Carl Mayer


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Carl Mayer

Vanina (1922, diretto da Arthur von Gerlach), narra le peripezie amorose di due giovani (Paul Wegener e Asta Nielsen), lei figlia di un tiranno, lui capo dei ribelli già incarcerato e condannato a morte; il perfido tiranno fa eseguire la condanna dopo aver bloccato un loro disperato tentativo di fuga e la ragazza cade morta di dolore. I personaggi di Mayer si muovono come sonnambuli sull'orlo della pazzia, dell'omicidio o del suicidio, schiacciati da un peso che li reprime fino all'esplosione liberatrice.

Lupu-pick diresse due dei tre capolavori di Carl Mayer e del kammerspiel: Scherben (1922) con Werner Krauss nella parte di un casellante che uccide il seduttore della figlia, dopo che la moglie è morta assiderata sulla montagna; e Sylvester (1923), in cui un uomo conteso dalla gelosia della moglie e della madre finisce per impiccarsi.

Mayer, dopo il Dr. Caligari, divenne il principale propugnatore del kammerspiel, prima sperimentato con Hintertreppe, e poi raggiunto con i due film di Lupu- pick. I princìpi su cui basava i suoi soggetti erano: rispettare il più possibile la regola delle tre unità, omettere le didascalie, drammatizzare gli oggetti d'uso quotidiano, penetrare la psicologia dei personaggi con i primi piani. La classe lavoratrice e la cronaca nera gli fornirono gli spunti: i lavoratori vivevano in ambienti umili, stretti e poveri; i giornali diffondevano ogni giorno notizie di omicidi o suicidi in seguito a drammi familiari, covati negli anni, ma esplosi e conclusi in un lasso di tempo molto breve. Scherben si svolge in un arco di 24 ore (il tempo viene scandito da un orologio a pendolo) con quattro personaggi nella casetta del casellante. In Sylvester il dramma si svolge nel retro di una birreria, dura il tempo del film ed i protagonisti sono solo tre.

A questa estrema rarefazione della trama corrisponde una maggiore pesantezza psicologica. Un oggetto è un simbolo che fa scattare certi istinti. Il carattere dell'uomo ne segna a priori il destino. L'uomo comune è condannato a un proprio ineluttabile destino.

La simbolizzazione espressionista è portata alle estreme conseguenze. Al pari passo anche la tecnica registica, soprattutto nei movimenti della macchina da presa e nell'illuminazione.

Ma Mayer, attraverso connotazioni sociali e la rivalutazione della cronaca e analisi del dettaglio, si avvicina a grandi passi al realismo, a cui giungerà, con Ruttmann, dopo aver completato la trilogia del kammerspiel, con Der letzte Mann di Murnau.

Mayer aveva dilatato la visione espressionista, identificando in ogni uomo un piccolo mostro, capace di commettere orrendi crimini, e nel destino il padrone tiranno di tutti. Si rese conto in pratica che l'uomo comune era proprio il tipo di mostro più perfetto, fedele e ubbidiente al suo padrone, reso mostro dal cumulo di contraddizioni che lo definiscono.

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