Quando la voce
è unica, si limita a variare con continuità su un fronte molto ampio di registri. Quando le
voci sono tante, e tutte in perpetuo mutamento, il loro polifonismo può raggiungere livelli
disumani di complessità: ciascuna voce è un pattern a sé stante, consonante con
quelli delle altre, e tutti i pattern tendono a muoversi in maniera da conservare quella consonanza. Non
solo: l'effetto d'assieme risulta quasi sempre incalzante perché i pattern, talvolta assai brevi, si
ripetono rapidamente, creando in tal modo un intreccio di poliritmi in crescendo.
I pattern sono a loro volta frammenti melodici di cantilene e litanie
elementari, oppure semplici solfeggi o ancora brani colloquiali (ma sempre materiale sonoro
"quotidiano"). Ognuno di tali frammenti viene strutturato come una successione di fonemi sillabici in un
certo registro. Nonostante il meccanicismo esasperato che sta alla base del processo di composizione, le
mutazioni continue imposte da Monk ai vari pattern fanno sì che la sinfonia vocale appaia in
frenetica e organica evoluzione, e, grazie al contrasto drammatico dei registri e dei frammenti impiegati,
fortemente emotiva.
Quarry (1976), la sua seconda opera, è dedicata
all'olocausto visto attraverso gli occhi di una bambina. Sono di quest'epoca anche le performance (inedite)
Travelogue Series (1976), Plateau Series (1978) e Recent Ruins (1979, in parte su
Dolmen Music (ECM, 1981) e Facing North), suggestivi esperimenti di teatro musicale.
Gli anni '70 si concludono con Dolmen Music, per sei voci,
violoncello e percussioni, una delle sue opere più geniali e monumentali, summa della sua arte di
suggestioni e illusioni.
La piece si apre con il suono teso del violoncello che strania l'ascoltatore e
riporta indietro nei secoli, a una musica arcaica, fatta di vibrazioni lente e perenni. Le voci femminili
entrano una alla volta, a cominciare dal lugubre e solenne "aù" di Monk; poi si presentano in
contrappunto e all'unisono quelle maschili, in uno stranito conciliabolo di registri. Comincia allora a
salire tutto insieme il coro misto, originando un complesso intreccio di pattern vocali ripetuti
testardamente sul quale si libra la filastrocca orientale, stridula e velocissima, di Monk.
Con una delle sue tipiche mimesi Monk passa ad un registro più
gutturale e nasale, affiancata da un altrettanto demente rantolo di Monica Solem (a tratti somigliano a due
scaccia-pensieri, a tratti echi di un medesimo ancestrale rumore), finché il possente coro a
cappella maschile le sovrasta e fagocita in un vortice di frasi minimali, con le voci maschili quasi yodel e
quelle femminili in leggiadri acuti; le prime che vibrano violentemente come a scimmiottare gli strumenti
a corda indiani, i mille fonemi che si intrecciano a perdifiato in un magico mosaico di note, una nebulosa
fluttuante di solfeggi nei vari registri, il ronzio mantrico di tutte le voci all'unisono che sale in una
preghiera assoluta, il violoncello che si lancia in un flamenco mozzafiato, i cantanti che si incalzano l'un
l'altro in un colvulso alternarsi di ragli alla tirolese, di cicale assordanti, di gracchi meccanici, di strida
sconnesse e di osanna gregoriani.
Una formidabile tensione interna presiede alla produzione di questa musica
"corporale", di questo canto imitativo e camaleontico sostenuto dagli equilibrismi più spericolati.
La loro è una musica anche di respiri, amplificati dal riverbero dello studio.
Nel 1982 debutta Specimen Days, uno spettacolo tratto dagli
omonimi poemetti in prosa scritti da Walt Whitman per esaltare i valori epici della nazione americana, un
atto unico della durata di un'ora e mezza articolato in una serie di quadri che commemorano episodi della
guerra di Secessione.
Quell'ininterrotto delirio capriccioso d'infanzia, quel soliloquio ludico che
è la sua opera trova un temporaneo punto d'arrivo in
Turtle Dreams (january 1983 - ECM, 1983).
La pirotecnica del canto contrasta drammaticamente con
l'accompagnamento, sempre scarno e funereo, di quattro organi che sovrappongono lente frasi
cromaticamente e iterativamente rileyane. Il monologo di Monk, coadiuvato da un coro di tre voci
maschili con reminescenze folkloriche e chiesiastiche, si svolge nella solita alternanza di registri, ma
indulgendo soprattutto in quello salmodiante, e dà spazio a quelle grida lunghissime e acute
affilate dalla pazzia più selvaggia che conferiscono a tutto il brano un carattere più tragico
dei precedenti. Il convulso affabulare della prima voce e il gelido contrappunto del coro hanno un accento
più sofferto e disperato. I pigolii affranti, i guaiti timidi, gli acuti marziali e i ronzii dimessi
compongono una piece più meditata e profonda. La spensierata esuberanza ed innocenza dei
lavori precedenti sembra perduta a favore di una maturità più pensierosa.
In View 1 (tratto dalla colonna sonora di Am/Am)
l'accompagnamento è un piano, romanticamente e perdutamente assorto in una frase iterativa, sul
quale intervengono a intermittenza altre tastiere (ciascuna con un proprio caratteristico pattern
ambientale) e la voce nei consueti travestimenti. La sensazione è quella di un vuoto cosmico
ineluttabile perturbato di quando in quando da presenze fugaci e misteriose.
Monk ha coniato un suo personale ed eterogeneo linguaggio polifonico, un
collage di stentoreo minimalismo, di voli operatici e di atmosfere evocative, tutti filtrati da una
sensibilità in armonia con la natura e il divenire cosmico delle cose. Tutti i registri e tutte le
tradizioni vengono rielaborati con solenni mimesi dell'assurdo e raccordati da una mutazione continua e
perenne, senza altra trama che lo scorrere del tempo.
Acquisito l'apparato linguistico, la performer si è potuta cimentare
anche in brani più narrativi, come Games (1983, anche in versione per quindici cantanti),
nel quale, accompagnata da un violino, descrive il futuro di una colonia extra-terrestre di umani che sanno
vagamente com'era il pianeta dei loro antenati prima dell'olocausto nucleare.
Nella seconda metà del decennio la sua attività
si è
fatta frenetica, talvolta a scapito della qualità. Acts From Under And Above (1986)
è una performance per due soli personaggi, la cui prima parte è un suo assolo-monologo.
Ringing Place (1987) coinvolge nove musicisti che si passano vocalizzi in circolo. Fayum
Music (1987), per dulcimer a martello e doppia ocarina, è la colonna sonora di un
documentario su alcuni cimeli funerari greco-romani.
Tipiche di questo periodo sono le composizioni per piccolo ensemble
raccolte in Do You Be (january 1987 - ECM, 1987),
fra cui Shadow Song, un aforisma pieno di gag ritmiche;
Double Fiesta, uno spensierato girotondo a ritmo incalzante di fonemi e registri; Memory
Song, un intermezzo classicheggiante delicato e onirico. I Don't Know, ricco di pathos e
tragedia, è un altro dei suoi struggenti deliri introspettivi.
Wheel, uno dei vertici di questa fase, è un potente mantra
orchestrato per voci femminili, cornamusa e sintetizzatore.
Un intenso afflato mistico impregna brani
come Astronaut Anthem, un coro a cappella che ha la solennità di un mottetto medievale,
o la non meno liturgica e imponente Scared Song, per quanto devastata da ogni sorta di
mimetismi grotteschi. La nuova versione di Do You Be, che dà titolo alla raccolta, esalta
la differenza d'umore rispetto al passato: è soltanto più una serie di urla lancinanti che
gridano la disperazione più atroce.
Il suo avvicinamento al mondo del cinema è confermato dal suo
primo film, Book Of Days (june 1989 - ECM, 1990), la cui colonna sonora (metà della quale verrà
pubblicata due anni dopo) costituisce il vertice tecnologico della sua nuova tecnica di overdub vocale.
Originariamente si trattava di un concerto vocale tenuto alla Carnegie Hall nel febbraio 1985. Di essa
fanno parte i teneri lamenti rinascimentali di Early Morning Melody e Afternoon
Melodies, le sequenze sincopate e gutturali di Travellers, il soave mottetto gregoriano di
Dawn, la classicheggiante Cave Song, la tetra ninnananna di Evening, i fitti
contrappunti di Jewish Storyteller e soprattutto un altro dei suoi agghiaccianti, funerei raga-
psicodrammi: Madwoman's Vision.
Facing North (april 1992) è per lo più una serie di duetti
vocali con Robert Een: è la sua raccolta più atmosferica, ma anche la meno profonda.
L'opera Atlas (ECM, 1994), composto nel 1991 registrato nel giugno 1992, mette in musica (e in gorgheggi) la storia di
una donna che si mette in cammino con quattro compagni e si avventura fino alla fine del mondo alla
ricerca del senso della vita. Lungo la via il gruppo di pellegrini incontra Hungry Ghosts e Ice
Demons, che ispirano per l'appunto le arie omonime. I testi sono le solite sillabe-nonsense di Monk.
La novità è semmai rappresentata dall'accompagnamento, per un ensemble di dodici
strumenti, che testimonia del crescente interesse di Monk per la parte strumentale, e non soltanto
vocale.
Nel 1993 hanno debuttato altri tre lavori di spicco: St Petersburg
Waltz, Volcano Songs e il New York Requiem. Monk sta lavorando alla sua
nuova opera, Song Of The Lark.
In tutto Monk ha composto più di 80 lavori per il teatro nell'arco di
trent'anni. Ha anche diretto il film "Ellis Island", a cui sono andati alcuni premi internazionali.
Rispetto ai maestri minimalisti a cui la sua arte si ispira (Steve Reich su
tutti) Monk è riuscita a riallacciare le sue ricerche alle sue radici culturali. Nei suoi pezzi si sente
infatti un'eco, per quanto lontana, del folk europeo e americano, di ballate e ninnananne millenarie. Si
sente persino l'eco di culture che lei non ha mai conosciuto, dai paesi slavi all'India, segno che in essi
Monk riesce a convogliare qualcosa che è primordiale e comune a tutte le razze. E' un qualcosa di
estremamente quotidiano e casuale, di elementare e innocente, qualcosa che pre-esiste la diaspora delle
culture nazionali, che pre-esiste la storia. Non a caso i suoi pezzi sono spesso soltanto delle
"conversazioni" fra i membri di un ensemble vocale. Anche i suoi pezzi solisti sono una forma di
conversazione, in quanto parte della sua rivoluzione canora consiste proprio nel fatto che una voce
può assumere diverse personalità. Forse Monk si è avvicinata più di
chiunque altro all'essenza del linguaggio, della comunicazione, della socialità. In tal senso la sua
musica si configura sempre più come uno scavo antropologico alla ricerca delle origini della
nostra civiltà.
Evolutasi dall'infantilismo eccentrico dei primi pezzi (di Tablet e
di Dolmen in particolare), l'arte di Monk costituisce oggi il contributo più originale e
monumentale all'evoluzione del cantato dopo il Gesang di Stockhausen e la Sinfonia di
Berio. Il suo linguaggio multiforme, popolato delle più svariate voci, compone un affresco canoro
dell'umanità moderna di mole rinascimentale ma fedele ai canoni dell'autismo mutante del post-
modernismo newyorkese.
Gli acuti galattici e le deformità viscerali, i lamenti struggenti e gli
scioglilingua innocenti dei suoi brani continuano la tradizione di trasgressione e di mitologizzazione del
canto iniziata nel 1945 da Messiaen con Harawi, e costituiscono una delle conquiste artistiche
più cospicue del Dopoguerra.
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