Il californiano Michael Shrieve (1949) venne alla luce come batterista di Carlos
Santana. Divenuto una star delle percussioni, fece parte del supergruppo Go formato da Stomu Yamashta
e formò gli Automatic Man. Negli anni '80 visse di collaborazioni remunerative. Quando, nel
1978, si trasferì a New York, prese sul serio il proprio virtuosismo. Si imbarcò
nell'avventura del Novo Combo, poi collaborò con Klaus Schulze (che ricambiò il favore
su Transfer Station Blue) e infine sfoderò tutto ciò che aveva appreso in
vent'anni di professionismo in quel tour de force di percussioni programmate che è In Suspect
Terrain.
Alternando tornado di vasi d'acqua (Tide), treni di percussioni
computerizzate (Ratatouille), tintinnii di bacchette orientali (Swamp), arcani suoni di
jungla (Orangutan) e vertiginosi assoli ai tam tam (la title-track), Shrieve rimise in discussione
mezzo secolo di scienza occidentale delle percussioni.
A quel punto Shrieve mise in piedi una serie di ensemble d'autore alla
ricerca di armonie sempre più suggestive: in duo percussivo con David Beal per Big
Picture, con Steve Roach al synth e David Torn alla chitarra per Leaving Time, con Mark
Isham alla tromba, Andy Sumners e David Torn alle chitarre per l'incendiario "punk-jazz" di
Stiletto (july 1988), con Jonas Hellborg al basso e Brian "Buckethead" Carroll alla chitarra per il jazz-rock visionario e
ipnotico di Octave Of The Holy Innocents, con Bill Frisell e Wayne Horvitz per le rivoluzionarie
jam di Fascination (november 1993).
Leaving Time è marchiato a fuoco dai deliri del deserto di
Roach, ma concede a Shrieve diversi spunti etnici, come il raga cosmico di Big Sky e la sinistra
March Of Honor. Ma il meglio si trova forse nei brani più jazz-rock: San Diego,
brano tumultuoso propulso da una cadenza giapponese e dalle stilettate di chitarra di David Torn;
Tribes, con la sua frenesia tropicale e un glissando vertiginoso di chitarra; Edge Runner,
vertice del tribalismo iper-cinetico di Shrieve e delle distorsioni logorroiche di Torn.
Con Stiletto Shrieve trova forse la dimensione giusta, un bebop
malinconico straniato da cadenze e dissonanze oniriche (Stiletto, Moon Over You), immerso in
atmosfere alla Hassell (Gaugin's Regret) e dilatazioni di coscienza psichedeliche (Bella
Coola).
Ma il suo album più geniale rimane Big Picture, una
raccolta di fantasie pressoché solo percussive in cui Shrieve funge da arrangiatore e direttore per
un'orchestra di strumenti a percussione. I temi melodici di The Invisible Architecture fluttuano
ineffabili su castelli ritmici tanto arditi quanto fluidi, accanto alle inevitabili mimesi panetniche
(Izibongo, Mon Amie), eseguite peraltro con un fatalismo magniloquente che è
quantomeno insolito.
La title-track, la piece più jazzata, intona un sinistro e solenne
"pow wow", e non meno marziale e minacciosa è Rocked In The Cradle, ma entrambe
coronano il loro cerimoniale all'insegna del più sereno ottimismo. L'umore stralunato e metafisico
dell'opera è ben riassunto dal crescendo di trilli di Shaman's Drum, che da lugubre
diventa festoso, e ancor più da Unspeakable Dawn, in cui una flebile linea melodica si
ripete meccanicamente su un tempo rullante di marcia.
Due processi in conflitto fra di loro presiedono allo svolgimento tematico
dei brani: una lenta metamorfosi, generalmente in crescendo, che tende a trasformare l'atmosfera da una
suspense tragica a un tripudio esuberante, e un ostinato minimalismo che tende a riciclare una cadenza e
una frase fino alla paranoia. Esemplare come Shrieve risolva questa contraddizione nell'apoteosi finale di
Iron Voices. La produzione impeccabile, il cesello minuto delle armonie e il sound cristallino
delle percussioni conferiscono al disco un'intensità di mistica ascesi.
Su Fascination Shrieve approfitta magistralmente dei due
collaboratori di prestigio per rimescolare le carte della musica popolare nera, profanando il funky dei
Meters in Sam The Man, il bebop in The Glass Tent, il soul in Tell Me
Everything, il jazz soffice nella title-track. Poi affonda gli artigli ritmici nella suite effervescente
The Great Ambassador, propelle il grindcore alla John Zorn di One Nation Invisible,
sbalestra i modelli cosmico-ambientali di Schulze e Roach in Soundings In Fathoms.
Shrieve ha "capito" il ruolo delle percussioni nella musica new age come
Hendrix capì quello della chitarra nella musica rock.
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Former Santana's drummer Michael Shrieve (1949)
built a unique repertory that focused on percussion. Energetic and
creative albums such as In Suspect Terrain (1984),
Stiletto (1989), featuring
Mark Isham on trumpet and Andy Sumners and David Torn on guitars,
and Big Picture (1989), which is virtually a concerto for an orchestra of percussion instruments, relied on oneiric jazz-rock tours de force.
Octave Of The Holy Innocents (1993), featuring Jonas Hellborg on bass and Buckethead on guitar, and Fascination (1995), featuring Bill Frisell and Wayne Horvitz, lent him a new life in avantgarde jazz.
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