Alla fine della Prima Guerra Mondiale i popoli cechi portarono a compimento le lotte patriottiche iniziate con il Congresso Panslavo di Praga nel 1848. Lo sfaldamento dell'Impero Austriaco liberò Boemia, Moravia e Slovacchia, e gli esponenti cechi in esilio poterono rientrare a Praga e proclamare la repubblica.
Dal punto di vista etnico la Cecoslovacchia è un mosaico: cechi, slovacchi, tedeschi, croati, polacchi, ebrei, magiari, ucraini. Dal punto di vista politico il nuovo Stato intrattiene rapporti amichevoli con Parigi, dove ebbe sede il governo in esilio, e si comporta da buon vicino con la Russia. Dal punto di vista economico, la nazione risentì della freddezza dei rapporti con tedeschi e austriaci, potenti ex-padroni che non si erano ancora rassegnati. Per trovare uno svocco alla potente industria nazionale, Praga siglò la Piccola Intesa con Yugoslavia e Romania, anch'esse diffidenti nei confronti delle residue tentazioni imperiali.
La prosperità, la democrazia e la pace durarono fino all'avvento del nazismo. Le spinte espansionistiche di Hitler infiammarono gli animi dei Sudeti e risvegliarono le aspirazioni autonomistiche della Slovacchia. Una volta ottenuto che la repubblica venisse divisa da un consesso internazionale in Stati autonomi, fu poi facile al Reich, facendo leva sulle rivalità interne, occupare Praga e sottomettere tutti i territori. Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, a Londra si costituì un governo in esilio e in patria si organizzò la Resistenza. Alla fine della guerra la nazione cecoslovacca riottenne i suoi territori e il suo statuto, ma le elezioni generali conferirono la maggioranza al Partito Comunista e poco a poco la Cecoslovacchia divenne uno Stato satellite dell'Unione Sovietica, membro del Patto di Varsavia e del Comecon. La rigida ortodossia si attenuò durante gli anni Sessanta, quando Dubceck lanciò il nuovo corso di liberalizzazione. La Primavera di Praga fu però una breve illusione: le truppe degli alleati invasero la Cecoslovacchia e restaurarono il regime comunista ortodosso, operando al tempo stesso una dura repressione di ranghi delle organizzazioni degli intellettuali e degli studenti.
I pionieri del cinema ceco sono Karel Lamac, Karel Anton [serie di comiche molto popolari e Tonka sibenice (1930), primo sonoro e film di prostitute sulla falsariga di May e Pabst], Josef Rovenskj [patetico idealista in Reka (1933) e cupo naturalista in Marjsa (1935)], Karl Junghans [Takovi je zivot (1929), dramma naturalista a tinte Nuova oggettività], Slatopluk Innemann. La cinematografia cecoslovacca nasce dall'incrocio di culture diverse (quella tedesca, quella russa, quella austriaca) e Praga, che sapeva trarre giovamento dal suo splendido equilibrio politico ed economico, divenne uno dei principali centri, anche cinematografici, europei. I filoni più sfruttati erano quello realista e quello comico.
Il muto è dominato dalla figura di Gustav Machatj, che rese popolare il cinema ceco all'estero.
Con il sonoro vennero alla ribalta Max Fric [versatile regista popolare, dal folklore avventuroso di Janosik (1935) alle varie commedie comiche e alle riduzioni di classici], e i tanti registi immigrati dalla Germania e dalla Francia che contribuirono a internazionalizzare il cinema ceco.
Nel dopoguerra le sovvenzioni statali favorirono la rinascita: Karel Steklj [Sirena (1947), epica corale di argomento proletario nell'ottica del realismo socialista]; Otokar Vavra, il punto di riferimento obbligato; Alfred Radok, massimo uomo di teatro [l'espressionista Dalek cesta (1949), kafkiana e sadiana rievocazione della vita nei campi di sterminio; la commedia Dedecek automobil (1957); l'opera multimedia Lanterna magika (1958)].
Uno dei generi in cui si è specializzata la cinematografia ceca è il film di pupazzi, terreno delle favole e del folklore. La tradizione di Starevic e Ptusko rivive nei capolavori di Hermina Tjrlova (1900), Jiri Trnka e Karel Zeman.
L'esaurirsi progressivo del realismo sociale lasciò spazio alla psicologia e all'intimismo: Jiri Weiss con Vlci jana [(1957) torbido triangolo matrimoniale di borghesi ipocriti] e Jiri Krjecik con Vjssi princip [(1960) un pacifista ha una crisi di coscienza durante la repressione nazista] spalancarono le porte all'esistenzialismo.
Negli anni '60 la nova vlna si sbarazzò rapidamente del grigiore conformistico del realismo socialistico, rivalutando il sentimento, il dramma individuale, la crisi di coscienza.
Ora stravolgendo il filone resistenziale e bellico: l'ungherese Jan Kadar [Snurt si rika engelchen (1963); Obchod na korze (1965), il parente di un gerarca protegge un'anziana ebrea dalle persecuzioni e che si suicida alla sua morte], Zbignew Brjnjc [Transpot z raje (1962), in stile documentario sui campi di sterminio; A paty jezdecje strach (1964), in stile espressionista sulla persecuzione degli ebrei].
Ora prestando orecchio alle trasformazioni sociali {il femminismo di Vera Chjtilova [mediometraggi in stile cinema-verità sullo squallore dell'esistenza femminile, come l'autobiografico Stop (1961); Sednj kraskj (1966), due donne perturbano l'ordine vigente con spirito nichilista ed eversivo; ripiegamento esistenziale di Dvoce stromu rajskjch jinu (1970)], il giovanilismo di Stefan Uher [Slnko v sieti (1962), sul malessere esistenziale degli adolescenti nel dopoguerra], l'angoscia atomica [Krik (1963), di Jaromij Jres, sulle paure e le speranze di una giovane coppia che attende un bambino], la violenza [Born to win (1971), umoristico film-noir di Ivan Passer sul mondo della droga; Creator (1984), commedia su uno scienziato che vuol resuscitare la moglie].
Su tutti dominano le quattro forti personalità di Evald Schorm, Milos Forman, Ian Nemec, Juraj Sakubisko.
Gustav Machatj
Gustav Machatj fece conoscere al mondo la cinematografia ceca con due film-scandalo che esaltavano dionisicamente il sesso. Erotikon (1929) raccontava la seduzione di una giovane povera, figlia di un capostazione, da parte di un uomo ricco, senza rinunciare (a differenza di Hollywood) alle scene degli amplessi. Il soggetto di Extase (1933) era ancora più oltraggioso per il perbenismo dell'epoca: una donna abbandona il marito impotente e in campagna si innamora febbrilmente di un giovanotto, mentre il marito si suicida per la disperazione.
La carriera di Vavra accompagna mezzo secolo di cinema ceco, dagli esordi come assistente di Rovenskj al magistero dell'Accademia praghese.
Cech panen kutnohorskjch (1938) è un affresco storico incentrato su un eroe popolare, implacabile e simpatico giustiziere, che giunge in una città dove un alchimista inganna l'imperatore, corrompe i dignitari e tiranneggia il popolo e ripristina l'ordine smascherando il ciarlatano.
A parte l'intimista Predtucka (1947), sulla maturazione di un adolescente di buon cuore, e Krakatite (1948), film di fantascienza, Vavra tornò al genere a lui più congegnale, il film storico: Rozina sebranec (1945), Nema barikada [(1949) sulla Resistenza], Janthus [(1955) trilogia russista], Kladivo ne carodejnice [(1970) film in costume sui processi per stregoneria nel Medioevo], Dnj zradj [(1973) sull'occupazione nazista].
Juraj Jakubisko
Regista di Bratislava, Juraj Jakublisko è il primo importante esponente del cinema slovacco.
Con Kristove roki (1967) diede un'eccentrica autobiografia che attraverso la maturazione sentimentale del protagonista tracciava un bilancio generazionale.
Zbehovia a putnici (1968), un trittico violentemente espressionista sul tema della morte: la morte che, in uniforme austroungarica, insegue uno zingaro fuggito dal fronte e profondamente scosso dall'orrore del sangue; il disertore si unisce ad altri sbandati (soldati, prostitute, mutilati) con propositi positivi, ma presto gli abitanti della comune si danno a bestialità selvagge finchè finiscono tutti uccisi dagli ussari accorsi per riportare l'ordine. La morte che vaga moribonda nel paesaggio desolato del pianeta distrutto da una guerra atomica. Tre ballate che fondono sapori barocchi, espressionisti, bergmaniani, in un'esuberanza visiva che conferisce ai simboli angosciosi significati. La violenza delle immagini devasta il tessuto di leggenda popolare.
Vtackovia sirotj a blavnovia (1969) è un altrettanto violento apologo sull'apocalisse, che conferma la vocazione anarchica del regista.
Tisicrocna vcela (1982) è un affresco popolare della Slovacchia a cavallo dei due secoli che prende lo spunto dalla vita quotidiana di un apicultore in un villaggio contadino.
Lo Stato ungherese nacque, dopo secoli di nomadismo barbaro, quando s. Stefano convertì il popolo al cattolicesimo, ottenendo in cambio dal papa l'investitura regia (anno 1000). S. Ladislao estese i confini fino all'Adriatico annettendo buona parte della Yugoslavia, della Romania e della Moldavia. Nel Cinquecento, stretto fra Impero Ottomano e Impero Asburgico, lo Stato ungherese finisce per disintegrarsi, e al crollo dell'Impero Ottomano passa totalmente in mano agli Asburgo (1699). Per contenere al massimo l'autonomismo ungherese Vienna favorisce dapprima la colonizzazione da parte di immigrati tedeschi e proclama poi il tedesco lingua ufficiale. Nonostante i moti del 1848, l'Ungheria deve attendere la fine della Prima Guerra Mondiale per ritrovare l'indipendenza, pur venendo privata di Croazia, Transilvania, Banato, Slovacchia. Le perdite territoriali sono all'origine e della breve esperienza comunista di Béla Kùn, e dell'ostilità nei confronti della Piccola Intesa, e infine dell'alleanza con Italia e Germania, culminata nell'adesione al Patto Tripartito. Alla fine della guerra l'Unione Sovietica impose massiccie epurazioni per sradicare il fascismo e favorire il Partito Comunista che, pur minoritario, prende il potere nel '48 e mette in atto una serie di misure repressive (persecuzione degli ecclesiastici e dei deviazionisti).
Nel '56 la popolazione insorge contro il regime del terrore instaurato dalla polizia segreta, ma le truppe corazzate sovietiche invadono il Paese e istituiscono tribunali speciali: la fuga di massa verso l'Ovest, condanne a morte, deportazioni in Siberia, cambiano la faccia del Paese. Durante i due decenni successivi, in particolare dal '63, il Paese gode di una invidiabile stabilità politica e di privilegi democratici negati agli altri satelliti sovietici. L'economia funziona e gli intellettuali godono un minimo di libertà.
Il cinema ungherese fu il primo ad essere nazionalizzato (dal governo di Béla Khùn, ministro dell'istruzione Gyorgy Lùkacs) e ad essere perciò sponsorizzato dallo Stato. In pochi mesi vennero prodotti trenta film da un team ristretto di cineasti che comprendono anche i giovani Alexander Korda, Michael Curtiz e Béla Lugosi, L'immediata caduta del governo segnò anche la prematura fine del cinema ungherese, che per tutto il muto sarebbe vissuto all'estero. Pal Fejos gli diede un piccolo capolavoro in esilio con Marie legende hongroise (1932), poetico e surreale affresco di vita rustica e patriarcale, prima di ritirarsi a carriera documentaria. In patria dominavano i film folkloristici, derivati dall'operetta viennese, e i melodrammi amorosi, simili alle commedie italiane dei telefoni bianchi.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale rientrò in patria il teorico Béla Bàlasz, costretto all'esilio nel ''. La sua opera fu determinante per la rinascita della cultura ungherese e in particolare del cinema (aveva insegnato estetica cinematografica in URSS). Fondò e diresse la Scuola d'Arte Cinematografica, insegnò le nuove tecniche apprese in URSS (montaggio, movimento della macchina da presa) e sceneggiò in prima persona Valahol Europaban (1947) di Geza Radvanyi, una storia di ragazzini abbandonati durante la guerra che è l'opera migliore del dopoguerra ungherese insieme con Talpalatnyi fold (1948) di Frignes Baz, storia del povero amore fra due contadini.
Mentre si faceva largo la scuola locale dell'animazione, con le opere folkloristiche per l'infanzia di Gyula Macskonsy. Con il successo del suo Gustav, l'omino della strada vittima della società spersonalizzata, il disegno animato ungherese si affermò anche all'estero.
Il rinnovamento del cinema a soggetto ungherese avvenne durante gli anni Sessanta, in concomitanza con gli sviluppi delle altre cinematografie orientali e grazie al moderato regime di Kadar. La produzione media, pur ancorata ai drammoni storici di Zoltan Varkonyi, si eleva di qualità e di quantità. Si afferma inoltre grazie anche una censura condiscendente una geenrazione di cineasti di statura internazionale: Zoltan Fabri, Miklos Jancso, Andras Kovacs, Peter Bacso, Pàl Gabor, Jure Gyongyossi, Istvan Szabo, Fèrenc Kosa [Tizezer nap (1967)], Felix Mariassy [Imposztorok (1969), grottesca rappresentazione della dissoluzione dell'Impero Asburgico]. Il tema dei loro lavori è l'alienazione socialista: psicanalisi della Storia (responsabilità individuali nelle tragedie collettive, il permanente clima di repressione, la dipendenza della coscienza dalla realtà sociale, non dal destino), l'utopia di un socialismo umanistico.
Non fatalista come quello polacco e non generazionale come quello ceco (rivolta dei figli contro i padri), il cinema ungherese si presenta più preparato dal punto di vista teorico, e, grazie alla scuola fondata da Balasz, anche da quello tecnico.
Negli anni Settanta il cinema d'autore ha poi sviluppato l'originale tecnica del documentario di finzione, utile soprattutto nella diagnosi di comportamento all'interno di un gruppo, fenomeno che segna una tendenza a ripiegare sul privato.
Sandor Sara (1933), documentarista, operatore di Szabo: Feldobott ko (1968); Pergotuz [(1982) 7,5 ore, documentario-reportage sulla disfatta ungherese nella campagana sovietica]; Babolna [(1985) affresco storico sociale].
Istvan Gaal (1933), condanna l'estabilishment: Magasiskola (1970); Holt videk [(1972) una donna oppressa da retaggi feudali in un villaggio abbandonato dagli emigranti]; Gerepek [alienazione di un designer venuto dalla provincia]; Cocci ovvero la quarantina [deserto dei sentimenti, un borghese immerso nella dolce vita].
Gyorgy Revesz (1927), versatile: Ejfel kor (1957); Angyalok foldje (1962), drammatico.
Livia Gyarmaty (1932), film sui giovani, confusi e incerti. Il contesto sociale, la società arida degli adulti, scatena la crisi delle giovani generazioni, che poi si esplica in atti di autoemarginazione. Sullo sfondo restano però sempre i sentimenti e un tono poetico nel dipingere i personaggi, anziani patetici o teppisti disperati che siano.
Ismeri a Szandi-Mandit (1969), una sfilata di macchiette in un ambiente operaio (alla Fellini-Olmi).
Kilencedik emelet (1977), in un appartamento angusto conflitto fra genitori e figlio.
Minden szerdan (1979), storia di un teppista.
Egy kiesit en (1984), casi quotidiani di una famiglia del ceto medio.
Ferenc Andras: Dogkeselyn (1982), film d'azione, un tassista cerca di riprendere due donne che lo hanno derubato; Anagy generacio (1989), tre coetanei si ritrovano vent'anni dopo.
Laszlo Vitezy: Tempi di pace (1979), commedia brillante, caustica contro la burocrazia; Voros fold (1982), commedia reportage (documentario finzione): un contadino scopre una miniera, le autorità dapprima non gli credono, poi se ne gloriano e sfrattano gli abitanti della zona, che se la prendono con il contadino.
Karoli Makk (1925), drammi sentimentali: Megsza plottak (1961); Szerelem (1970), kammerspiel; Macskajatek (1973), sulla vecchiaia; commedia di costume: Egy erkolesos ejszaka (1977), prima commedia [un giovane che la mamma ha mandato a studiare in città viene a trovarlo: clienti e prostitute devono fingersi persone perbene]; Kett tortenet a jafelmultbot (1979), nevrosi operaia.
Gyula Gadzag: A valogatas (1970), burocrati organizzano un concorso per complessi beat; Ahatarozat [La decisione (1972)], documentario di finzione: contadini contro ottusi prepotenti burocrati; Elveszet illuziok (1982), arrampicatore sociale.
Istvan Darday: Suta lomutazas (1974), sulla selezione di uno scolaro esemplare da mandare all'estero, vincono i mediocri; Film regeny (1977), quotidiano di tre sorelle, 4,5 ore di proiezione, documentario di finzione; Strategia (1979), critica della burocrazia di Stato, che prima ostacola l'istituzione di un ostello per anziani e poi si vanta dell'opera compiuta.
Zoltan Muszarik: fantasioso e poetico cortometraggista sperimentale che parla della morte (allegoria della morte). Szinbad (1971), capolavoro stilizzato, quasi surrealista; Crontvary (1979).
Andras Jeles: Kis Valentino (1980): un delinquente tenta invano di reinserirsi nella società sfruttando il denaro dell'ultima rapina.
Gyula Maar: La fine del cammino (1974), molto amaro: un anziano viene messo a riposo al termine di una parabola discendente che l'ha portato da mansioni direttive a lavori umili, ed ora si sente inutile e per unico compagno ha un figlio con cui non comunica.
Gabor Body: Amerikai anzix (1975), immagini sperimentali, mercenari ungheresi nella Guerra Civile Americana; Narciso e Biche (1980), una prostituta passa dalle guerre napoleoniche al '00 senza invecchiare; A kutya ejidala (1982), sperimentale, non realista: un falso prete e uno stalinista paralitico, onirismi.
Peter Gothar: anima del disagio e dell'assurdo. Ajantek zanap [Un giorno regalato (1979)], un adulterio, crisi della coppia, vicissitudini di una giovane che per ottenere una casa deve contrarre un matrimonio fittizio; Magall az ido [Tempo sospeso (1981)], film sugli anni 60, due adolescenti figli di un esule nella località di vacanza, cromatismi, analisi del passato, maturazione di un gruppo di ragazzi che nel '56 frequentavano un liceo, biografie individuali intrecciate; Ido van (1986), racconto kafkiano: la famiglia di un operaio frustrato (madre, padre, bambino, bambina) vittima di un'atmosfera ed eventi opprimenti (alla moglie cresce il pelo e l'unico rimedio è l'amore).
Janos Rozsa: Il football del ragno (1976) commedia di costume, grottesco sulle ipocrisie e le incapacità della classe dirigente: il preside ambizioso di una scuola carente sia di profitto sia di disciplina riesce a nascondere tutto al commissario del partito; I parenti della Domenica (1979), sugli istituti di correzione dei giovani delinquenti; A trombitas (1979), film storico sui predoni del XVII secolo.
Marta Meszaros (moglie di Jancso), sulla condizione delle donne. Orok befogadas (1975), una vedova in crisi con il suo uomo aiuta una ragazza che vuole sposarsi; Ok ketten (1977), storia di donne, anch'esse malate di incomunicabilità e insicurezza nei rapporti con i rispettivi mariti; Olgan mint otthon (1978): uno scienziato che ha trascorso un periodo di studio in America si sente al ritorno solo e sradicato, afflitto da un malessere esistenziale senza uscita; Naplo (1984), sugli esiliati di Béla Khùn e le purghe staliniane, chiaramente autobiografico nella persona della protagonista cineasta.
Gyorgy Dobray: Verzerzodes (1982): giovani sbandati, due reclute arrestate per aver disturbato il matrimonio dell'ex-fidanzatadi uno dei due evadono uccidendo un guardiano e vengono uccisi dalla polizia.
Sandor Simo: Viadukt (1982), politico sul fascismo, attentati organizzati dalla destra per dar la colpa alla sinistra.
Peter Timar: Egszseges erotika (1985), grottesco erotico.
Miklos Szurdi: Hatasvadaszok (1982).
Geza Bereemnji: Atanitvanyok (1986), meditazione storica.
Pàl Sandor: Herculesfurdoi emlek (1976): un fuggiasco deve travestirsi da ragazza per sfuggire agli inseguitori politici; Szerences Daniel (1982), esodo dopo l'invasione sovietica.
Pàl Erdos, guerra psicologica: Adi kiraly katonat (1982), disperato dramma di una ragazza cresciuta da sola e umiliata dalla vita che trova conforto nel crescere un bambino, finchè le viene strappato anche questo; Viss zaszamlalas (1985), parabola morale sull'avidità: un uomo acquista un camion a credito, si ammazza di lavoro, ma fallisce e finisce paralizzato; tutti in bianco e nero.
Janos Domolky: La spada (1979), grottesco sull'ottusità dei burocrati: un uomo vende l'auto per comprare all'asta un cimelio storico di cui i burocrati di Stato non capiscono il valore, viene schernito e preso per matto da tutti, finchè ottiene il giusto riconoscimento e il cimelio finisce con gran pompa al museo.
Gyorgy Szomjas (1946), invenzioni linguistiche (colore, inquadratura, montaggio); Talpunk alatt futyuba szel (1976) e Rosszemberek (1979), due western all'italiana sui briganti leggendari dell'Ottocento: recupero del folklore nazionale nel topoi di un genere di serie B; Kopaskutya (1981), storia violenta di un complesso rock ambientata in un quartiere proletario; Konnyu testi sertes (1983), commedia grottesca che usa tecniche da documentario fuse con un tono molto stilizzato: un uomo torna dalla prigione e scopre che sua moglie ha ora un altro uomo, per un po' vivono in tre, lei rimane incinta di lui ma decide di sposare l'altro, lui allora sfoga la rabbia picchiando il rivale, ma così facendo finisce in prigione. Il nano intellettuale, il più vicino ai gusti del pubblico. Mr. Universo (1987) è un road- movie; Falfuro (1989), film sull'habitat metropolitano, che ha per protagonista un trapanatore, conia l'equivalente registico dello slang giovanile.
Laszlo Lugossy: Azonositas (1975); Koszonom megragyung (1980), melodramma d'ambiente operaio; Szirmok viragok koszoruk (1984), un ex- ufficiale ungherese si mette nei guai con un colonnello che incita alla rivolta contro l'Austria e finisce in manicomio, dove si suicida.
Regista semplice e didascalico, ancorato al vecchio realismo, Utazas Jakkabal (1972): due giovani approfittano di un lavoro che prevede frequenti viaggi per bighellonare, ma le loro allegre avventure sono segnate da un'angoscia più profonda.
Angi Vera (1978) una giovane attiva e polemica fa carriera nell'apparato politico da infermiera orfana a giornalista del partito sfruttando con furbizia le occasioni che le si presentano.
Vite sprecate (1981): un'operaia madre di famiglia.
La sposa era bellissima (1987): moglie di un emigrato rimasta in Sicilia.
Laureatosi con Szabo e Gabor, scrive per il teatro ed esordisce con Viragvasarnap (1969), che fonde storia e leggenda, socialismo e cristianesimo, ed applica alla lettera la lezione di stile di Jancso: due fratelli, un prete che guida i braccianti e un maestro che guida i comunisti, sono malati di utopismo e vengono spazzati via dalla repressione del ''.
Abbandonato lo stile mitico di questo film, Gyongyossi e il fido Kabay si dedicano a un realismo morale.
Ket elhatarozas (1976) è il ritratto di una vecchia contadina che ha alle spalle una vita di sacrifici e di sofferenze, ma che sa ancora lottare.
Frammento di vita (1980) è un altro film pseudodocumentario, e un altro ritratto di donna: una dottoressa che, rientrata al paese per il funerale della madre, deve fronteggiare il proprio passato, e in particolare i due uomini che ha amati, e alla fine sceglierà la solitudine a Budapest.
La rivolta di Job (1983) è la favola bucolica e parabellica di un ebreo che adotta un bambino cristiano e gli insegna la vita, prima di essere deportato dai nazisti.
Cinema balcanico
La storia dei Balcani è in gran parte la storia dei grandi Imperi che li dominarono: il Bizantino e il Turco. La distruzione dell'Impero Romano d'Oriente ad opera dei crociati favorì l'avanzata dei turchi, i quali, dopo essersi infiltrati nelle maglie dell'Islàm (i Ghasnavidi in Afghanistan, i Selgiuchidi in Persia e Mesopotamia), cominciarono a premere su Bisanzio, occupando via via l'Armenia e l'Anatolia centrale.
Sotto la spinta dei mongoli una nuova dinastia, quella Osmanide, continuò a spostarsi verso Occidente. L'Impero Ottomano, fondato nel 1301, giunse a conquistare i Balcani (sottomettendo i popoli slavi migrativi dalle steppe russe: i bulgari, cioè i residui dell'orda unna, e i serbi; nonchè i resti dell'influenza romana: i valacchi, ex-vassalli dei mongoli, e i moldavi), l'Ungheria, e l'Africa mediterranea, e ad avere la supremazia navale nel mare interno.
Combattuto dall'Austria e dalla Russia nei Balcani, dalla Persia in Asia e dalla Spagna sul mare, l'Impero si avviò dopo il 1682 a una rapida decadenza. Nel 1878, al termine della guerra con la Russia, Serbia, Romania, Grecia e Bulgaria diventano indipendenti, la Bosnia passa all'Austria, Cipro all'Inghilterra, l'Armenia alla Russia. Come reazione all'ingerenza europea negli affari interni della Turchia si formò il movimento dei Giovani Turchi, che nel '08 fece scoppiare la rivoluzione a favore dello Stato costituzionale. Alla fine delle Guerre Balcaniche (1912-'13) alla Turchia rimase soltanto un lembo d'Europa. Anche l'Albania è indipendente.
Dall'instabilità dei Balcani prende via la Guerra Mondiale: Serbia, Romania, Grecia si schierano con l'Intesa, la Bulgaria e la Turchia con gli Imperi Centrali. La Turchia perde anche gran parte dei possedimenti asiatici: Egitto, Iraq e Palestina passano all'Inghilterra, la Siria alla Francia; e in Europa la Grecia si appropria della Tracia orientale e delle isole egee. Sopravvive a stento alla spartizione e alla guerra contro la Grecia, dichiara la repubblica democratica e decide di liberarsi del passato islamico, ovvero di occidentalizzarsi.
La Romania, che prima comprendeva soltanto Valacchia e Moldavia, acquista la Transilvania, diventa un regno assolutista multinazionale malvisto da Russia e Bulgaria che entra nella sfera di influenza di Hitler.
Serbi e croati (sempre appartenuti all'Austria) si confederano nella Yugoslavia, ma la convivenza dei due popoli sotto un unico regno si rivela assai problematica.
In Bulgaria serpeggiava il malcontento per le perdite territoriali e il despota reprime le rivolte contadine.
L'Albania cade sotto l'influenza italiana.
Anche in Grecia si instaura un regime monarchico autoritario.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Grecia, Albania e Yugoslavia sono oggetti di conquiste italo-tedesche, mentre Romania e Bulgaria si schierano a fianco dell'Asse e la Turchia rimase neutrale. Alla fine della guerra Grecia e Turchia rimangono nella sfera occidentale, tutti gli altri (la Yugoslavia liberata dai partigiani di Tito, la Romania e la Bulgaria occupate dai sovietici, l'Albania di Hoxha) diventano satelliti comunisti dell'URSS.
In Grecia e Turchia continuano per anni violente lotte intestine fra un regime sempre più autoritario e un'opposizione tenace; in Grecia un colpo di Stato dà il potere ai colonnelli, che restaurano l'ordine, ma appena viene ripristinata la democrazia i socialisti conquistano il potere; in Turchia a una dura repressione militare fa riscontro un altrettanto spietato terrorismo. I due Stati sono anche in lotta per la questione di Cipro, libero Stato in cui si fronteggiano una minoranza greca e una turca appoggiati dalle rispettive madripatrie.
I quattro Paesi comunisti balcanici si dimostrano, esclusa la fedelissima Bulgaria, fra i meno convinti del modello sovietico: Tito rompe con Stalin nel '48 e si fa promotore del non allineamento; l'Albania si arrocca in un marx-leninismo tanto ortodosso da non perdonare il revisionismo krusëviano, diventa un satellite cinese, infine, con l'avvento della moderazione anche in Cina, si chiude in un perfetto isolamento; la Romania prende piano piano le distanze da Mosca, soprattutto dopo l'avvento di Ceausescu (1965), pur senza abbandonare le organizzazioni militare ed economica.
L'attività embrionale e sporadica del cinema balcanico (l'unica ad essere dotata di un buon numero di sale prima della guerra era la Grecia) non produsse nulla di significativo fino agli anni Settanta.
Nei Paesi comunisti fu lo Stato a stimolare la cinematografia nazionalizzata. La Yugoslavia fu dal principio quella che diede segni di maggiore vivacità, anche per la vicinanza a Italia, Austria e Ungheria. La Resistenza, il folklore e i cartoni animati sono i generi più sfruttati. Negli anni '60 ebbe via libera la critica al socialismo, visto spesso da un'angolatura intimista. Molti dei registi jugoslavi hanno studiato all'estero (Praga, Londra, Parigi). In questi Paesi però il realismo socialista non riuscì a dare contributi significativi. La scuola dell'animazione vanta i risultati più maturi: Popescu, Dinov, Mimica.
La Turchia, nonostante la massiccia campagna di occidentalizzazione degli anni Venti, si trovava ancora in uno stadio culturale piuttosto arretrato, e per di più l'instabilità politica ostacolava l'emergere di un ceto di intellettuali.
In Grecia gli intellettuali c'erano, ma dovevano riparare all'estero dopo il colpo di Stato dei colonnelli. Il successo internazionale di Melina Mercouri (prima star balcanica, poi ministro della cultura socialista) fece conoscere il cinema greco all'estero: Cacoyannis, Angelopulos e Costa Gavras guidano le fila delle produzioni internazionali, ma in patria si forma un forte filone sperimentale (Rentzis, Markopoulos).
Pantelis Vulgaris: To proxenio tis Anna (1975), borghesia; Happy day (1976), prigionieri politici.
Mikos Panayatopulos: I colori dell'iride, tipo Blow up: è stato filmato il suicidio in mare di un uomo, ma del corpo non si trova traccia, e un testimone che derca invano di convincere le autorità impazzisce al punto da ripetere la stessa scena.
Thanassis Rentzis, sperimentale: Corpus (1979), analisi filosofica di diverse epoche storiche, sinfonia visiva; Bio-grafia (1975); Fiction (1977); L'angelo elettrico (1981).
Nikos Kundurus, neorealista: Magiki polis (1954); O drakos (1955), metafora, paesaggi montuosi deserti; Iparanomi (1958); To potami (1960); Vortex (1971), sessualità, avanguardia; '22 (1981), atrocità turche ai danni di prigionieri greci.
Kostas Skifas: Modello (1974); Metropoli (1975), dibattito poetico-fotografico.
Alexis Damianos: Evdokia (1971), passione amorosa fra soldato e prostituta.
Mico Papatakis, esistenzialismo parigino: Les abysses; Le patres du desordre (1966), profezia della dittatura; La tortura (1975).
George Pan Cosmatos: Cassandra crossing (1976), giallo spionistico e morale; due giovani compioino un attentato per protestare contro la guerra biologica, ma uno muore e l'altro scappa su un treno inseguito dagli americani che vogliono impedirgli di rivelare i loro segreti e che non esitano a preparare un incidente ferroviario che farebbe strage se i passeggeri non si accordassero ed evitassero la tragedia; Cobra (1986) è un'apologia parafascista del giustiziere solitario (Stallone) che combatte la malavita con gli stessi suoi metodi feroci e bestiali; infarcito di tutti gli stereotipi del genere (inseguimenti, omicidi truculenti, scene iperrealiste, sparatorie, assedi, bande di motociclisti).
G. Markoupoulos, pittura e poesia, eccentrico maledetto bohemiem, decadente raffinato, corrosivamente antiborghese, estetismo erotico, Cocteau e underground.
Zivojin Pavlovic, melodrammi rurali, angoscia, fatalità, ambienti cupi e disperati, film neri; Rdece klasje (1970), fallimento di un attivista in crisi; Zadah tela; Let mrtve ptice (1973), la passione di tre fratelli per la stessa donna; Hajka (1977), zingari fra il massacro fratricida; Na putuza katangu (1987), un uomo torna al villaggio per vendere l'eredità e con i soldi emigrare; una donna vi torna per cantare nel locale per minatori; nessuno dei due se ne andrà da lì: disperazione, fatalismo.
Zivko Nikolic. Le bestie, favola freudiana: una fanciulla compare dal nulla in un'isola avvolta nel gelo invernale, subisce la persecuzione da parte della popolazione, conforta un marinaio in punto di morte che la fa sua e la uccide; un apologo sulla paura dell'ignoto, sull'isterismo di massa, sualla turpitudine dell'inconscio.
Matjaz Klopcic. Vcovstvo Karoline Zasler (1976), una vedova stile Lulù nel periodo dell'industrializzazione della campagna e quindi della sua corruzione; Strah, decadenza austriaca in un bordello di Lubiana.
Rasko Gclic. Kud puklo da puklo (1974); Samo jeduom se ljubi (1981), amore infelice, distruzione di un mutilato.
Boro Draskovic. Zitov je lep (1985): il protagonista uccide gli uomini che hanno truffato il popolo e poi si suicida.
Lordan Zafranovic, croata, epopea resistenziale. Muke po mate, critica dell'imborghesimento della classe operaia; La caduta dell'Italia: durante l'occupazione italiana alla caduta del Fascismo si scatena l'anarchia: saccheggio della villa del ricco, massacro degli italiani, orge; i tedeschi fanno a pezzi per vendetta donne, vecchi e bambini; ma i partigiani vinceranno.
Slobodan Sijan. Kako sam sistematski unisten od a idiota: un giovane rivoluzionario sessantottino muore precipitando da un balcone.
Branko Baletic. Balkan Express, ironico: una banda di ladri durante l'occupazione nazista assurgono ad eroi.
Karpo Godina. Rdeci boogie, critica dello zdanovismo attraverso le peripezie di cinque musicisti mandati a rallegrare i lavoratori.
Srdan Karanovic. Nesto izmedu, commedia sentimentale con al centro una giornalista americana.
Vladimir Pogacic, resistenza.
Goran Markovic. Vec viteno (1987): pianista fallito e complessato si innamora di una ragazza affascinante che lavora nella scuola dove lui insegna; l'amore risveglia i traumi del suo passato, e l'inerme si trasforma in carnefice.
Purisa Djorjevic, critica del socialismo e trionfalismo. Devojka (1965), trilogia bellica; Pavle Pavlovic (1975), satira politica.
Bata Cengic, cresciuto nel free-cinema, influenzato dal music- hall. Mali vojnici (1968), bambini emulano la guerra degli adulti; Moga moje porodice (1971), critica delle aberrazioni del socialismo; Slike iz zirota udarnika (1972), critica dell'esaltazione del lavoro.
Ion Popescu-Gopo, animatore: Scurta istoria (1956), Sapte arte (1958), Homo sapiens (1960), cortometraggi veloci che rivisitano l'epopea umana attraverso le peripezie di un Adamo timido ma ingegnoso.
Livio Ciulei, guida del dopoguerra. Padurea spinzuratilor (1969), bellico conflittuale.
Lucian Pintilie: regista teatrale, diresse Reconstituirea (1968), tragica ricostruzione di un fatto teppistico che sfocia nella ripetizione del fatto stesso.
Radu Gabrea. Dincolo de nisipuri (1973), rievocazione anarcoide del passato nazionale.
Gheorgi Stojanov. Ptitzi i krutki (1969), persecuzione di giovani studenti da parte delle autorità fasciste.
Todor Stojanov. Otklonenie (1967), idillio fra due adulti che si ritrovano e critica della degenerazione burocratica degli ideali socialisti.
Todor Dinov, animatore: Revnost (1965), western ambientato in un pentagramma; Margaritka (1965), epopea tenace di un fiore che si arrende soltanto alla mano di un bambino; Ikonostasat (1969), lungometraggio dal vero alla Tarkovskij (Rublëv).
Hristo Hristov. Posledno liato (1973), rievocazione onirica del dopoguerra nella campagna.
Giornalista, partigiano, teatrante, nel dopoguerra si mise alla guida della cinematografia jugoslava. Na svoji zemlij (1948) mette in scena la Resistenza con protagonisti veri nei luoghi reali.
Trst (1950) prende lo spunto dalla storia recente di una città di frontiera come Trieste per discutere sulla costruzione del socialismo.
Povest o dobrin ljudeh è il racconto allegorico dell'armonia che regna in una famiglia isolata dal resto del mondo e che viene spezzata dall'arrivo di un forestiero.
Dopo alcuni film bellici, diresse Skupljaci berica (1967), storia di una comunità zingara, e Bice skoro propast sveta (1969), due opere che fondono folklore contadino e idealismo libertario.
Vlaz bez vorng ceda (1969), storia di povertà contadine nel dopoguerra, e Pogled u zjenicu sunca (1966), odissea di quattro partigiani, rileggono con occhio critico la Resistenza e la ricostruzione. Si specializzò nel kolossal con i bellici Kozara (1962) e Bitka na Neretvi (1969).
Esponente principale del cinema nero, di impegno sociale. Curar plaze u zimskon periodu (1979); Pas koji je voleo vozove (1979); Zemaljski dani teku (1979), in un ospizio arriva un esuberante ex-comandante; Poseban tretman (1980), terapeuta cerca di redimere sbandato; Suton (1982), un nonno alleva due nipotini; Varljivo leto '68 (1984), educazione di una adolescente; Andeo cuvar (1987); film semplici ed immediati, naturalistici.
Partigiano, critico e scrittore per ragazzi, divenne negli anni Cinquanta il massimo esponente del disegno animato jugoslavo, originale nelle soluzioni tecniche ed attuale nei temi affrontati. Nel cinema dal vero si è rivelato attento epigono dei rinnovamenti occidentali: Prometej sa otoka visevice (1965) rievoca in prima persona il passato di un dirigente industriale durante la Resistenza.
Dopo alcuni film neri di critica del sistema, diresse film storici epici e spettacolari come Anno Domini 1573 (1976) e Banovic strahinja (1983), leggenda serba.
Nato a Cipro, dopo aver studiato a Parigi e Londra, spronò in Grecia il sentimento nazionale. Il suo stile sobrio e solenne, recuperato dalla tragedia classica e applicato ai drammi quotidiani della gente comune, diede fama all'estero al cinema greco.
Il pathos del suo cinema e del suo teatro culminarono con la trilogia euripidea, e in particolare nell'Elettra (1962) cinematografica e nelle Troiane (1963) teatrali (con cast internazionale).
Grande successo arrise anche a Zorba [(1964) da Kazantzakis], melodrammatico omaggio al folklore nazionale, e a The day the fish came out (1967), apologo catastrofico in cui un pastore trova un'arma misteriosa e scatena una tragedia immane.
Sweet country (1986): dramma del colpo di Stato che depose e uccise Allende in Cile.