Michael Shrieve
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Automatic Man (1976), 5/10
Automatic Man: Visitors (1977), 5/10
Transfer Station Blue (1984), 6/10
In Suspect Terrain (1984), 6.5/10
Leaving Time (1987), 6/10
Big Picture (1989), 7.5/10
Stiletto (1989), 7/10
Octave Of The Holy Innocents (1993), 6.5/10
Fascination (1995), 6.5/10
Two Doors (1996), 6.5/10
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Il californiano Michael Shrieve (1949) venne alla luce come batterista di Carlos Santana. Divenuto una star delle percussioni, fece parte del supergruppo Go formato da Stomu Yamashta e formò gli Automatic Man. Negli anni '80 visse di collaborazioni remunerative. Quando, nel 1978, si trasferì a New York, prese sul serio il proprio virtuosismo. Si imbarcò nell'avventura del Novo Combo, poi collaborò con Klaus Schulze (che ricambiò il favore su Transfer Station Blue) e infine sfoderò tutto ciò che aveva appreso in vent'anni di professionismo in quel tour de force di percussioni programmate che è In Suspect Terrain.
Alternando tornado di vasi d'acqua (Tide), treni di percussioni computerizzate (Ratatouille), tintinnii di bacchette orientali (Swamp), arcani suoni di jungla (Orangutan) e vertiginosi assoli ai tam tam (la title-track), Shrieve rimise in discussione mezzo secolo di scienza occidentale delle percussioni.

A quel punto Shrieve mise in piedi una serie di ensemble d'autore alla ricerca di armonie sempre più suggestive: in duo percussivo con David Beal per Big Picture, con Steve Roach al synth e David Torn alla chitarra per Leaving Time, con Mark Isham alla tromba, Andy Sumners e David Torn alle chitarre per l'incendiario "punk-jazz" di Stiletto (july 1988), con Jonas Hellborg al basso e Brian "Buckethead" Carroll alla chitarra per il jazz-rock visionario e ipnotico di Octave Of The Holy Innocents, con Bill Frisell e Wayne Horvitz per le rivoluzionarie jam di Fascination (november 1993).

Leaving Time è marchiato a fuoco dai deliri del deserto di Roach, ma concede a Shrieve diversi spunti etnici, come il raga cosmico di Big Sky e la sinistra March Of Honor. Ma il meglio si trova forse nei brani più jazz-rock: San Diego, brano tumultuoso propulso da una cadenza giapponese e dalle stilettate di chitarra di David Torn; Tribes, con la sua frenesia tropicale e un glissando vertiginoso di chitarra; Edge Runner, vertice del tribalismo iper-cinetico di Shrieve e delle distorsioni logorroiche di Torn.

Con Stiletto Shrieve trova forse la dimensione giusta, un bebop malinconico straniato da cadenze e dissonanze oniriche (Stiletto, Moon Over You), immerso in atmosfere alla Hassell (Gaugin's Regret) e dilatazioni di coscienza psichedeliche (Bella Coola).

Ma il suo album più geniale rimane Big Picture, una raccolta di fantasie pressoché solo percussive in cui Shrieve funge da arrangiatore e direttore per un'orchestra di strumenti a percussione. I temi melodici di The Invisible Architecture fluttuano ineffabili su castelli ritmici tanto arditi quanto fluidi, accanto alle inevitabili mimesi panetniche (Izibongo, Mon Amie), eseguite peraltro con un fatalismo magniloquente che è quantomeno insolito.
La title-track, la piece più jazzata, intona un sinistro e solenne "pow wow", e non meno marziale e minacciosa è Rocked In The Cradle, ma entrambe coronano il loro cerimoniale all'insegna del più sereno ottimismo. L'umore stralunato e metafisico dell'opera è ben riassunto dal crescendo di trilli di Shaman's Drum, che da lugubre diventa festoso, e ancor più da Unspeakable Dawn, in cui una flebile linea melodica si ripete meccanicamente su un tempo rullante di marcia.
Due processi in conflitto fra di loro presiedono allo svolgimento tematico dei brani: una lenta metamorfosi, generalmente in crescendo, che tende a trasformare l'atmosfera da una suspense tragica a un tripudio esuberante, e un ostinato minimalismo che tende a riciclare una cadenza e una frase fino alla paranoia. Esemplare come Shrieve risolva questa contraddizione nell'apoteosi finale di Iron Voices. La produzione impeccabile, il cesello minuto delle armonie e il sound cristallino delle percussioni conferiscono al disco un'intensità di mistica ascesi.

Su Fascination Shrieve approfitta magistralmente dei due collaboratori di prestigio per rimescolare le carte della musica popolare nera, profanando il funky dei Meters in Sam The Man, il bebop in The Glass Tent, il soul in Tell Me Everything, il jazz soffice nella title-track. Poi affonda gli artigli ritmici nella suite effervescente The Great Ambassador, propelle il grindcore alla John Zorn di One Nation Invisible, sbalestra i modelli cosmico-ambientali di Schulze e Roach in Soundings In Fathoms.

Shrieve ha "capito" il ruolo delle percussioni nella musica new age come Hendrix capì quello della chitarra nella musica rock.

Former Santana's drummer Michael Shrieve (1949) built a unique repertory that focused on percussion. Energetic and creative albums such as In Suspect Terrain (1984), Stiletto (1989), featuring Mark Isham on trumpet and Andy Sumners and David Torn on guitars, and Big Picture (1989), which is virtually a concerto for an orchestra of percussion instruments, relied on oneiric jazz-rock tours de force. Octave Of The Holy Innocents (1993), featuring Jonas Hellborg on bass and Buckethead on guitar, and Fascination (1995), featuring Bill Frisell and Wayne Horvitz, lent him a new life in avantgarde jazz.
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The double-disc Two Doors (november 1993 - CMP, 1996) is one of Shrieve's most ambitious works, two jazz-rock power trios (the second one with Bill Frisell and Wayne Horvitz) that explore a broad range of styles. (Translation by/ Tradotto da xxx)

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