Summary:
By far the most prolific and successful artist of the original Los Angeles
electronic school was Steve Roach.
He began as a shy disciple of Schulze's cosmic music with electronic suites
such as Traveler (1983), but became more and more introspective via the
monumental Structures From Silence (1984). His masterpiece,
Dreamtime Return (1988), established the
archaic, oneiric, shamanic and psychological coordinates that would ground
of all his subsequent work.
Strata (1990), a collaboration with Robert Rich,
Australia - Sound Of The Earth (1991),
the Suspended Memories's Forgotten Gods (1993), a collaboration with flutist Jorge Reyes and guitarist Suso Saiz,
and Well Of Souls (1995), a collaboration with Vidna Obmana,
were journeys to the collective subconscious. Their soundscapes were alive with
the heat of the desert and the darkness of the cosmos.
The titanic and terrifying World's Edge (1992), Dream Circle (1994) and The Magnificent Void (1996)
increased the doses of angst and unknown, and crowned Roach as the most
metaphysical of the cosmic couriers.
If English is your first language and you could translate my old Italian text, please contact me.
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Steve Roach e` uno degli uomini che puo` ambire al titolo di massimo musicista
vivente. Structures From Silence, Dreamtime Return e World's Edge, nonche'
i dischi in coppia con Robert Rich, nonche' quelli con i Suspended Memories,
sono capolavori due spanne sopra il resto della mischia (rock, jazz o quello che
e`).
L'opera di Roach, emancipatasi progressivamente dallo stereotipo
"spaziale" e avvicinatasi sempre più alla world-music, si presenta sempre più come una
delle esperienze fondamentali della nostra epoca. Accanto a quella di Jon Hassell e pochi altri, ha saputo
coniare un nuovo genere pan-etnico di "musica da camera elettronica" dagli accenti fortemente
psicanalitici, centrata attorno alla triade di "antico, mistico e subconscio", e il cui linguaggio scaturisce
dalla dialettica fra ritualismo primitivo e tecnologia futurista, ed esprimere in quel genere momenti di arte
altissima, degna dei maggiori compositori del nostro secolo. Roach è uno dei massimi musicisti
della new age e della musica del fine Novecento in generale.
Steve Roach, nato il 16 Febbraio 1955 a La Mesa, nei dintorni di San
Diego, figlio unico di una famiglia operaia, crebbe in uno scenario naturale schiacciato fra il deserto e
l'oceano. Trascurando la scuola, il giovane Roach, alla ricerca di sensazioni forti, si diede al motocross. Le
morti di due suoi amici motociclisti e un incidente in cui rischiò di fare la loro fine lo convinsero
a cambiare drasticamente vita: nel 1975 adottò la filosofia yoga, la dieta macrobiotica e la musica
"cosmica" dei Tangerine Dream.
Roach si buttò a capofitto nella musica con la stessa energia e
determinazione con cui prima aveva rischiato la pelle in motocicletta. Impegnò tutti i suoi averi
per acquistare una strumentazione allo stato dell'arte, sbarcando il lunario con ogni sorta di mestieri,
dall'operaio in una fabbrica di antenne al commesso in negozi di dischi.
Fu proprio in un negozio di dischi, il celebre "Liquorice & Pizza", nel
1978, che Roach tenne il suo primo concerto, che gli valse l'ingresso nella comunità dei musicisti
elettronici di Los Angeles, quella del Cal Arts, di Harold Budd e di Morton Subotnick. Roach fu
così protagonista della stagione dei primi concerti elettronici, insieme con Kevin Braheny e
Michael Stearns.
Due concerti registrati dal vivo nel 1985 e 1987 videro la luce anni dopo su
Stormwarning (Soundquest, 1989).
Le due jam (la prima di ventun minuti e la seconda di trentuno) sono lunghe
cavalcate al sequencer in uno stile esuberante ed estroso.
Nel 1978 Roach aveva registrato la sua prima cassetta (mai distribuita), di
cui aveva inviato copia a pochi intimi. Soltanto qualche anno dopo uscì
Now (Fortuna, 1982),
un disco ancora nel solco di Klaus Schulze
(il free-jazz "acquatico" di Comeback),
Kraftwerk (i poliritmi robotici di Growth Sequence)
e Tangerine Dream (l'ode solenne di Inquest).
The archival Emotions Revealed (2015) contains the 24-minute live performance Emotions Revealed (1983) and the 26-minute soundtrack for an art installation Firelight (1982). The former is relatively melodic and neoclassic, whereas the latter is his first wandering abstract soundpainting adventure.
L'anno seguente sarebbe stata la volta di Traveler (Domino, 1983),
una raccolta di nove bozzetti impressionisti.
Per lo più il sequencer incalza ipnotico e martellante, come nella
title-track (che ha un finale drammatico e imponente) e in TBC (che ha una cadenza meccanica
quasi "industriale"). Reflector può invece essere considerato il primo tentativo di sfruttare
maggiormente le qualità melodiche dell'elettronica per costruire un'armonia più serena e
contemplativa.
Apice di questo periodo è
Empetus (Fortuna, 1986), uno dei capolavori
della musica cosmica tutta, che si avvale per la prima volta di un vero studio di registrazione, e pertanto
della possibilità di meditare la musica a tavolino, di comporla poco alla volta, di potare e limare il
materiale (i primi due dischi erano stati praticamente registrati dal vivo come le cassette che li avevano
preceduti).
La suite che dà titolo al disco si apre (con una cadenza travolgente
del sequencer) e si chiude (con un'apoteosi assordante di tutte le tastiere) in un clima tragico. Ai bozzetti
dei primi dischi è subentrata una struttura narrativa più solida, che tenta di riflettere la
filosofia esistenziale dell'artista, forse meglio espressa nel terzo movimento, laddove un ritmo incessante
viene sublimato da un canto malinconico ed eroico al tempo stesso. Come quasi tutti i dischi che
seguiranno, Empetus è innanzitutto un album "a tesi", in cui Roach esplora un tema
metafisico.
La seconda facciata del disco ritorna alla forma del poema elettronico,
peraltro con una maggiore consapevolezza delle tecniche minimaliste (Merge) e uno spirito
più "industriale" (Urge).
Nel frattempo Roach aveva iniziato a comporre e registrare due opere
fondamentali: la serie delle tre Quiet Music, originariamente
pubblicate nel 1986 e poi raccolte in Quiet Music (Fortuna, 1988),
e le Structures From Silence (Fortuna, 1984), registrate dal 1982 al
1984. Queste opere abbandonano l'approccio drammatico, guidato dal sequencer,
l'energia vitale dell'esperienza fuori del proprio corpo, a favore di una
maggiore introspezione, di un'analisi della vita interiore. Nonostante le
affinità con la musica ambientale di Brian Eno, Roach perviene a un
linguaggio unico, futurista e primitivo, estroverso e introverso, fantasioso e austero.
La prima "struttura", Reflections In Suspension, non fa altro che
rigenerare di continuo uno schema armonico di riferimento. Per sedici minuti non si sente altro che una
serie di variazioni puntilliste (più ancora che minimaliste) su due figure melodiche sovrapposte,
una fluida e l'altra tintinnante. Quiet Friend è ancor più statica: i sintetizzatori
"nuotano" al rallentatore in uno spazio immenso e si spengono a poco a poco in una dissolvenza di riflessi
elettronici. Questa tecnica di cartilagini melodiche lasciate fluttuare e riverberare in un tempo
lunghissimo culmina nella title-track, che occupa per intero la seconda facciata del disco. Il contrasto con
la musica per sequencer dei dischi precedenti non potrebbe essere più forte.
Il limite di Quiet Music è lo svolgimento lentissimo,
appena bisbigliato, di Dreaming And Sleep, costruita attorno a tre suoni fondamentali (un trillo,
un riverbero, una melodia) che si intrecciano e sovrappongono in maniera ripetitiva. A Few More
Moments è ancor più spartana, benché un volume sonoro più elevato
e un filo di melodia le conferiscano un tono allucinato.
Nei trentadue minuti di Air And Light si compie forse la
maturazione definitiva dell'artista "cosmico". Roach dà il massimo nei grandi spazi aperti, libero
da limiti di tempo, solo con la sua strumentazione elettronica a costruire mondi sonori che riflettono il suo
stato mentale in maniera tanto più fedele quanto più hanno tempo di focalizzarsi, e che
dopo un po' sembrano vivere di vita propria.
Con Western Spaces (Innovative Communications, 1987) (Fortuna, 1988)
tre guru elettronici di Los Angeles
dedicarono un disco al deserto. Per Roach fu quello il primo tributo
all'ambiente che avrebbe segnato tutta la sua opera successiva.
I due brani che firma, Breathing Stone e In The Heat Of Venus,
prosciugati, anemici, spolpati, sono ancora improntati alla "quiet music".
In quel periodo Roach stava anche registrando Leaving Time (RCA, 1988)
con
Michael Shrieve a New York: lì conobbe Jon Hassell, che esercitò su di lui una forte
influenza.
Dreamtime Return (Fortuna, 1988)
è l'opera con cui culmina la fase
"losangelesiana" di Roach. Qui Roach mette in luce una qualità onirica che mancava ai dischi
precedenti. Roach, senza esservi mai stato, rimane così suggestionato dall'Australia vista al
cinema da tentare di mettere in relazione il proprio stato di trance con quello degli aborigeni. E'
fondamentale il contributo di
Robert Rich,
che si occupa dei ritmi "organici": questi ritmi relegano
definitivamente il sequencer nello scaffale dei ricordi e aprono le porte alla world-music. Altrettanto
preziosa risulta la collaborazione di David Hudson e Percy Trezise, da anni impegnati a studiare le
musiche primitive dell'Australia.
Dreamtime Return è innanzitutto un album concept, un
"concept" elettronico che ha come tema portante quello dei rituali magici delle popolazioni primitive. E'
anche, a suo modo, un colossal elettronico, e non tanto per la durata (più di due ore), quanto per
lo spiegamento di mezzi (dal computer al didgeridu di Hudson, dalle percussioni di Rich al pianoforte di
Braheny), di stili (dal synth-pop alla world-music) e di emozioni (dal magico al tragico, dall'estatico
all'eroico).
La sequenza dei brani è quella di un viaggio, che ha inizio con il
sequencer incalzante di Towards The Dream e termina nel gorgo di sintetizzatori di
Return (entrambe metafore: dell'uomo alla ricerca della verità prima e dell'uomo divenuto
saggio dopo, della transizione dallo stato di crisi allo stato di aver superato quella crisi).
Durante questo viaggio metafisico Roach si addentra in luoghi misteriosi
dello spazio e della mente, che vengono resi attraverso suspence oniriche punteggiate da ritmi primitivi ed
effetti elettronici (Airtribe Meets The Dream Ghost), per immergersi nei cerimoniali pagani, resi
da una rumoristica subliminale e da cori intermittenti (A Circular Ceremony), e giungere
sull'"altra sponda" di questo mondo che è innanzitutto un mondo interiore. Qui Roach si lascia
andare a un'estasi più metafisica, con languide melodie elettroniche alla Kitaro (The Other
Side) e fluttuazioni di sibili cosmici (Magnificent Gallery).
Penetrando sempre più in profondità questa dimensione
arcaica e arcana, Roach perviene a una musica di classica austerità, quasi una sonata per
pianoforte ed elettronica con la qualità immanente della musica ambientale (Truth In
Passing).
E' un viaggio che ha inizio sulla Terra attraverso paesaggi naturali, e che
poi si sposta nel mondo dell'esperienza, nel subconscio, nella memoria, nei meandri più ancestrali
e reconditi della mente.
Il pezzo forte del disco è lo sterminato psicodramma di Looking
For Safety, oltre mezz'ora di figure melodiche fluttuanti in lentissima evoluzione su un cupo rombo di
sottofondo, in cui un senso di tragedia incombente si stempera piano piano in un addolorato mantra
cosmico. Qui prende forma una liturgia del subconscio che si riappropria della dimensione più
autentica dell'animo umano, quella che può emergere soltanto a contatto con civiltà
ancestrali e che, proprio per questa ragione, non potrebbe essere più universale.
Prendendo spunto dal programma antropo-musicale di Jon Hassell, di
esplorare il subconscio collettivo che trascende le specifiche culture, Roach impiega il mezzo sciamanico
di recuperare una voce antica, primordiale, ma attraverso la tecnologia elettronica.
Da un clima più tragico, segnalato dalle dissonanze elettroniche di
Through A Strong Eye (l'occhio attraverso cui lo sciamano degli aborigeni può leggere il
futuro), Roach perviene al crescendo ritmato di Ancient Day, e infine a Red Twilight, in
cui una base elettronica piuttosto scheletrica viene attraversata da suoni alieni e canti rituali. I singhiozzi
soffocati del suo sintetizzatore accarezzano i fragili luccichii delle percussioni in arcani excursus
emozionali.
E' forse il disco più personale della sua carriera; né filtrato
attraverso una cultura aliena come quelli del periodo australiano, né influenzato da un genere
occidentale come quelli del periodo cosmico. Ne risulta un'opera tragica, pregna dello spirito del guerriero
metafisico, che deve fronteggiare le proprie paure e vincerle per affermarsi, pregna del senso di pericolo
che domina tutta la vita di Roach.
Con Dreamtime Return Roach realizza quello che è
sempre stato il suo sogno, quello di riuscire a comunicare al livello fondamentale del subconscio
collettivo, in uno spazio e un tempo che trascendono le specifiche culture.
Questo lavoro monumentale (più di due ore di musica) influenza i
lavori successivi, in tutti i quali Roach perviene a una sintesi suggestiva di moderno e di primordiale.
Affascinato dai rituali delle popolazioni aborigene dell'Australia, dai paesaggi desolati e immensi del
deserto, dai cicli vitali della natura, Roach tenta di renderli musicalmente usando una pasta elettronica
ricca di effetti eterei e surreali (è quasi impossibile riconoscere lo strumento che dà
origine a un certo suono), ciascuno calcolato per evocare una scena o uno stato d'animo, per provocare
nell'ascoltatore una sensazione di ipnosi e di immedesimazione. Il suo è, come quello di Hassell,
un altro arduo esercizio di astrazione sia dei suoni del Terzo Mondo sia del subconscio del viandante
occidentale. Con lui la sinfonia elettronica diventa folklore popolare.
Desert Solitaire (Fortuna, 1989), composto
con Braheny e Stearns e ispirato all'omonimo
libro di Edward Abbey, e` dedicato nuovamente al deserto. I brani di Roach, come Specter (con un
altro suggestivo contributo di Rich alle percussioni) e soprattutto quel concerto di ronzii che è
Highnoon sono allucinazioni elettroniche senza capo né coda che indulgono in un
sensazionalismo quasi horror. Con questo disco Roach scopre un nuove filone espressivo, più
contemplativo.
Strata (Hearts Of Space, 1990), una raccolta di poemi tonali di un
"quarto mondo" (nell'accezione di Jon Hassell) popolato di suoni che sono al
tempo stesso inintelleggibili e universali, è di fatto la
continuazione del lavoro sui ritmi "organici" iniziato con Dreamtime Return e completa
l'assimilazione della cultura musicale aborigena. I ritmi di
Robert Rich
conferiscono alla "quiet music" di Roach
una qualità più corporale e in definitiva umana, consentendo alle piece di Roach di
collocarsi in uno spazio più documentario e meno metafisico.
C'è qualcosa della suspence di Rich nell'ouverture di
Fearless. E' questa, benché temperata dai tintinnii paradisiaci di Forever, la
struttura portante dei grandi murali impressionisti di Grotto Of Time Lost, Iguana e
Magma, nei quali un'immagine viene diffratta fino a diventare macchia, vapore, sogno. Un uso
dosato e suggestivo degli effetti sonori rende più drammatica la musica, senza che la perdita di
consonanza risulti benché minimamente ostile.
Quest'arte psico-ambientale culmina nei brani dedicati ad oggetti privi di
suono naturale, come Persistence Of Memory, Ceremony Of Shadows e La Luna,
che infatti sono composti di suoni lugubri, di echi deformi, di lentissime evanescenze.
Una seconda visita in Australia è alla base di
Australia: Sound Of The Earth (Fortuna, 1991),
la testimonianza più profonda del suo rapporto con la civiltà
degli aborigeni.
Il nuovo viaggio nel subconscio collettivo ha inizio con Red Dust And
Sweat, un lungo brano le cui cupe vibrazioni al confine fra subliminale e cosmico vengono squarciate
di quando in quando da tribalismi primitivi, da versi di animali, da rumori naturali; e continua attraverso
l'impasto onirico di Atmosphere For Dreaming, nel quale vortici senza forma di musica
elettronica vengono solcati da voci di uccelli e da onde sonore inquietanti; per affondare nella tempesta di
Darktime/Initiation, il movimento più tenebroso e aggressivo, sostenuto da una pulsazione
martellante di legni e con tutto un carnevale di effetti sonori di sottofondo che allude a un ritualismo
occulto.
Come nei capolavori precedenti, il registro scelto da Roach è un
registro tragico, ma al tempo stesso privato di svolgimento drammatico, come se l'Amleto venisse ridotto a
un'apparizione sul palco di un attore che emette un gemito viscerale e si rivolge al pubblico con uno
sguardo terrorizzato. Roach dà fondo alle sue risorse elettroniche, mentre Hudson accorda il suo
didgeridu alle sonorità più misteriose e Sarah Hopkins (compositrice australiana
d'avanguardia) si alterna al violoncello, ai campanelli e allo "spirit catcher", uno strumento tradizionale
che si fa vorticare in aria.
Hopkins contribuisce ad Awakening The Earth, quattordici minuti
di pura follia all'elettronica e al violoncello. Il disco è completato dalle composizioni per
didgeridu di Hudson, che echeggiano la musica degli aborigeni in maniera più fedele (per esempio
la trascinante Call To Kuranda).
Ritiratosi a vivere nel deserto dell'Arizona, a pochi minuti da Tucson,
Roach rimane soggiogato da quel paesaggio lunare di cactus e sabbia, dalle grandi distese spopolate, dai
versi di coyote e avvoltoi, dal caldo soffocante.
Il doppio World's Edge (Fortuna, 1992)
riflette proprio quella virata esistenziale,
cattura l'essenza di vivere nel deserto e di dover re-inventare se stesso.
La title-track è l'ultima cosa registrata a Los Angeles, e presenta
subito la novità più importante dell'album: i ritmi. Roach assimila nel suo tetro habitat di
suoni elettronici in libertà anche i ritmi convenzionali della musica di consumo, i quali,
accoppiati alle lunghe frasi melodiche della scuola tedesca, definiscono atmosfere di quiete astrale. La
title-track risuona però di dissonanze lancinanti che esprimono le lacerazioni del subconscio, e al
tempo stesso di lampi e tuoni. Il tema preferito di Roach, quello di correre a testa bassa verso il "limite",
senza paura di cosa possa nascondersi "al di là", viene qui esplorato in maniera quasi
maniacale.
World's Edge è un concept sull'esperienza di vivere in
uno stato di crisi, di evoluzione e di rinnovamento. La metafora scelta da Roach è quella di chi
precipita in un abisso, ma prima di sfracellarsi al suolo riesce a costruirsi delle ali e a spiccare il volo.
A quel trauma psichico sono improntate le composizioni più
ossessive, come Undershadow e Beat Of Desire, apoteosi di un horror/eros tutto interiore
che spesso raggiungono un'intensità quasi sinfonica; mentre poemi astratti di dissonanze
più flebili, ma non meno angoscianti, come When Souls Roam, riprendono il suggestivo
viaggio nei recessi più oscuri del subconscio collettivo che prosegue ormai da dieci anni.
Atmosfere ancor più oniriche e rilassate cullano Drift e
Falling Flying Dreaming, come se l'artista fosse caduto in uno stato di trance mentre contemplava
le meraviglie del deserto. Forte di un'armonia più ordinata, Thunderground risulta
l'omaggio più commosso a questo paesaggio "del limite" (edge). Tutto il primo disco è
comunque sostenuto da arrangiamenti forti e virili, che portano il pathos a livelli snervanti.
Approfittando del carisma ormai acquisito, Roach indulge poi in un'ora
intera di improvvisazione elettronica, To The Threshold Of Silence. Ed è un'ora fitta di
stereotipi del genere: dai colpi di gong ai sibili intergalattici, dai cori gregoriani ai ronzii mantra,
passando per innumerevoli stasi trascendenti e fluttuazioni melodiose. Languido fino allo svenimento
(vedi il buco nero del finale in cui scompare l'intero magma sonoro), diluito fino ad annullare qualunque
qualità drammatica o cinematica, To The Threshold Of Silence sublima una tradizione
venticinquennale che parte da Saucerful Of Secrets dei Pink Floyd e Irrlicht di Klaus
Schulze.
Dopo quella titanica impresa Roach torna a collaborare con
Robert Rich,
ma Soma (Hearts of Space, 1992) risulta assai diverso da
Strata: i due compositori si sono ormai lasciati alle spalle
il retaggio delle suite elettroniche e sperimentano sugli aspetti più subdoli del suono e del ritmo.
Ogni brano è innanzitutto il proprio ritmo, un ritmo sempre carico di significati primordiali e di
valenze psicanalitiche. Su quel ritmo Roach distende le sue magiche atmosfere "alle soglie del silenzio"
immerse in strati e strati di mistero.
La prima facciata è un excursus in queste possibili forme del
silenzio, con picchi di smarrimento in Nightshade e ancor più in Silk Ridge; e
gran finale nella "danse macabre" della title-track. I due tentano persino di eseguire una Blood
Music, una musica che si ispira alla forma, alla dinamica, alla sostanza del sangue.
Origins (Hearts Of Space, 1993) è un'opera solista in quanto
rinuncia al potere suggestionante dei ritmi (salvo The Face In The Fire)
e indugia invece nei suoni ipnotici del didgeridu. L'ispirazione di Roach trova
sbocco in due formati quasi ortogonali: un raffinato modo di spargere rumori
sibillini per lasciar intendere presenze animali, umane e soprannaturali
(Connected Underground e In The Eyes Of The Spirit); e un
tenebroso impasto di borboglii e battiti, un magma primordiale da cui emergono
poco a poco forme e voci (Artifacts). Dalla fusione fra le due maniere
ha origine quella specie di cortometraggio surrealista che è
Dreaming Now Then.
Il secondo formato razionalizza una delle prassi che sottende molti dei suoi
lavori: la presenza dell'essere umano causa un "warp" sonoro nel mondo,
l'analogo della distorsione spazio-temporale provocata in relatività
generale dalle masse. Esplorando questo warp sonoro, il musicista sonda le
proprietà più segrete della condizione umana.
Approfittando dei tributi che gli vengono conferiti da ogni lato dello spettro
musicale (rock, jazz, classico e new age), Roach dà alle stampe una raccolta di
Lost Pieces (Rubicon, 1993),
composti fra il 1988 e il 1992. Molto più semplici in spirito e arrangiamento, questi
frammenti ci collocano in diversi filoni: l'elettronica melodica (Since We Are Away), la world-
music di Hassell (Full Moon Prophecy), il poema ambientale dei Cluster (Closer). L'unica
composizione con la complessità delle opere contemporanee è Three Reptiles Wait At
The Opening Of The Underworld, l'incubo surrealista di turno.
Roach vara poi il progetto dei Suspended Memories, reclutando il flautista
messicano Jorge Reyes e il chitarrista spagnolo Suso Saiz, una sorta di
supergruppo della musica new age.
Forgotten Gods (Hearts Of Space, 1993) e` il loro primo disco.
La suggestione maggiore dell'opera sta nell'accostamento dei due timbri
soprannaturali di Reyes e Saiz (i quali rimandano sempre in ultima analisi a un
qualche stato di trance) con l'elettronica atemporale di Roach. Con il flauto
di argilla di Reyes al posto della tromba di Hassell e gli "om" chitarristici
di Saiz al posto dei "droni" elettronici il trio ha creato un nuovo standard
di world-music d'autore, che si sublima quando i flauti di Reyes creano un
vortice sovrumano in Mutual Tribes o quando la chitarra di Saiz intona
i riverberi della Night Devotion. E Snake Song sembra voler
aggiungere alla ricetta anche la voce, con un registro-cantilena che discende
dal folklore dei pellerossa.
L'elemento più visibile è però il ritmo. Progredendo
nel suo processo di impersonificazione quasi maniacale della civiltà aborigena, Roach perviene a
una forma musicale sempre più aggressiva, sempre più tribale, di cui il delirio febbrile di
Different Deserts rappresenta il manifesto.
Roach è ormai maestro nel rendere musicalmente ed emotivamente
tutta la suspence che regna nel mondo naturale. Lo fa attraverso un cospicuo e capillare ricorso a piccoli
rumori da camera, piccole dissonanze che si susseguono con discrezione, come ticchettii di percussioni.
Lo spartito delle sue allucinazioni comprende così i suoni del deserto che perturbano tutta
Different Deserts e prendono il sopravvento alla fine, i rumori sinistri al buio di Saguaro
(che simulano coyote, avvoltoi, serpenti e insetti) e quelli metafisici della title-track (in cui i lunghi
maestosi "droni" delle tastiere sembrano indicare la presenza ultraterrena), per finire nello Shaman's
Dream, lasciato intuire tramite un tripudio di percussioni e dissonanze.
Il deserto è forse il vero protagonista di questa musica, imbevuta di
atmosfere magico-astrali, di pause sinistre, di cadenze preistoriche, di armonie organiche, plasmate sulle
forme dei cactus e dei serpenti.
Lo spartito di Earth Island è fatto di allucinazioni del sole,
tramite le quali si passa in un universo parallelo di echi e rumori naturali. La world-music futurista e
primitivista di Jon Hassell prevale invece in Melting World, un catalogo di suoni del subconscio
mixato in un vento gelido di sibili elettronici.
Le fosche e torpide movenze di First Man e Places
Inbetween insinuano visioni di altri tempi e altri luoghi, con Roach ancora alla scoperta di nuove vie
della world-music, nel tentativo sempre più ambizioso di coniare una musica del soprannaturale.
Ogni singolo suono di questi brani ha un suo ruolo psicologico (ma forse anche
antropologico, archeologico ed epistemologico).
Earth Island (Hearts Of Space, 1994) e` il secondo disco dei
Suspended Memories. La novità di questo lavoro, da Curandera a
First Blessing, è in realtà il canto, strumento ormai alla
pari con gli altri e deformato in maniera altrettanto arcaica.
Roach partecipa anche a
Ritual Ground (Silent, 1994 - Projekt, 2000), in collaborazione con il tedesco
Elmar Schulte.
Roach è più prolifico che mai. E' già pronto infatti
Artifacts (Fortuna, 1994), che segna un perentorio ritorno al mondo dei
ritmi tribali (Groundswell), accanto alle solite esasperazioni del timbro
del didgeridu (Thunder Brother), ma anche una certa stanchezza creativa.
Diversi brani riciclano idee di World Edge senza apportare sostanziali
novità.
Roach non approfondisce l'intuizione più profonda degli ultimi
tempi, quel modo subdolo di coreografare con i rumori le sue metafisiche passeggiate nel deserto. Il pezzo
forte del disco è in effetti la title-track, nella quale per venticinque minuti Roach scatena il suo
arsenale di rumori, ma, invece che tenerli discretamente in sottofondo, li scaraventa in primo piano, a
tutto volume. L'effetto è disorientante, come se la musica cosmica fosse finalmente arrivata dentro
un buco nero e venisse bombardata di materia aliena risucchiata a velocità folli.
Con i settantatre minuti di Dream Circle (Soundquest, 1994) Roach sferra
un altro memorabile colpo alle convenzioni musicali, dopo quello di
To The Threshold Of Silence. In questo bagno catartico al confine fra
musica cosmica (stile descrittivo, cinematico e fortemente cromatico) e musica
ambientale (figure melodiche in lentissima evoluzione, stasi, derive infinite,
timbri iridescenti) Roach sfodera le sue doti di regista di documentari sonori
privi di svolgimento drammatico. La musica trasmette sensazioni pacate,
di contatto con la natura, di risonanza con le frequenze fondamentali degli
animali e dei fenomeni naturali, di simbiosi mentale con l'inizio dei tempi, di
rassegnata costernazione al cospetto dell'effimera avventura umana nel contesto
grandioso dell'universo. Roach realizza il sogno di Brian Eno (una musica che
non deve essere ascoltata, pura muzak di sottofondo) ma la carica di un potere
subliminale.
Si tratta comunque di un altro ripensamento sulla strada della world-music.
Nel sottofondo del suo animo Roach rimane innanzitutto un "corriere cosmico".
I ritmi primordiali, il didgeridu, i rumori psicologici hanno scalfito soltanto
in superficie quella che rimane la sua vocazione più autentica:
l'esplorazione dello spazio, sia quello interiore sia quello esteriore.
Nel 1995 vedono la luce anche due collaborazioni di spicco: il monumentale
Well Of Souls (Projekt, 1995), con il belga Vidna Obmana, e
Kiva (Hearts Of Space, 1995), con Michael Stearns e Ron Sunsinger,
ispirato ad antichi cerimoniali dei pellerossa.
Il primo è un festival dei "droni" più subliminali, dalla
trance dolcissima di In The Presence Of Something al mix di tribalismo equatoriale e musica
cosmica di In The Realm Of Twilight. The Secret Arrival spiega come creare atmosfere di
mistero da un coacervo di suoni non legati fra di loro, privi di sviluppo tematico, facendo leva su icone
sonore ataviche.
La lunga e avvolgente suite The Gathering rende omaggio al
primitivismo futurista di Jon Hassell: ogni suono è calibrato millimetricamente per risvegliare dal
torpore millenario gli istinti primordiali. Il difetto di questi brani è una certa staticità, la
mancanza di sviluppo. La trama di Deep Hours è banale: un frastuono di dissonanze
intergalattiche crea uno spessore tragico che impiega venti minuti a dissolversi in uno stormo di droni
lunghissimi. In chiave minore invece Well Of Souls, concerto per spiriti e nebulose che si protrae
di nuovo per oltre venti minuti.
Nel complesso i brani di questo album sembrano note e appunti rimasti nel
cassetto di Steve Roach, ripresi e adeguati alla moda "ambientale" dal valente partner.
Le quattro suite di Kiva sono intervallate da campionamenti di canti
cerimoniali dei pellerossa. Il vero protagonista dei quattro "kiva" è il
pellerossa Ron Sunsinger, che vi infonde l'autentico spirito delle sue
tribù. Soltanto in West Kiva si riconosce la mano del maestro
elettronico, quando un folle tribalismo viene piano piano filtrato e raffinato
fino a lasciare soltanto scorie e detriti cosmici. Roach continua a oscillare
fra il labirinto metaforico e il saggio antropologico.
Al tempo stesso
l'amicizia contratta con Stephen Kent e Kenneth Newby dei Trance Mission
si concretizza nell'album Halcyon Days (Hearts Of Space, 1996).
Sembrera` banale, ma il sound e` precisamente una fusione fra i climi
da deserto di Roach e il futurismo primitivista dei Trance Mission.
I subdoli rumori elettronici del primo si sposano alle cadenze ritualistiche
di Kent e alle tenebrose fantasie di Newby.
Le promesse vengono mantenute negli affreschi imponenti di Halcyon Days
(lunga danza tribale che s'inalbera lentamente in un delirio di
sintetizzatori, didgeridu e percussioni.
Le visioni da incubo di First Day sono affidate a rumori inquietanti di
giungla (soffi di flauto, gracchiare di didgeridu, sonagliere, sibili
elettronici) su un magmatico ritmo da palude.
Le percussioni solenne e leggere, su cui ciclano i ronzii di didgeridu e si
distendono le calme preghiere del flauto, conferiscono invece a
Rainfrog Dreaming un'atmosfera quasi zen.
Si piomba in un incubo allucinogeno con gli echi e le vertigini di
Slow Walk At Stone Wash, il pezzo piu` psicologico della raccolta, tutto
suspence interiore e droni subliminali, con il ritmo che scompare e lascia
il campo a uno stormo di meteoriti di elettronica e di didgeridu.
Da li` ai silenzi astrali di Calyx Revelation il passo e` breve: le
dissonanze dell'elettronica vengono lasciate fluttuare in grandi spazi
armonici, lontano da ogni perdizione etnica.
I brevi acquerelli del deserto Snake Brothers e Riding The Atlas, dalla
cadenza briosa e dalla ricca polifonia, spezzano la tensione dei brani maggiori
e Kingfisher Flight sigilla il viaggio con un sinfonismo trionfale.
Architettato ed eseguito in maniera splendida, questo disco segna il ritorno
di Roach alla sua arte maggiore.
The Dreamer Descends (Amplexus, 1996) contiene
due composizioni per un totale di venti minuti. Senso di paura, angoscia,
mistero.
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The endless discographic production of maestro Steve Roach (by general
consensus one of the most influential electronic musicians of the 1980s) has displayed a
consistent average quality, although he has rarely matched the level of
inspiration of his landmark recording Dreamtime Return.
With promising belgian talent Dirk Serries (Vidna Obmana), Roach had already
recorded Well Of Souls, a work which, in retrospect, was a little too
episodic and casual.
The new chapter of their collaboration displays precisely the same virtues
and the same vices: an impeccable manipulation of timbres countered by a
lack of interesting plots. A rule of thumb in music is "the longer the piece,
the more ambitious it must be". Tracks such as Middle World Passage
(24 minutes) do not satisfy that rule.
The warped kaleidoscope of melodic textures, the simering percussive patterns,
the suspence that hides behind each note, are the quintessence of Roach's
style: what is missing is his soul.
We are entitled to expect a more thorough musical experience than this from our
electronica's Bach.
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Il nuovo capitolo della collaborazione con il belga Dirk Serries (Vidna Obmana),
Cavern Of Sirens (Projekt, 1997), presenta gli stessi pregi e gli stessi
difetti di Well Of Souls: l'impeccabile manipolazione timbrica
del duo contrapposta a una certa carenza di soggetti da esplorare.
Quella di Middle World Passage (24 minuti) e` una musica che si suona da
sola: basta programmare il crescendo di tribalismo e l'andirivieni delle
folate elettroniche.
Nel mondo della new age/ambientale/elettronica/etnica questi dischi hanno una
concorrenza spietata.
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If English is your first language and you could translate the Italian text, please contact me.
Scroll down for recent reviews in english.
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The Magnificent Void (Hearts Of Space, 1996), un concept dedicato
al vuoto, segna la definitiva conversione di Roach alla musica ambientale.
Il girovago del "quarto" mondo salpa per un quinto mondo, quello della pura
astrazione sonora. Il suo (ideale) compagno di viaggio non e` piu` Jon Hassell,
che viene sostituito dal Klaus Schulze piu` pittorico. Il viaggio comincia con
Between The Gray And The Purple, che vagisce droni al rallentatore per
rendere "domestico", intimo, vicino, il senso del nulla.
Infinite Shore e` un movimento sinfonico impostato invece sui timbri
piu` cupi, per passare a un registro imponente e melodrammatico:
frammenti melodici vengono lasciati fluttuare come sospiri di fantasmi.
Se la stasi tenera e malinconica di
Cloud Of Unknowing rasenta la musica ambientale,
The Magnificent Void si apre con rumori sinistri di percussioni
e prosegue fra rimbombi sempre piu` inquietanti: e` uno dei pezzi piu`
foschi e meno musicali della carriera di Roach.
Il tour de force di Altus (venti minuti) non aggiunge nulla che gli
altri brani non avessero gia` detto, ma riprende lo stile "totale",
"assoluto", di World's Edge, quel delirare dentro il delirio universale
e giocare ad essere piu` grande dell'universo intero.
I blocchi armonici di Altus, solenni e glaciali, si spingono
semplicemente "al di la`", s'inoltrano in territori sempre piu` terribili
fra misteri indecifrabili.
Roach e` il piu` grande affabulatore elettronico di sempre, l'equivalente
moderno dei cantastorie di un tempo: invece di raccontare le epiche imprese
di qualche eroe del passato, racconta quelle, piu` paniche che epiche,
di se stesso a caccia dei segreti del nostro universo.
Il sensazionalismo di questi brani e` "raccontato" da un Roach all'apice dei
suoi mezzi musicali. Ogni brano e` un certosino assemblaggio di "gesti" minuti,
ciascuno dei quali ha pero` una forza prodigiosa. Il timbro dell'elettronica
e` piu` che cristallino, e` quasi emozione pura.
La classe del compositore si riconosce nella moltitudine di dettagli che sono
nascosti dentro l'apparente semplicita` del gioco.
Il limite del disco e` invece il manierismo:
Roach, questo intrepido viaggiatore cosmico,
potrebbe continuare a suonare praticamente all'infinito.
E` questo il disco che lo impone anche fra i critici di musica jazz.
On This Planet (Fathom, 1997) e` tratto dal suo programma di
performance dal vivo e,
per i suoi standard, queste sono composizioni concise (la piu` lunga non
arriva a un quarto d'ora) e sono composizioni astratte, lontane dalle
sue tradizionali influenze etniche. Nell'era dell'ambientale Roach sta forse
cercando di farsi riconoscere il ruolo di pioniere che in effetti gioco`,
ma a scapito di una netta regressione artistica. Questi pezzi hanno un appeal
che e` puramente tecnologico: lo sforzo del compositore sta nello scovare
sonorita` sempre piu` suadenti e suggestive, nell'arrotolarle magicamente in
droni e loop e cosaltro, nel mischiarle con grazia soave (e un po' lisergica),
nello smussare la polifonia di qualchesia asprezza o spigolosita`,
nel servire in tavola con leggiadra e solenne eleganza. Ne risulta uno spartito
piu` subdolo e psicologico, rispetto agli studi elettro-acustici del passato,
ma anche un'armonia ridotta a gesti (per lui) scontati.
Roach ha un modo di mandare in loop una percussivita` frenetica e leggera che si
ascolta e riascolta fino alla nausea in Journey Of One e Ecstasy Of Travel.
Brani come Nexus Place e A Darker Star sono privi di trama e di
messaggio, sono semplicemente collage di stereotipi di Steve Roach.
Alla fine la musica si fa snervante, stucchevole e auto-indulgente.
I momenti migliori potrebbero far parte di una colonna sonora per un
planetarium: la nuvola minacciosa di Void Memory, da cui fanno capolino
volute di droni e dissonanze, i suoni naturali e l'elettronica alla deriva in
orbite remote di Heart Of The Tempest, i toni lunghi e il tribalismo
della title-track.
A sorpresa, Roach fa amicizia con un chitarrista folk e compone
Dust To Dust (Projekt, 1998),
un disco di musica radicata nella tradizione americana che non potrebbe
essere piu` lontano dal suo stile elettronico.
Gone West e` un country del deserto per chitarra e armonica, un qualcosa di
onirico che ricorda il Neil Young della colonna sonora di Dead Man.
A Daze Wage va alla deriva al confine fra gli acquerelli di Leo Kottke e
il minimalismo: un riff affilato incalza su un substrato di rumori
percussivi e su uno sfondo di languida elettronica.
A Bigger Sky e` un solenne inno per pellerossa allucinato,
Snake Eyes e` musica cerimoniale per tribu` sotterranee,
Rain And Creosote e` una ballad romantica e desolata.
L'oscuro gregario King fonde in maniera esemplare e quasi miracolosa la
sensibilita` del blues all'afflato metafisico di Roach.
La tecnica michelangiolesca di Roach prende il sopravvento soltanto in
The Ribbon Rails Of Promise, undici minuti di ritmo frenetico e di
fluttuazioni mistiche (il Riley della Rainbow In Curved Air accompagnato da
un'armonica) e il Lost And Forgotten, musica per pause e silenzi memore
della sua stagione "australiana".
A chiudere l'opera e` Ghost Train, il brano piu` difficile, un accumulo
disordinato di accordi e discordi, in cui e` possibile riconoscere l'ideale
anello di congiunzione con l'inizio, di nuovo all'insegna di una musica country
rarefatta e allucinogena.
Indefinibile e probabilmente irripetibile, questo disco ha il fascino
della musica che viene dal cuore. Roach (residente nel deserto dell'Arizona)
ha finalmente aperto il suo animo
al suo ambiente naturale e, per la prima volta da quando scrive musica,
e` diventato parte del proprio ecosistema.
The Ambient Expanse (Mirage, 1998) e` condiviso con
Patrick O'Hearn, Vidna Obmana, Stephen Bacchus e Vir Unis.
Roach vi contribuisce Eternal Expanse, una composizione di diciotto
minuti che si riallaccia alla musica cosmica dei suoi primi anni, alle
onde galattiche, ai droni minacciosi, ai trilli colorati, alla metafisica
dell'infinito e dell'ignoto. Impostata sui timbri piu` colorati delle
sue tastiere elettroniche, e`, proprio questa umile appendice a una
compilation, una delle sue suite piu` riuscite.
The triple-disc
Ascension Of Shadow (Projekt, 1999) was his third collaboration with
Vidna Obmana.
Body Electric (Projekt, 1999) continua la collaborazione con Vir Unis,
elevando quest'ultimo a coautore del disco. Il disco, fosse anche solo per
l'uso delle rhythm machine, e` molto piu` leggero dei precedenti:
Born Of Fire e` un incrocio fra gli esperimenti percussivi di
Ummagumma, la world-music da discoteca e il jazz-rock piu` soffice;
Pure Expansion vorrebbe emulare il fuoco spirituale dei rituali
primitivi, ma i poliritmi sono gelidamente artificiali;
Cave of The Heart cincischia con l'elettronica su un ritmo
apatico. A redimere il disco sono brani piu` umili come
Gene Pool, Homunculus Within e Solar Tribe, nei quali
si sentono soltanto i suoni della giungla, della palude, della savannah.
Il disco rappresenta certamente una svolta nella carriera di Roach, perche'
il musicista non era mai stato cosi` aggressivo.
Vir Unis e` co-protagonista anche di Light Fantastic
(Hearts of Space, 1999), benche' il disco sia accreditato soltanto a Roach.
I ritmi frenetici e sincopati di queste collaborazioni lasciano sempre
l'amaro in bocca. L'idea e` che ritmi e melodie si scambino i ruoli: i ritmi
fungono da melodia e i toni ambientali di Roach battono il tempo.
In realta` brani come Trip The Light
sembrano semplicemente un tentativo di speculare sulla moda del drum'n'bass.
Per il resto, uno puo` scegliere fra il compositore stanco e pigro di
The Reflecting Chamber o quello auto-indulgente di Touch The Pearl
(di fatto un lungo loop di un pattern elementare) o quello che usa stereotipi
della musica di Steve Roach per comporre la "musica leggera" di
Realm Of Refraction. E The Luminous Return sembra uno scarto
da Magnificent Void.
Rispetto al disco precedente manca persino l'appeal dei cerimoniali primitivi.
La sterminata produzione discografica di Steve Roach (senz'altro uno dei nomi
piu` importanti della musica dell'ultimo Novecento) si accompagna a una qualita`
media di tutto rispetto, anche se raramente e` tornato ai livelli di
Dreamtime Return.
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Steve Roach's already prolific career has shifted gear with the founding of his
own Timeroom label.
Slow Heat (Timeroom, 1999), a 71 minute composition, appears to be
the most ambitious work. The long-dreaming-suite structure recalls
Dream Circle (Soundquest, 1994), and his "cosmic" recordings in general.
Roach's has often veered towards world-music for the sake of experimenting
with new timbres and new rhythms, but at the bottom he has remained the same
philosopher he was at the beginning. Prove is that, when he lets his electronic
keyboards roam the universe, he produces the most conceptual and original works.
Slow Heat is very much a soundtrack of his favorite environment, the
Arizona desert, but also a natural bridge between that arid, hostile, inorganic
landscape and the crowded horizons of the skies. The suite begins with sounds
of nature and soon develops into a psalm or mantra to the nebulae and the
cosmic winds. We are sitting in the desert and, as we start contemplating the
galaxies, we are slowly drawn away from the surroundings and led to a
fantastic voyage. Then time takes over space: instead of traveling to distant
places, we travel to distant times. Drones dissolve into ghostly noises
and echoes, as if we entered an ancient grotto. The music, less grandiose and
ever thinner, loses its descriptive quality and acquires a psychologic quality.
We are searching our souls, not the universe, for life. The music comes
to a standstill, to silence, to the sounds of nature. We are back in the
desert. Then the cycle resumes and we are flying one more time in stratosphere.
We land, one last time, amongst sounds of water and smoke. The desert has
turned into the primeval eden.
Decades from now Steve Roach will judged on the merits of symphonies like
Slow Heat.
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(Translation by/ Tradotto da Marina Troiani)
La gia` prolifica carriera di Steve Roach ha cambiato decisamente marcia da
quando egli ha fondato una propria casa discografica: la Timeroom.
Slow Heat (Timeroom, 1999), una composizione di 71 minuti, e` il
suo lavoro piu` ambizioso. La struttura della fantasiosa suite richiama alla
nostra memoria sia Dream Circle (Soundquest, 1994) che le sue
incisioni "cosmiche" in generale. Sebbene spesso Roach abbia cambiato
orientamento rispetto al rimanente mondo musicale per poter sperimentare
nuovi timbri e nuovi ritmi, tuttavia nel profondo egli e` rimasto pur sempre
il filosofo degli esordi. Prova ne sia il fatto che, quando lascia vagare le
sue tastiere elettriche per l'universo, produce i lavori piu' concettuali ed
originali. Slow Heat e` senz'altro la colonna sonora del suo
ambiente preferito, il deserto dell'Arizona, ma anche un ponte naturale fra
l'arido, ostile , inorganico paesaggio e i luminosi, vitali orizzonti
celesti. La suite si apre con suoni della natura e subito si trasforma in un
salmo o un mantra alle nubi e al vento cosmico. Seduti nel deserto, mentre
contempliamo le galassie, veniamo dolcemente rapiti dai suoni
e dall'atmosfera che ci circonda e guidati in un fantastico viaggio. Il
tempo sorpassa lo spazio: piuttosto che viaggiare attraverso luoghi lontani,
viaggiamo attraverso tempi lontani. I drones sono assorbiti da echi e
suoni
ultraterreni, come se stessimo entrando in una antica grotta. La musica,
meno
possente e sempre piu` sfumata, perde le sue caratteristiche descrittive per
acquisire una qualita` psicologica: siamo alla ricerca del nostro stesso
spirito, non piu` dell'universo, per vivere. La musica approda al punto di
arresto, al silenzio, ai suoni della natura. Siamo tornati nel deserto. Il
ciclo poi riprende e voliamo nuovamente nella stratosfera. Atterriamo, per
l'ultima volta, fra suoni di acqua e nebbia. Il deserto e` tornato all'eden
primordiale.
Fra qualche decennio Steve Roach sara` valutato per i meriti di sinfonie
come Slow Heat.
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Atmospheric Conditions (Timeroom, 1999) groups three ambient/trance
compositions
that are not quite thematically related.
Underground Clouds Over a Secret Grotto is truly
impressionistic music: the piece, thanks to a sophisticated by understated
array of slowly dissolving loops and deeply resonating echoes,
is virtually a painting of a grotto and clouds, the way a late Monet would
have done it, sketchy and lyrical.
Only towards the end, the descriptive, cinematic soul of Roach prevails and
leads us through a more literal tour of the grotto's magical habitat.
It wouldn't be surprising if Roach, given his mastery of tones, became
the Debussy of cosmic music.
In The Heart of Distant Horizons is a very subdued piece of slowly
evolving drones. While the effect recalls dreaming, there is almost no action:
images drown in the metaphisical semiosphere.
One perceives a new mood in Roach's music: the youthful exuberance and
exploration (that lasted well beyond his chronological youth) are rapidly fading
into a form of inward-looking wisdom.
The dramatic symphonic poems that crowned his career (and sometimes led to
repetitions) are being replaced by slow-motion sonatas that express
deeply felt emotions.
The center of his music has shifted from the anthropological
to the philosophical.
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Atmospheric Conditions (Timeroom, 1999) e` un gruppo di tre
composizioni non correlate tematicamente.
Underground Clouds Over a Secret Grotto puo`
definirsi musica impressionista: il brano, grazie a sofisticati e soffusi
insiemi di nodi che si sciolgono dolcemente ed echi risonanti in lontananza,
e` virtualmente un dipinto con grotta e nubi, alla maniera di Monet, lirico
e impreciso. Solo verso la fine, l'animo cinematico e descrittivo di Roach
prevale e ci guida attraverso una visita piu` letterale del magico ambiente
della grotta. Non ci sorprenderebbe che Roach, per la sua padronanza di
accordi, diventasse il Debussy della musica cosmica.
In The Heart of Distant Horizons e` un brano molto sommesso
eseguito da drones progressivamente incalzanti. Non c'e` quasi movimento
mentre alla nostra mente giungono sensazioni oniriche: le immagini creano
una semiosfera metafisica.
Si nota una nuova inclinazione nella musica di Roach: l'esuberanza giovanile
e il gusto per l'esplorazione (durati ben oltre la sua giovinezza
anagrafica) sono rapidamente evoluti in una saggezza introspettiva. I
drammatici poemi sinfonici che coronarono la sua carriera (e che qualche
volta lo portarono a ripetersi) vengono sostituiti da lente sonate che
esprimono piu` profonde emozioni. Il centro della sua musica si e` evoluto
dall'antropologico al filosofico.
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The collection of rarities
Truth & Beauty: Lost Pieces vol 2 (Timeroom, 1999)
is a "must" only for the completist. It does contain a few gems,
notably Aftermath (1992)
and one tracks with Suso Saiz that did not find space on
Forgotten Gods (Hearts Of Space, 1993): Earthman,
but overall it is truly meant to fill a void in the critic's discography.
These pieces are made a little insignificant by so much important music that
Roach has produced since they were recorded.
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La raccolta di introvabili
Truth & Beauty: Lost Pieces vol 2 (Timeroom, 1999) e` un "dovere"
solo per collezionisti. Contiene un paio di gemme, segnaliamo
Aftermath (1992) e un pezzo con Suso Saiz che non aveva trovato
spazio all'interno di Forgotten Gods (Hearts Of Space, 1993):
Earthman, che nell'insieme merita di riempire un vuoto nella
discografia critica. Questi brani risultano pressoche' insignificanti di
fronte alla ben piu` importante musica a cui Roach ci ha abituati sin dagli
esordi.
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Vine - Bark & Spore (Timeroom, 2000) is shared with electronic
comrade Jorge Reyes.
The exotic vignette Sorcerer's Temple warms up the duo for the
supernatural vortex of The Holy Dirt.
The dense texture of percussions and keyboards manages to be uplifting instead
of threatening while the hypnotic repetition acquires a tribal quality.
The exorcism leads the duo to the vast, peaceful ocean of
Night Journey, floating with drones of didjeridoo over the jungle,
a music not of sounds but of shadows of sounds, and not multidimensional but
monodimensional; in a word, a music of silhouettes.
Compared with those psychological nightmares, Spore And Bark is
a pastoral symphony, its thick carpet of natural sounds and its otherworldly
voices pointing to some inner understanding of the human and the earthly.
The album is also helped by a somewhat psychedelic feeling. All tracks are
played like in a stupor, in a trance, in a loss of reference frame.
There are two Steve Roach. One is the cosmic courier, the protagonist,
the wild and heroic electronic soloist who rides on tumultous melodies towards the
unknown. The other Steve Roach is merely supporting cast: he can fill the
stage with fantastic elegance and nonchalance, but what he does is "background".
Over the last three years (after Magnificent Void ),
Roach has rarely been the protagonist and sometimes a mere
"background" (no matter how wonderful) and a mere background for music without
a protagonist. In this collaboration Roach is not the protagonist, he is only
the background, but Reyes' fascination with primitive and magic cultures
fills the part.
In a sense, the closing track, Gone From Here, doesn't seem to belong
here, because it is a (20-minute) cosmic symphony of epic proportions,
where sound is used in a visual manner reminiscent of early Klaus Schulze, and
with a prominent organ aria that recalls Constance Demby's
Novus Magnificat.
Melodic lines drift and orbit in galactic spaces. Michelangelo's hand can
be recognized in how a sculpture evokes mortality: Roach's hand can be
recognized in how the music evokes eternity.
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(Translation by/ Tradotto da Walter Consonni)
Vine - Bark & Spore (Timeroom, 2000) è condiviso con il
compagno dedito all'elettronica Jorge Reyes. La vignetta esotica
Sorcerer's Temple scalda il duo per il turbine divino di The Holy
Dirt. Il denso impasto di percussioni e tastiere manovra in modo tale
da innalzare lo spirito piuttosto che per suonare minaccioso, mentre la
ripetizione ipnotica acquisisce caratteristiche tribali. L'esorcismo guida
il duo all'esteso e tranquillo oceano di Night Journey, fluttuando
con ronzii di didjeridoo sopra la giungla, una musica non fatta di suoni ma
di ombre di suoni, e non pluridimensionale ma monodimensionale; in una
parola, una musica di silhouettes. Paragonato a questi incubi psicologici,
Spore And Bark è una sinfonia pastorale, con il suo fitto
tappeto di suoni naturali e con le sue voci spirituali che indicano
qualcosa di interiore comprendendo l'umano ed il terrestre. L'album
è anche assistito da un'atmosfera psichedelica. Tutti i brani sono
eseguiti come in stato d'incoscienza, in uno stato estatico, in una
condizione di perdita del proprio corpo.
Ci sono due Steve Roach. Uno è il messaggero cosmico, il
protagonista, lo sfrenato ed eroico solista elettronico che cavalca su
tumultuose melodie verso l'ignoto. L'altro Steve Roach è
semplicemente una figura di supporto: lui può occupare la scena con
una fantasica eleganza e con nonchalance, ma quello che fa è
"background". Durante gli ultimi tre anni (dopo Magnificent Void ),
Roach è stato raramente protagonista e talvolta un semplice
"background" (non importa quanto meraviglioso) ed un semplice sottofondo
per una musica senza protagonista. In questa collaborazione Roach non
è il protagonista, è solo il sottofondo, ma la fascinazione
di Reyes per le culture primitive e magiche riempie completamente
l'ambiente. In un certo senso, il brano che chiude l'album, Gone From
Here, sembra essere fuori luogo, perchè si tratta di una
sinfonia cosmica di proporzioni epiche (20 minuti), dove il suono è
utilizzato in una maniera visuale che richiama alla mente il primo Klaus
Schulze, e con un'aria di organo prominente che ricorda Novus
Magnificat di Constance Demby. Le linee melodiche vanno alla deriva e
descrivono orbite negli spazi galattici. La mano di Michelangelo può
essere riconosciuta per come la sua scultura evochi la mortalità: la
mano di Roach può essere riconosciuta per come la sua musica evochi
l'eternità.
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Midnight Moon (Projekt, 2000) marks the first time that Roach played
the guitar, and actually built the entire album around it. But make no mistake:
the guitar is hardly recognizable. Its sound has been metabolized by
Roach's electronic periphrases. Furthermore, the guitar is only a device.
The soul of the album is the soul of the artist, that was caught at time of
minimal activity, late at night or early in the morning. That moment fostered
psychological introspection, rather than cosmic wandering, and the result
is as dark and unsettling as it could be. Roach the psychologist has
analyzed Roach the patient and the findings are not pretty.
The static tones of Ancestor Circles evoke a deadly chillingness.
A multitude of spectral voices rises in Deadwood.
Broken Town reverberates like a chamber orchestra playing
acid-rock.
Later Phase is 12 minutes of pure cinematic suspense: sonic blocks
move but we only perceive the shadows, we are encircled and we can't escape,
and we can't see who is cornering us.
Nature's deepest secrets engage the mind's most obscure recesses in a
dreadful dialogue.
The somnambulant 22-minute suite Midnight Loom weaves
cascading guitar strums around the softest electronic background Roach has
ever conceived, the musical equivalent of slow-motion breathing,
almost a tribute to zen meditation.
This is not music of hypnosis, it is music of hibernation.
Very few Roach recordings show so little dramatic development.
This is almost an alter-Roach, a musician who shuns grand gestures in favor
of humble self-examination.
Stubbornly personal even when he disavows himself.
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(Translation by/ Tradotto da Walter Consonni)
Su Midnight Moon (Projekt, 2000) Roach ha imbracciato per la prima
volta la chitarra, ed alla fine ha costruito l'intero album attorno a questo strumento. Ma non ha sbagliato: la chitarra è a malapena riconoscibile. Il suo suono è stato metabolizzato dalle perifrasi elettroniche di Roach. Per di più, la chitarra è solo una trovata.
L'anima dell'album è l'anima dell'artista, che è stata
catturata al tempo dell'attività minimale, alla notte tardi o presto al mattino. Quel momento ha incoraggiato l'introspezione psicologica,
piuttosto che il vagare cosmico, ed il risultato è tanto oscuro ed instabile quanto potrebbe esserlo. Roach lo psicologo ha analizzato Roach il paziente e ciò che ha scoperto non è piacevole. I toni
statici di Ancestor Circles evocano una freddezza mortale. Una moltitudine di voci spettrali si leva in Deadwood. Broken Town suona come un'orchestra da camera che si cimenti con l'acid-rock. Later Phase rappresenta 12 minuti di pura suspense cinematografica: blocchi sonori si spostano ma noi ne percepiamo solo le ombre, siamo circondati e non possiamo scappare, e non possiamo vedere chi ci sta mettendo con le spalle al muro. I più profondi segreti della natura impegnano i più oscuri recessi della mente in un terrificante dialogo.
La suite sonnambula di 22 minuti Midnight Loom intreccia strimpellii di chitarra torrenziali attorno ai più delicati sottofondi elettronici che Roach abbia mai concepito, l'equivalente musicale della respirazione rallentata, quasi un tributo alla meditazione zen. Questa non è musica da ipnosi, è musica da ibernazione.
Pochissime registrazioni di Roach evidenziano un così esiguo svilu
ppo drammatico. Questo è quasi un Roach alternativo, un musicista
che sfugge le gesta imponenti a favore di una dimessa introspezione. Osti
natamente personale anche quando Roach sconfessa se stesso.
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Prayers To The Protector (Celestial Harmonies, 2000) is a collaboration
with Buddhist monk Thupten Pema Lama. A more appropriate title would be "mass",
because the album contains five prayers and one instrumental.
Roach's accompaniment is too obvious. Roach gets drawn into the mystical
atmosphere created by the monk's chanting but, alas, forgets to add his own
mythological vision of the world. A mere soundtrack to some religious event
is not as exciting as incorporating that event's soul into the artist's soul.
Early Man (Projekt, 2000) is a very ambitious work (and a very lengthy
one at about 140 minutes), and, in many ways, it constitutes
the culmination of Roach's ethno-ambient research, its evolution into
a new genre of musical anthropology.
The two discs are complementary.
Disc one is a musical documentary: it follows a day in the life of an
early man through six different natural environments
(Early Dawn, the 25-minute colossus
Early Man, Begins Looking Skyward,
Walking Upright,
Hunting & Gathering,
Flow Stone).
Roach's electronic chemistry can indulge in manufacturing cryptic, slow-moving
and magic soundscapes.
The rhythm and the electronics follow the primordial human through his dreams,
fears and rituals.
The tracks on disc one have a fairy-tale quality, whereas disk two is a
far more subliminal affair.
The second set of tracks, which technically are produced by a process of
decomposition and recomposition of disc one (i.e., they are remixes),
hint at the early man's states of
mind, at their inner life. Trance is the medium to communicate back in time
million of years.
Here, Roach's soundsculpting is both subtle and visionary.
Pure Flow (2001) is a compilation of some of his most soothing and relaxing compositions:
In The Heart Of Distance Horizons from
Atmospheric Conditions,
Slow Heat from Slow Heat,
Gone From Here from Vine - Bark & Spore,
The Dream Circle from The Dream Circle,
This And The Other and The Unbroken Promise from Truth and Beauty, etc.
Roach gives everything he has gotten in terms of atmospherics for the
double-CD
The Serpent's Lair (Projekt, 2001), a collaboration with percussionist
Byron Metcalf (also featuring Dirk Serries, Jorge Reyes, Vir Unis).
Technically, the key ingredient of all tracks is
the studio manipulation of "shamanic" percussions (shakers, clay pots,
toms, etc). This is the main feature and the main limit of the entire work
(if you don't like the sound of "shamanic percussions", you won't like
anything here).
But the album is, above all, a tribute to his life's main obsession: shamanism.
Throughout his career and his travels, Roach has merely been repeating the
same shamanic act.
The opening track, The Lair, is a metaphor for Roach's artistic persona
and the archetype for the rest of the album: ghostly symphonic drones (the
superhuman, cosmic, desire) lull a tribal beat (the ancestral. ritual,
earthly element).
Since the early years, Roach's art has arisen
from the merging of these two elements.
The same pattern is exhibited
in Rite Of Passage
(filtered strains of voice and didjeridoo enhance the driving tom-toms).
The music tends to be a little too diluted. Very little happens in these
sprawling tracks. Where Roach's epic soundtracks used to pack emotions to
the limit, these slowly rotating mirages have totally been emptied of
feelings.
The liquid and relaxed shuffle of Big Medicine would even appeal to chill
rooms.
Sometimes, the guests determine the sound.
Jorge Reyes adds an arsenal of odd flute sounds to Birthright and
Osmosis.
Jim Cole colors
Serpent Clan and Beating Heart Of The Dragon Mother
with his mantra droning.
While intriguing, these collaborations do not sound completely in sync with
the rest of the album.
Mostly,
the music is like whispered, barely audible. Roach employs the weakest tones
and toys with the most fragile harmonics.
Egg Chamber Dreaming,
an abstract sound sculpture that slowly coalesces in a tidal drone,
is a solo Roach, and dwarfs anything else that preceded it.
Things get truly eerie on the second disc, when the
subsonic, subaquatic, subliminal variations of Offering In Waves,
the unfocused echoes and fluctuations of Impending Sense of Calm,
the dilated thunder of Primal Passage
(all solo Roach compositions)
force a new pace that basically dispenses with rhythm.
The composer seems to test his audience's ability to "listen" (as in the
"deep listening" experiences of Pauline Oliveros).
The mostly vocal invocation of Ochua (with the instruments barely
alive, resembling distant breezes in slow motion rather than orchestrated
sounds) enhance the feeling of languid, anemic, stoned.
These tracks may mark a transition in Roach's career from ambient/cosmic
trance to deeply interior and abstract music.
The 23-minute Cave Dwellers achieves the ultimate synthesis of
voices, electronics and processed percussions,
a cloud of psychedelic chanting, muted beats and amorphous drones,
an organic sludge of improvised studio effects
adrift in primordial dreams and decomposing psyches.
Here, Roach gets terribly close to reenacting Stockhausen's experiments with
electronic music.
Not everything shines on this double disc, but Roach has probably opened
up new horizons (yet again) for electronic music.
At The Edge Of Everything (2013) documents live performances of 2000.
In Steve Roach's vocabulary, the word "rhythm" has always meant "tribal beats"
(as in "primitive civilizations") and mainly performed with
Australian/African/Native American percussions.
Core (Timeroom, 2001) is an experiment on rhythm that transcends
those origins (literal and figurative origins).
In a sense, it takes the tribal beat of The Lair and
turns it into a frantic, syncopated beat
that, at times, sounds like a snippet of the rhythm of
Miles Davis' jazz-funk processed through a loop machine
(Wings Of Icarus), and at times an accelerated version
of Pan Sonic's glitch music
(Resonation Revelation).
Too much of the album is filler, though, and, while in itself intriguing, the
Terry Riley-ian minimalism of Endorphin Dreamtime hardly fits in
this project.
Streams & Currents (Projekt, 2002) returns to the concept of
Midnight Moon: guitar-based ambient music.
The music, mostly improvised, has the "unfinished" and "trivial" quality of
Robert Rich's Somnium: it never develops into anything.
But where Rich's "triviality" ends up sounding magic and otherworldly, Roach's
album sounds merely... unfinished and trivial.
Continuing Core's experiment,
Trance Spirits (Projekt, 2002) contains seven tracks of percussive
music, vaguely inspired by Roach's favorite themes of primitive trance and
cosmic journey.
The most powerful is Taking Flight, in which
the tribal drums of Jeffrey Fayman and Momodou Kah set an apocalyptic pace
that Robert Fripp's guitar and Steve Roach's keyboards tame with an eerily
shifting melodic soundscape.
(Fayman is actually a synthesist on his own, as proved by A Temple In the
Clouds, 2000, which was a previous collaboration with Robert Fripp).
The remarkable energy of the opening track is, alas, diluted in the 16-minute
meditation/reportage Trance Spirits, and the album never truly recovers,
not even when the energy resurfaces in The Calling and In The Same
Deep Water.
The introspective vein is no less attractive than the tribal one:
the keyboards-only Seekers is actually one of Roach's most subliminally
disturbing pieces in recent times, and the Fripp-Roach collaboration in
Year Of The Horse is soundpainting at its most metaphysical
(it could do without the "hybrid groove").
The problem is the same as on previous Roach albums: some ideas are stretched
for far too long, without adding much to the first few minutes.
Day Out of Time (2002) is a film soundtrack.
All Is Now (2002) is a double-disc of live performances.
Darkest Before Dawn (Timeroom, 2002) delivers another disc-long (74 minutes) composition, a brooding, slowly-advancing dronefest that unfortunately simply repeats itself ad libitum.
Mystic Chords and Sacred Spaces (Projekt, 2003) is a four-CD set,
five years in the making,
each disc containing a multi-movement hour-long composition:
Mystic Chords & Sacred Spaces, Labyrinth,
Recent Future, Piece of Infinity.
The first one begins with the
celestial beginning of Palace of Nectar, peaks with the
neoclassical drift of Within the Mystic, and ends
with the ethereal and truly cosmic Vortex Ring.
Labyrinth mixes sounds of birds in the 15-minute
Wren and Raven and plunges into a
psychedelic spacetime warp with the nine-minute Wonderworld;
then it drifts in the ethereal sea of the eleven-minute Dream Body,
and loses itself in the sparkling haunted forest of the nine-minute Nameless.
The highlights of
Recent Future are: the
simple dilated hymn of Turn to Light,
the gloomy nebula of Personal Nature
and parts of the cinematic
The Spiral of Time's Fire Burns On.
The 73-minute Piece of Infinity is the worst offender in terms of
redundancy, a languid anemic drone that does very little in 73 minutes other
than stare at itself in the mirror.
The four discs are, in fact, a good example of "diminishing return".
As one progresses, the amount of music that is truly essential diminishes
almost exponentially.
Texture Map (2002), that includes a 20-minute leftover from Dreamtime Return,
Life Sequence (2003),
Texture Maps - The Lost Pieces Vol 3 (2003) and
Places Beyond - The Lost Pieces vol 4 (2004)
racked up a few more of Roach's "lost pieces".
Fever Dreams (Projekt, 2004), featuring Patrick O'Hearn on bass and Byron Metcalf on percussion (and mostly taken up by the colossal Tantra Mantra), opened a trilogy, continued by Fever Dreams 2 - Holding The Space (2004) and the double-disc Fever Dreams III (2007), that contains the 73-minute Melted Mantra (not a mantra but rather a muffled tribal dance).
Mantram (Projekt, 2004) is a collaboration with Byron Metcalf on percussion and Mark Seelig on bansuri flute in eight untitled parts.
Proof Positive (2006) contains sequencer-driven compositions, notably the frantic Adreno Stream.
Half way between Pauline Oliveros' "deep listening" and Robert Rich's "sleep concerts",
Immersion - One (Projekt, 2006),
Immersion - Two (Projekt, 2006),
Immersion - Three (2007) and
Immersion - Four (2009)
are colossal "tone meditations for the living space", i.e. largely improvised
hour-long pieces of floating electronica. Deliberately missing from this
project is the fire of Roach's cosmic journeys.
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(Translation by/ Tradotto da Marco Buffetti)
Prayers To The Protector (Celestial Harmonies, 2000) è una collaborazione con il monaco buddista Thupten Pema Lama. Un titolo più appropriato sarebbe stato “messa”, perché l’album contiene cinque preghiere, di cui una strumentale. L’accompagnamento di Roach è troppo banale. Roach viene attirato dentro la mistica atmosfera creata dal canto del monaco, ma, ahimè, dimentica di aggiungervi la propria visione mitologica del mondo. Una semplice colonna sonora per qualche evento religioso non è tanto emozionante quanto un’unione fra l’anima dell’evento e quella dell’artista.
Early Man (Project, 2000) è un lavoro molto ambizioso (e molto lungo, circa 140 minuti), e, per molti versi, costituisce il culmine della ricerca etno-ambientale di Roach, la sua evoluzione verso un nuovo genere di antropologia musicale. I due dischi sono complementari. Il primo disco è un documentario musicale: segue un giorno della vita di un uomo primitivo attraverso sei diversi ambienti (Early Dawn, il colosso da 25 minuti Early Man, Begins Looking Skyward, Walking Upright, Hunting & Gathering, Flow Stone). La chimica elettronica di Roach può concedersi di creare enigmatici, lenti e magici paesaggi musicali. Il ritmo e l’elettronica seguono l’uomo primordiale attraverso i suoi sogni, le sue paure e i suoi rituali. Le tracce del primo disco hanno uno stampo fiabesco, mentre il secondo disco è qualcosa di molto più subliminale. I brani del secondo disco, che sono tecnicamente creati attraverso un processo di decomposizione e ricomposizione di quelli del primo (cioè sono dei remix) alludono agli stati d’animo dell’uomo primitivo, alla sua vita interiore. Lo stato di trance è il mezzo attraverso cui comunicare indietro di milioni di anni: Slow Dissolve, Walking Upright II, Fossil And Fern, Mastodon, Elemental, Late Dawn, Timeline, Carbondate, Below Always. Qui le sculture di suoni di Roach sono sia delicate che visionarie.
Roach mette in pratica tutto ciò che ha imparato in termini di fenomeni atmosferici per il doppio CD The Serpent’s Lair (Project, 2001), una collaborazione col percussionista Byron Metcalf (assieme a Dick Serries, Jorge Reyes e Vir Unis). Dal punto di vista tecnico, l’ingrediente chiave di tutte le tracce è la manipolazione in studio delle percussioni “sciamaniche” (shaker, pentole d’argilla, tom, ecc.). Questo è il principale elemento e il principale limite dell’intera opera (se non ti piace il suono delle “percussioni sciamaniche”, non ti piacerà nulla qui). Ma l’album è soprattutto un tributo alla sua principale ossessione nella vita: lo sciamanismo. Nel corso della sua carriera e dei suoi viaggi, Roach ha semplicemente ripetuto lo stesso atto sciamanico. Il brano d’apertura, The Lair, è una metafora del ruolo artistico di Roach e l’archetipo per il resto dell’album: spettrali droni sinfonici (il sovrumano, cosmico, desiderio) cullano un ritmo tribale (il rituale ancestrale, elemento terrestre). Fin dai primi anni, l’arte di Roach deriva dall’unione di questi due elementi. Su questo stesso modello si costruisce Rite Of Passage (voci rauche filtrate e un didgeridoo rafforzano l’accompagnamento dei tom). La musica tende ad essere un po’ troppo diluita. Succede davvero poco in questi brani che si espandono a dismisura. Dove le epiche colonne sonore di Roach erano solite raggruppare al massimo le emozioni, questi miraggi che ruotano lentamente sono stati completamente svuotati di sentimenti. Lo shuffle liquido e rilassato di Big Medicine sarebbe adatto persino a gelare una stanza.
A volte sono gli ospiti a caratterizzare il suono. Jorge Reyes aggiunge un arsenale di strani suoni di flauto su Birthright e Osmosis. Jim Cole colora Serpent Clan e Beating Heart Of The Dragon Mother col suo mantra ronzante. Benché interessanti, queste collaborazioni non sembrano in sintonia con il resto dell’album.
Soprattutto la musica è quasi sussurrata, udibile a malapena. Roach usa le timbriche più deboli e gioca con gli armonici più fragili. Egg Chamber Dreaming, un’astratta scultura di suoni che si coagula lentamente in un drone fluttuante, è un assolo di Roach, e annichilisce tutto ciò che l’ha preceduto. Tutto si fa davvero misterioso nel secondo disco, quando le variazioni subsoniche, subacquee e subliminali di Offering in Waves, gli echi sfocati e le fluttuazioni di Impending Sense Of Calm, il tuono dilatato di Primal Passage (tutte composizioni eseguite solo da Roach) prendono una nuova andatura che non ha bisogno di ritmo. Il compositore sembra testare l’abilità del pubblico ad “ascoltare” (come nelle esperienze di “deep listening” di Pauline Oliveros). L’invocazione in gran parte vocale di Ochua (con gli strumenti molto deboli, che ricordano più dei venti distanti e in lento movimento che un arrangiamento di suoni) accrescono la sensazione di fiacchezza, di spossatezza, di ebbrezza. Queste tracce possono segnare un punto di svolta nella carriera di Roach, dalla trance ambientale/cosmica ad una musica introspettiva ed astratta.
Cave Dwellers, di 23 minuti, ottiene la massima sintesi di voce, elettronica e suoni di percussione elaborati, una nube di canti psichedelici, battiti smorzati e droni privi di forma, una melma organica di effetti improvvisati in studio alla deriva in sogni primordiali e anime in decomposizione. Qui Roach riporta quasi alla luce gli esperimenti di musica elettronica di Stockhausen.
Questo doppio disco non è del tutto brillante, ma Roach ha probabilmente aperto nuovi orizzonti (ancora una volta) per la musica elettronica.
Nel vocabolario di Steve Roach, la parola “ritmo” ha sempre voluto dire “battiti tribali” (come nelle “civiltà primitive”) e ha sempre suonato con percussioni australiane, africane o dei nativi americani. Core (Timeroom, 2001) è un esperimento sul ritmo che va oltre quelle origini (sia in senso letterale che figurato). In un certo senso, prende il ritmo tribale di The Lair e lo trasforma in un ritmo agitato, sincopato, che a volte somiglia ad un frammento del ritmo jazz-funk di Miles Davis, elaborato tramite una loop machine (Wings Of Icarus), a volte ricorda una versione accelerata della glitch music di Pan Sonic (Resonation Revelation). Tuttavia, troppe parti di quest’album sono dei riempitivi e, sebbene sia di per sé intrigante, il minimalismo à la Terry Riley di Endorphine Dreamtime si adatta poco a questo progetto.
Streams & Currents (Project, 2002) riprende il concetto di Midnight Moon: musica ambient incentrata sulla chitarra. La musica, in gran parte improvvisata, ha il carattere “non finito” e “triviale” di Somnium di Robert Rich: non si evolve mai. Ma mentre la trivialità di Rich suona sempre magica e spirituale, l’album di Roach suona semplicemente… non finito e triviale.
Continuando l’esperimento di Core, Trance Spirits (Projekt, 2002) contiene sette tracce di musica percussiva, che si ispira vagamente ai temi di trance primitiva e di viaggio cosmico preferiti da Roach. Il più potente è Taking Flight, in cui i tamburi tribali di Jeffrey Fayman e Momodou Kah creano un andamento apocalittico che la chitarra di Robert Fripp e le tastiere di Steve Roach domano con un tappeto sonoro che si sposta in maniera misteriosa. (In realtà Fayman compone musica elettronica per conto proprio, come dimostra A Temple In The Clouds, 2000, una precedente collaborazione con Robert Fripp). La straordinaria energia del pezzo d’apertura è purtroppo diluita nella meditazione/reportage di Trance Spirits, lunga 16 minuti, e l’album non si riprende mai del tutto, nemmeno quando l’energia riemerge in The Calling e In The Same Deep Water. La vena introspettiva non è meno attraente di quella tribale: il brano di sole tastiere Seekers è davvero uno dei pezzi più celatamente inquietanti degli ultimi tempi, e la collaborazione fra Fripp e Roach su Year Of The Horse è un quadro di suoni nel loro lato più metafisico (potrebbe fare a meno del “groove ibrido”). Il problema è lo stesso degli album precedenti di Roach: alcune idee sono troppo allungate, senza aggiungere molto ai primi minuti.
Day Out Of Time (2002) è una colonna sonora. All Is Now (2002) è un doppio disco di performance dal vivo.
Darkest Before Dawn (Timeroom, 2002) è un’altra composizione della durata di un disco (74 minuti).
Mystic Chords and Sacred Spaces (Projekt, 2003) è un album diviso in 4 CD, ciascuno dei quali contiene una lunga composizione: Mystic Chords & Sacred Spaces, Labyrinth, Recent Future, Piece Of Infinity.
Texture Maps - The Lost Pieces Vol. 3 (2003) e Places Beyond - The Lost Pieces Vol. 4 (2004) raccolgono un altro po’ di “pezzi perduti” di Roach.
Fever Dreams (Projekt, 2004), con Patrick O’ Hearn al basso e Byron Metcalf alle percussioni (ripreso soprattutto per la colossale Tantra Mantra), apre una trilogia, continuata da Fever Dreams 2 - Holding The Space (2004).
Mantram (Projekt, 2004) è una collaborazione con Byron Metcalf alle percussioni e Mark Seelig al flauto bansuri in otto tracce senza titolo.
Via di mezzo fra il “deep listening” di Pauline Oliveros e gli “sleep concerts” di Robert Rich, Immersion - One (Projekt, 2006) e Immersion - Two (Projekt, 2006) sono colossali “meditazioni sonore per lo spazio vivente”, cioè pezzi di musica elettronica fluttuante in gran parte improvvisati e lunghi ore. Manca intenzionalmente da questo progetto l’ardore dei viaggi cosmici di Roach.
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The double-disc
Arc of Passion (2008) documents a live performance of 2007.
Landmass (2008) is one seamless composition which gets divided into sections merely for consumable convenience. The opening
(Transmigration) is a cinematic experience fueled by a living low-frequency pulsation, and sets the tone for the first half. The second half is more
abstract and diffused, despite the brief sequencer pulsation of
Trancemigration.
A Deeper Silence (2008) creates an unlikely meditation space, in which low frequencies derail the horizon while higher-frequency drones wash slowly and gently into each other.
The 40-minute Birth of Still Places, the longest composition of the double-disc Dynamic Stillness (2009),
and
the 73-minute piece of Afterlight (2009)
are close relatives of Immersion - Four (2009), composed around the same time,
and they all share the same structural weakness:
self-indulgent and fundamentally sterile, just like
Piece Of Infinity.
Dynamic Stillness (2009) contains another 100 minutes of music besides
Birth of Still Places. The second disc, in particular, contains
the suspenseful Further Inside (16:58),
the delicate Slowly Revealed (23:55)
and especially the icy, barren and windy
Canyon Stillness (23:17), an almost documentarian evocation of a desert canyon.
Destination Beyond (2009) is driven by a dancing sequencer that sounds
like a broken raga record. The effect is cute for a few minutes but after 30 minutes it becomes a nuisance. The piece then turns into a confused mix of sequencer pulses and cosmic drones.
Sigh Of Ages (2010) adds to his canon the nostalgic
Morning of Ages, which almost feels like
the neoclassical adagio, the Indian-tinged dance
Return of the Majestic,
and the giant "om" of Longing to Be.
Immersion Five - Circadian Rhythms (2011) and
Groove Immersion (2012) are beat-based projects.
Soul Tones (2012) collects two lengthy compositions.
Soul Tones is an extra-long (46 minutes) meditation in the vein of
Pieces of Infinity and suffers from the same limitations of development, imagination and pathos. In other words, it's a bit tedious; except that
the 28-minute Resolved is even less captivating.
The highlights of
Future Flows (2013) are
the prayer-like Regeneration Revelation (8:21),
the stately organ-like drone of An Omnipresent Sense Prevails (10:58),
and
the harpsichord-like minimalist patterns of The Texture Of Remembering (11:14).
Instead, the longer The Future Flows From Here (16:59) is an overlong and meandering piece that fails to cohere,
Alive In the Vortex (2015) documents a live performance of 2013 at
the Vortex Dome in Los Angeles, a pioneering 360-degree total-immersion venue.
The 58-minute piece of Invisible (2015) is a revolving nebula that harbors a core of tribal percussion and sinister noises. About halfway the nebula
gets darker and denser, while the internal machinery stops, and the nebula seems
to accelerate through the intergalactic void, and then to get trapped inside ripples of spacetime, resulting in one final explosion. It is one of his most dynamic and cinematic compositions.
The 70-minute piece of Bloodmoon Rising (2014) is wildly self-indulgent.
The 5-hour 4-disc Bloodmoon Rising (2015) collects four
"long-form ultra deep sound immersion zones".
Eclipse Mix (2017) is basically a one-hour remix of some of these recordings.
Etheric Imprints (2015)
is mainly devoted to the 29-minute Etheric Imprints for
highly processed electric grand piano that generates very low booming overtones,
one of the most poignant compositions of this phase.
The album also contains the dizzying and disorienting clusters of Indigo Shift.
The 17-minute Holding Light is simply a "dejavu" of his
meandering cosmic music, but
the 15-minute The Way Forward has a symphonic quality that pushes the boundary of that format.
Skeleton Keys (2015) collects rather trivial bouncing music for analog synthesizer and analog sequencer, a sort of tribute to the era of
Tangerine Dream, but
compositions like Saturday Somewhere border on lounge muzak.
Kairos (2015) is a soundtrack to an art video, notably the
subaquatic quiet of Etheric Planet,
the pulsing tribal-industrial frenzy of Core Regeneration,
the fibrillating electricity of Biogenesis,
Shadow of Time (2016) is mainly devoted to the 38-minute
Shadow of Time, a suite of dreamy symphonic yearning, but whose structure
doesn't justify the long duration.
The 74-minute piece of This Place To Be (2016), boasts a dramatic
cinematic opening for about 15 minutes but then we are treated to 25 minutes
of a grating drone, and the rest is just a slow decay.
Another 74-minute piece,
Fade to Gray (2016), came out a few months later, and it is no less self-indulgent than
Bloodmoon Rising with long sections of virtually no action.
Painting In The Dark (2016) contains mostly
long uneventful pieces like Threshold (17:40)
and Phosphene View (12:54), but also the catatonic hymn
Painting At The Edge (19:28) that, while overlong, boasts one of his most otherworldly textures.
Nostalgia for the Future (2017) is a rather trivial slow-motion cosmic journey emanating from Roach's desert soundscape and from a sense of the eternal flow of time.
Unfortunately, the 20-minute Home Now and the 15-minute For the Future are too long for what they deliver.
The 23-minute The Rising Tide is more dramatic in the second half but it's way too little and too late.
From the same premises Roach has done much more impressive "structures" in the past.
Molecules of Motion (2018) contains music for vintage synthesizer and sequencer.
The centerpiece is the
ebullient dancing patterns of Molecules Of Motion (24:21), almost like
an electronic version of a traditional folk dance.
The rest is filler.
Long Thoughts (2017) require a lot of patience because very little happens in its 73 minutes.
Spiral Revelation (2017) is another album for sequencer that aims for trance-y atmospheres. The humble neoclassical dance embedded in We Continue fails, but the effervescent Finger On The Pulse exudes an almost punk energy.
The quasi-symphonic Primary Phase feels like the electronic version of lounge jazz, but the 20-minute
Spiral Revelation is truly a vertigo-inducing spiral of musical patterns, although it may be ten minutes too long.
The highlight of Mercurius (2018) is the 28-minute Immanent, that projects a sense of intimacy and acceptance.
Electron Birth (2018) documents a 55-minute live improvisation.
The 73-minute piece of Atmosphere for Dreaming (2018), conceived "for infinite looped playback",
tries to recapture the magic of The Dream Circle by incorporating sounds of nature, and generally creating a denser flow than the previous "long-form" explorations (Long Thoughts, This Place To Be, Fade to Gray and Bloodmoon Rising).
Bloom Ascension (2019)
contains more music for vintage synthesizer and sequencer.
The feverish 16-minute title-track is interesting for the first few minutes but fails to evolve. The rest is filler.
Trance Archeology (2019)
opens with the turbulent 18-minute soundscape Spawn Of Time (which alas doesn't know where to go after half time) and offers an
elegant example of meandering cosmic music in the 16-minute Trance Archeology.
Stillpoint (2019) contains two hour-long improvisations conceived again
"for infinite looped playback": Serenity in Waves and Deeper...Still.
Tomorrow (2020) contains
restless and tumultuous pieces for sequencer, notably Tomorrow (20:01);
but Optimal Being (24:16) is incredibly trivial,
HeartBreath (19:27) is quasi-danceable lounge muzak,
and
A Different Today (11:55) feels like an inferior version of
Tomorrow. In other words, one decent composition and the rest is filler.
Stratus (2020)
Deeper (2020)
Into the Majestic (2021) collects
the live 50-minute improvisation Into the Majestic, which is basically a gallery of Steve Roach-ian cliches, and
the 24-minute The Spiral Heart
Phoenix Rising (2021) documents live performances on sequencers.
A Soul Ascends (2020) contains three lengthy compositions, notably
the stately The Radiant Return (32:14), drenched in lush sonic colors,
Reflection in Ascension (25:42)
with mildly exotic rhythm and feathery melodic fragments; but both are overlong
with plenty of repetition and some awkward sections.
Journeys to the Infinite (2020) is a compilation that contains
Flatlands (off Desert Solitaire),
Artifacts (off Origins),
Realm of Refraction (off Light Fantastic),
Neural Connection (off Blood Machine),
Skeleton Passage (off Live in Tucson),
Vortex 8 (off Alive in the Vortex),
Indigo Moon (off Trance Archeology),
and
Longing to Be (off Sigh of Ages).
Roach also released a number of collaborations with
Serena Gabriel (harmonium, voice, temple bells) such as
the 74-minute piece of Nectar Meditation (2020),
the album Inanna's Dream (2020), which contains the 49-minute Changing Tides,
and the 15-minute piece of the EP Remembrance In Waves (2020).
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(Translation by/ Tradotto da xxx)
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