Hollywood
Negli anni '20 Hollywood crebbe a dismisura e il cinema divenne l'arte nazionale degli Stati Uniti.
La figura dell'attore subì un cambiamento radicale; mentre ai tempi di New York l'attore cinematografico era anche attore teatrale e si divideva fra Broadway e il teatro di posa, a Hollywood (dove esisteva solo il cinema) nacque la prima generazione di attori di cinema puri. Si formò una grande comunità di personaggi celebri e ricchi, fra i quali intercorsero amicizie, odii e scandali. Il pubblico cominciò a interessarsi anche alle vicende private dei divi, che presero il posto, nella suggestione collettiva, dei mitici fuorilegge della frontiera o dei miliardari venuti dal nulla; trasgressori anche loro dell'ordine sociale, esercitarono un'influenza enorme sulle mode e sul pensiero del tempo. Il pubblico confondeva vita reale e vita recitata, assegnava all'attore la stessa personalità dei ruoli ch'egli interpretava; e l'attore, assecondandolo, accresceva il suo ascendente sulla massa, assurgeva a una sorta di divinità pagana (dio dell'amore, dio dell'audacia, dio del pianto, etc.); era una merce mistica. Il divo è la persistenza dell'immaginario; protagonista delle prime pagine dei rotocalchi come dei suoi film.
Gli attori scalzarono i registi; nel 1919 i tre più famosi, Douglas Fairbanks, Mary Pickford e Charlie Chaplin, con Griffith, fondano una loro casa produttrice, la United Artists.
Le star garantivano il successo commerciale dei film ed erano perciò più ambite dei registi stessi. Come sempre il fenomeno di folklore veniva assorbito e sfruttato dal businness.
L'industria cinematografica rasentò la catena di montaggio, per il modo in cui venivano prodotti i film e per la rigida suddivisione dei compiti. Proudttore, regista, sceneggiatore, operatore, attore divennero professioni completamente separate proprio per consentire il lavoro in parallelo. I registi divennero artigiani avvezzi a qualsiasi sacrificio artistico pur di sfornare film di cassetta, capaci magari di sfornare dieci film all'anno per cinquant'anni di seguito, come Allan Dwan.
Folklore e businness trovarono un ideale punto d'incontro nella canzone di gesta dell'America bianca: il western. Nato con i primi capolavori di Porter e Ince, aveva scoperto in fretta il fascino dell'uomo a cavallo immerso nella solitudine della prateria, degli assalti alle diligenze, ai treni o alle banche, delle battaglie fra i pellerossa armati di scuri e archi e i soldati della cavalleria nella tradizionale divisa, delle lunghe carovane in marcia verso ovest, della vita avventurosa di cercatori d'oro e di cacciatori di pelle, delle grandi mandrie e del rude mestiere del cowboy, dei saloon con la loro pittoresca folla di barman e pianisti, bari e gorilla, pistoleros e sceriffi, fuorilegge e cacciatori di taglie, dei villaggi attorniati dal deserto con le due solite file di case (con le pompe funebri e il maniscalco bene in vista) e in mezzo ad esse la via percorsa dai carri, dai cavalieri, dalle donne, dei duelli all'ultimo sangue e dei rodei, della civiltà del revolver.
Il predominio dei cowboy fu conteso, oltre che dalla nascente grande scuola comica, dai divi del cinema avventuroso, Fairbanks e Valentino, e da Mary Pickford. Il fanatismo senza precedenti che circondò l'exgiardiniere Rudolph Valentino, prototipo del latinlover esotico, dopo The four horsemen of the Apocalypse (1921) di Ingram, è la prova tangibile di quanto incidesse il fenomeno delle star nella vita dell'americano medio. Tra i registi di questo cinema per stars vi furono Rex Ingram, Fred Niblo, Allan Dwan, Maurice Tourneur, mestieranti senza genio, ma abili confezionatori di film di cassetta.
Il cinema d'immigrazione importò le dive europee, Pola Negri e Asta Nielsen [e almeno un grande regista, Erich von Stroheim]. L'immigrazione, che aveva creato il cinema americano e Hollywood in particolare, continuava a procurare talenti, e avrebbe ricevuto un nuovo impulso negli anni trenta, con l'avvento delle dittature europee e l'esilio, volontario o imposto, di migliaia di dissidenti.
Il cinema di immigrazione trapianta in America soprattutto il melodramma europeo, ma il suo apporto va oltre questo innesto se si pensa che i registi europei provengono da un clima sociale e culturale profondamente diverso, per cui portano con sé i germi del naturalismo e dell'espressionismo. La Parigi dei bistrots, la Vienna dell'operetta e la Berlino del cabaret, avvolte da una cappa di sinistri presentimenti, si ritrovano anche nei loro film americani, e si diffondono epidermcamente nel resto della popolazione cinematografica.
Negli anni venti Hollywood definì anche una volta per tutte la struttura in generi: comico, melodramma, di guerra, horror, gangster, commedia, esotico e western.
La potenza di Hollywood rifulse nei kolossal degli anni venti, eredi delle monumentali messe in scena italiane e delle visioni ghriffithiane; oltre a De Mille, fu Fred Nibio a dare l'opera cardine del genere, Ben Hur.
Western
Il serial western soppiantò il serial nero; le horseopera, cortometraggi prodotti in serie, avevano al centro la figura dell'eroe senza macchia e senza paura: Broncho Billy Anderson, Tom Mix, William Hart erano eredi dei cavalieri medievali, intrepidi paladini della giustizia, difensori dei deboli contro l'arroganza dei prepotenti. I primi specialisti del genere, dopo Ince, furono Reginald Barker, James Cruze ed Henry King.
Lilian Gish e Gloria Swanson
Attrice teatrale dall'età di quattordici anni, Lilian Gish fu scoperta a sedici da Griffith, che ne fece la protagonista di tutti i suoi capolavori. Prototipo di tutte le eroine fragili e tenere, interpretò parti drammatiche e patetiche con estrema sensibilità e una totale partecipazione alle disavventure del personaggio; si sublimò nell'orfanella sedotta che il fiume trascina, aggrappata su un lastrone di ghiaccio, verso le cascate e nella fanciulla inerme picchiata a morte dal padre (Way down east e Broken blossom). Ideale modello di innocente che la società dei giudei moderni condanna a un crudele calvario, raggiunge l'animo degli spettatori soprattutto con un sorriso toccante e lo sguardo doloroso, più ancora che negli eccessi di terrore o di felicità che resero celebri alcune scene.
Con Sjostrom (soprattutto nella sventurata di The wind, che per difendersi da un bruto deve ucciderlo) aggiornò i suoi moduli espressivi dando maggior risalto al tormento interiore.
Gloria Swanson rappresenta il mito opposto a quello candido e sensibile di Lilian Gish; dopo le prime comiche di apprendistato si caratterizzò in ruoli erotici e aristocratici, particolarmente quelli leggeri affidatigli da De Mille (The affairs of Anatol) e da Allan Dwan, ma anche quelli tragici in cui ebbe al fianco Erich von Stroheim, o come regista (Queen Kelly) o come attore (Sunset boulevard, di Billy Wilder). Diva del lusso e della bellezza, rappresentò l'immaginario materialista (denaro e sesso) laddove Lilian Gish rappresentava l'immaginario sentimentale (amore e morte).
Asta Nielsen e Pola Negri
La prima diva scandinava (e l'unica internazionale dell'anteguerra), Asta Nielsen, fu portata al successo in Germania dal marito Urban Gad (Afgrunden), nella parte della donna bella e intelligente, nobilmente altera, vistosamente femminile, vittima di una fatalità ibseniana (connessa alla liberazione della donna); efficace nell'analisi delle passioni, ottenne i risultati più emozionanti negli studi sociali sulla prostituzione, di Pabst (Die freudlose gasse) e Rahn (Dinnetragödie).
La polacca Pola Negri fu portata a Berlino da Reinhardt, e nella capitale tedesca conobbe Lubitsch, un regista a cui fu unita in numerosi film storici, sia drammatici (Madame Dubarry) sia leggeri (Forbidden paradise), contrapponendosi con il suo comportamento spigliato, alla più distaccata Nielsen.
Donna fatale in senso melodrammatico, sensuale e raffinata cortigiana, conquistò Hollywood negli anni venti, facendo concorrenza a Gloria Swanson (Hotel Imperial di Stiller).
Asta Nielsen e Pola Negri, eredi, come gran parte delle atrrici europee, del grande dittico BernhardtDuse, adeguarono il clichè dell'eroina melodrammatica rispettivamente al realismo e a Hollywood.
Douglas Fairbanks
Fallito come attore shakespeariano, il trentaduenne Douglas Fairbanks mise al servizio del cinema la sua esuberanza e le sue doti acrobatiche. I suoi personaggi, agili, forti, coraggiosi e ironici, dominavano avventurosi romanzi storici; da un lato Fairbanks sublimava fisicamente il senso dell'avventura con una obsoleta ma eccitante personalità romantica, dall'altro rassicurava l'americano medio con un ottimismo spensierato ad oltranza basato sul motto laugh and live.
Nel presente assillato da problemi meschini ma impellenti, trasferito nel passato il ragazzone yankee era invece pieno di gioia di vivere e pronto a ogni impresa. Nel presente la sua vita consisteva unicamente in una disperata lotta per il denaro, ma nel passato il denaro si trasformava in giustizia (Zorro, Roobin Hood), fedeltà al giuramento (D'Artagnan), nobile sprezzo del pericolo (ladro di Baghdad) e la disperazione in sicurezza di successo. La meschinità quotidiana si trasferiva da eroismo universale. Il personaggio di Fairbanks, in qualunque epoca e in qualunque paese viva, è sempre fondamentalmente uno yankee, il paese stesso non è altro che una piccola America in costume, in cui vigono i sani principi della democrazia e dell'intraprendenza.
Manipolato con tanta perizia l'immaginario collettivo, Fairbanks estrinsecò anche in altri modi la sua intelligenza: nel 1919 fondò la United Artists, lanciando una clamorosa sfida ai potenti di Hollywood; partecipò alla sceneggiatura e alla regia dei suoi film; sposò nel 1920 Mary Pickford, formando la coppia più celebre del mondo e raddoppiando così la sua influenza psicologica sul pubblico.
Nel 1916 Manhattan madness di Allan Dwan lo rivelò giovane pazzo scatenato, alle prese con le tragicomiche peripezie di un ingenuo provinciale giunto nella metropoli; il grande dinamismo di Fairbanks era contrapposto al caos della grande città, e Fairbanks spiegava in pratica come essere felici anche nel posto più infelice del mondo; mistero, amore e odio sono già gli elementi fondamentali a cui si appoggia il suo personaggio.
The mark of Zorro (1920) di Fred Niblo lanciò in tutto il mondo il mito del giustiziere mascherato (dietro cui si cela in realtà un nobile effeminato) alle prese con le angherie del governatore della California; furono i duelli spericolati, e condotti con ironia quasi satirica, a fare la fortuna del film e del personaggio. Dopo questo trionfo Fairbanks si votò al film storico, prima con The three musketeers, e poi con Robin Hood 1922, di Allan Dwan, un film allegro e kolossal che divenne un altro classico del film d'azione per la travolgente interpretazione di Fairbanks.
Il crescendo di vivacità culminò in The thief of Baghdad (1924) di Raoul Walsh, con l'aggiunta di un tocco di esotismo e di magia, che rendeva ancora più frizzanti l'incandescente miscuglio di azione ed erotismo.
Fairbanks replicò il suo personaggio fino all'avvento del sonoro con immutato successo.
Aveva scoperto la poesia del caos e del movimento, che è poi il fascino stesso della civiltà americana. Aveva sfruttato i miti dell'infanzia, ben sapendo che in ogni uomo si nasconde un bambino bisognoso di immedesimarsi in un eroe. Aveva perfezionato il cinema popolare d'appendice e, fondendo la frenesia delle comiche con le pause del melodramma, aveva posto le basi per la commedia leggera. Aveva definito la personalità dell'americano al cento per cento.
Mary Pickford
Dopo una misera infanzia e un precoce esordio sui palcoscenici del natio Canada, Mary Pickford emigrò a sedici anni a Hollywood, dove divenne attrice cinematografica per Griffith. Interpretava ruoli di dolci fanciulle dall'animo buono immerse in un dickensiano mondo dal cuore di pietra, e i suoi riccioli biondi divennero il simbolo di un'America vittimista, il cui cittadino medio si autocommiserava, povero innocente alle prese con una società crudele e spietata.
Mary Pickford era un angelo che, subendo i capricci degli uomini, li conduceva alla redenzione. Le sue bambine mettevano sempre un pizzico di ironia nella loro accondiscendenza alle assurdità del mondo dei grandi; era una forma molto educata di satira della società. Stabiliti con chiarezza i ruoli del buono (lo spettatore innocente e inerme) e del cattivo (la società rigida e tiranna), la piccola poteva completare il suo trionfo mettendo in mostra l'innata abilità di commediante bambina, con tutto il fascino che il bambino di spettacolo esercita sul pubblico.
Le tappe fondamentali della sua carriera furono: The New York hat, di Griffith (1912, in cui è una brava fanciulla tormentata dai bigotti per un innocuo atto di vanità), Poor little rich girl di Maurice Tourneur (1917, dove dimostra che la ricchezza rovina l'infanzia, ma anche che l'infanzia può irridere la ricchezza), Pollyanna (1920, in cui per salvare una bambina viene investita da un'auto e resta paralizzata).
Soprannominata la fidanzata d'America, si unì nel 1920 in matrimonio con Fairbanks senza perdere l'aureola; le due carriere continuarono come prima, separate e parallele (i due erano gli attori più popolare d'America, rispettivamente maschio e femmina).
Il pubblico non le perdonò però quando nel 1925 si tagliò i riccioli. La Pickford, rimasta troppo legata a un'immagine di bambina, o al massimo di giovinetta, dovette smettere di recitare a quarant'anni, quando la finzione rischiava di scadere nel ridicolo; seppe comunque conservare un forte ascendente sul suo pubblico, curando per anni il proprio mito attraverso i massmedia.
Allan Dwan
Cominciò a dirigere sotto la supervisione di Griffith, ma senza maturare mai uno stile personale. Nella sua carriera avrebbe diretto più film di chiunque altro, più che altro al servizio della star di turno [Fairbanks (Half breed; Manhattan madness; Robin Hood, '23; Iron mash, '29, tipici film d'azione); Swanson (Manhandled, '24)], perlopiù commedie e melodrammi.
Durante la guerra girò quattro farse: Up in Mabel's room (1944), Getting Gertie's Garter (1945), Abroad with two yanks (1944), Brewster's millions (1945).
Tornò alla ribalta con uno dei più famosi bellici della Seconda Guerra Mondiale, Sands of Iwo Jima (1949), con John Wayne, agiografico di un eroe che l'abbandono da parte della moglie ha reso scontroso ma che non esita a sacrificarsi.
Finì la carriera con dei nobili western: Cattle Queen of Montana (1954), Silver Lode (1954), Tennessee's Partner (1959).
Fino all'ultimo rimase relegato ai Bmovie, con budget modesto.
Irving Thalberg
Ragazzo prodigio, a vent'anni era già l'assistente di Carl Lemmle agli Universal, e dal '26 divenne il produttore tiranno degli MGM, ferreo stakhanovista dei 50 film all'anno e accanito sfruttatore/inventore dello starsystem. Con lui il produttore divenne il vero padrone del film, spingendo agli estremi gli insegnamenti di Ince.
Considerato un genio, mitizzato, morì giovane.
Avantgarde Cinema
Impressionismo e surrealismo
L'ostilità degli ambienti ufficiali francesi verso il cinema durò fino alla Prima Guerra Mondiale; durante la guerra anche il governo francese apprezzò il cinema come mezzo di propaganda, e perciò favorì il filone dei film di guerra.
Alla fine della guerra la cinematografia francese era divisa in tre generi: i serial di Feuillade, i cineromanzi (J'accuse di Gance, Les miserables di Raymond Bernard e l'omonimo di Henry Jescourt) e i film di guerra (Verdun di Leon Poirier). Mentre si assiste al crollo economico della produzione nazionale, a causa dell'emigrazione di massa dei talenti migliori e della nutrita concorrenza straniera, si diffonde negli ambienti della cultura un nuovo interesse per il cinema, già riabilitato moralmente sul campo di battaglia. Il primo ad attirare l'attenzione degli uomini di cultura è Feuillade, che conquista i surrealisti.
Animatore di questa avanguardia di intellettuali amanti del cinema è Louis Delluc, il primo critico cinematografico. Il movimento era composto da teorici più che da artisti, Germaine Dulac, Germain Epstein, il primo Gremillon (Gardelus de fare), Marcel L'Herbier e Abel Gance, e teneva i suoi cenacoli in un paio di cinematografi sedi di Club dedicati alla settima arte. Questi locali erano frequentati da una fauna snob, variopinta e stravagante; ma tra i damerini alla moda si muovevano anche gli ideologisti del cinema, quelli che avrebbero fissato i canoni della tradizione nazionale.
Dopo i primi esperimenti degli impressionisti, anche i surrealisti scesero nell'agone; il cinema li eccitava date le sue enormi possibilità di manipolazione dell'immagine; brandendocome unica regola il libero corso delle immagini, reali o artificiali che fossero, i surrealisti compirono una prima radicale dissacrazione del film, slegandolo dalla sintassi narrativa che ne era stata la struttura portante.
La rappresentazione del pensiero e dei sentimenti era già stata oggetto di studio da parte degli impressionisti, che avevano notato come i registi scandinavi dessero importanza agli scenari naturali e agli oggetti.
I film genericamente surrealisti comprendevano in realtà sinfonie visive [Rien que des heures (1926) di Cavalcanti], film dadaisti (Entr'acte di Clair e L'etoile de la mer di Man Ray), film futuristi (Ballet mecanique del pittore cubista Ferdinand Légèr, À pròpos de Nice di Vigo), film astratti (Ritmo 21 di Hans Richter, Diagonal simphonie di Viking Eggeling e i cortometraggi della Dulac), film per psicanalisti (Un chien andalou e L'age d'or di Buñuel e Salvador Dalì) e propriamente surrealisti (Le sang d'un poète di Cocteau e Dream that money can't buy di Richter) e cubisti (Anemic cinema di Marcel Duchamp). Man Ray e Salvador Dalì erano i più famosi protagonisti dell'avanguardia parigina a cimentarsi col cinema; col surrealismo quindi il cinema fu scoperto anche dai poeti e dai pittori, proprio mentre cominciavano ad abbandonarlo gli uomini di teatro.
Se l'impatto sul linguaggio cinematografico fu di poco peso, questa diffusa sperimentazione sull'immagine favorì il cinema d'animazione, forte di una solida tradizione, che approdò con lo schermo di spilli di Aleksandr Alexeev (Une nuit sur le Mont Chauve) e con le marionette di Ladislav Starevic (Le roman de Renard) a risultati eccezionali, paragonabili a quelli conseguiti dai pionieri Cohl e Reynaud.
Questi due cineasti sono esponenti della folta colonia di profughi russi che giunse a Parigi dopo la Rivoluzione d'Ottobre; fra di essi si trovarono altre personalità di rilievo, come Mozukhin e Kirsanov, entrambi sorprendenti anticipatori delle tendenze francesi.
L'avanguardia diede anche impulso al documentario, che ebbe in Alberto Cavalcanti e Jean Painlevé le figure più geniali, il primo fautore di un realismo populista, il secondo dedito a straordinari cortometraggi scientifici.
Il nuovo rigoglio della cinematografia francese segnò un risveglio anche da parte dell'industria commerciale, che cercò di riprendere quota imitando Hollywood.
Louis Delluc e Germaine Dulac
Teorico dell'arte in movimento come armonioso impressionismo, Louis Delluc si sforzò anche di strappare l'immagine dalla materia, di riuscire a rappresentare i pensieri, i sentimenti e i ricordi con i gesti e gli sguardi dei suoi personaggi. Delluc sosteneva che il film deve aver origine da un impulso lirico, da un moto interno che illumina gli oggetti di tutti i giorni con una luce particolare; e perciò curava il lato fotogenico degli oggetti. Era ispirato dallo spleen realista e urbano di Baudelaire e dalla poesia priva di soggetto di Mallarmè, ed ispirò a sua volta il film noir degli anni trenta e la nouvelle vague degli anni cinquanta: Foerre (1921) culmina in una rissa fra rudi e nostalgici marinai marsigliesi in cui il protagonista viene ucciso dal marito della sua examante (melodramma della classe lavoratrice in un'atrmosfera notturna di depressione collettiva) e la Femme de nulle part (1922) è una donna piena di ricordi tornata a visitare la villa della sua giovinezza che riesce a dissuadere l'attuale padrona a commettere il suo stesso sbaglio di abbandonare il marito.
Germaine Dulac (prima donna regista) fu la sacerdotessa dell'avanguardia parigina: fu protagonista di articoli e conferenze, diresse i primi film impressionisti (Féte epagnole, 1919, dramma nero e folclore), fece sfoggio di virtuosismi tecnici ne La souriette madame Beudette (1923, crisi domestica piccolo borghese a lieto fine), collaborò con Antonin Artaud per l'esperimento surrealista La coquille e le clargyman, realizzò brevi colonne sonore astratte, diresse cinegiornali.
L'attore russo Ivan Mozzuchin, celebre interpreti di personaggi tormentati tratti dai grandi romanzi russi dell'Ottocento, si rifugiò a Parigi nel 1920, dove non tardò a ripetere i fasti già conquistati in patria. La cultura decadente di cui era impregnato lo spinse a occuparsi di psicanalisi, e in particolare dei rapporti tra realtà e sogno. Le brasier ardent (1923) è una fantasia onirica che sconfina nella commedia borghese e nel poliziesco: una donna, che ha sognato un detective, e suo marito, che la fa pedinare dallo stesso detective, sono ossessionati da una folla di duplicati dello stesso detective.
Dmitri Kiranov si stabilì in Francia negli anni venti e vi diresse una serie di poetici film sulla vita quotidiana che anticipavano il realismo poetico degli anni trenta. Meni montant (1925) è il sobborgo di Parigi in cui vanno a vivere due giovani dopo che la madre è stata assassinata; l'una è stata abbandonata dal giovane che l'ha messa incinta, l'altra diventa una prostituta. Il film ha un lieto fine, è commovente, indugia nel riprendere la natura (il sole, la pioggia, gli alberi) nello squallido osbborgo parigino, e riesce così a cavar poesia da una materia crudamente reale.
Fernand Légèr e Hans Richter
Fernand Légèr fu lo scenografo cubista del teatro francese degli anni venti; entrato nel cinema con le scenografie di L'inhumaine per L'Herbier, diresse Le ballet mechanique, film d'animazione.
Hans Richter veniva dalla pittura espressionista; nel dopoguerra passò nelle file del dadaismo e diresse film astratti come Rhythms 21, basati sul movimento di figure geometriche, o come Vormittagspuk, una fantasia di oggetti impertinenti e personaggi camaleontici.
Il futurismo
L'ultimo secolo dello zarismo, dall'invasione napoleonica alla Rivoluzione d'Ottobre, fu travagliato da disordini e ribellioni continui: nel 1825 i moti decabristi, negli anni settanta i sabotaggi e gli attentati dei nihilisti, negli anni ottanta gli scioperi fomentati dal Partito Socialdemocratico, nel 1905 l'ammutinamento della corazzata Potëmkin e della guarnigione di Kronstadt e lo sciopero generale. Il regime fu piegato dalla doppia rivoluzione, di febbraio e d'ottobre, del 1917, ma dalla primavera del 1918 al novembre 1920 condusse una strenua Guerra Civile, fiancheggiato dalle potenze occidentali, tanto in Europa quanto in Asia.
A capo della nazione è Lenin, un avvocato che ha scontato sette anni di Siberia e che nel successivo esilio è stato promotore della scissione del Partito Socialdemocratico in bolscevichi e menscevichi; rientrato clandestinamente in patria, proclama la dittatura del proletariato e l'Internazionale Comunista, e dà inizio a una grande trasformazione sociale del Paese.
Nel 1921, in seguito a proteste popolari, viene varata la NEP, che concede libertà d'iniziativa ai privati; nel dicembre 1922 nasce l'URSS; all'inizio del 1924 Lenin muore e Stalin prende il potere, enuncia la dottrina del socialismo in un solo Paese, destituisce Trotzkij (opposizione di sinistra), la cui teoria della rivoluzione permanente si è rivelata utopista dopo i fallimenti dei moti tedeschi, e Bucharin (opposizione di destra).
Nel 1929 ha inizio il grande processo nazionale di collettivizzazione (kolchoz) che causa la morte, per persecuzioni o stenti, di milioni di contadini. Nel 1934 l'assassinio di Kirov dà il via alle epurazioni di massa: in seguito a processi sommari milioni di persone vengono deportate in Siberia. Nello stesso anno Zdanov lancia lo slogan del realismo socialista, proibendo di fatto altri tipi di espressione artistica. Nel 1935, con l'esaltazione del minatore Stakhanov, viene lanciato in grande stile la mobilitazione della manodopera per costruire in tempi velocissimi una potenza industriale e militare.
La Russia zarista si accontentò fino allo scoppio della guerra di vedere i film francesi e i francesi fecero della Russia una colonia cinematografica. Lo scoppio della guerra, rendendo più difficile e discontinua l'importazione, favorì i pochi registi indigeni, quasi tutti specializzati in leggende popolari e trasposizioni dai romanzi dell'Ottocento. In compenso l'invasione di film hollywoodiani diffuse l'epopea del West.
Lenin portò una ventata d'aria fresca nel settore che si trascinava stancamente; riconosciute le grandi potenzialità propagandistiche e didattiche del cinema, Lenin dispose affinchè la cinematografia sovietica fosse ristrutturata e, banditi i film borghesi, chiese che si producessero più film d'attualità. Il settore venne nazionalizzato e nacque la prima Scuola Cinematografica del mondo. Proliferarono così i cortometraggi d'agitazione e di esaltazione del lavoro collettivo e molti giovani furono attratti dalla nuova arte così a portata di mano.
Il filone del documentario sociale spaziò dagli agitprop girati sui treni alla ricostruzione storica (Padenij dinastij Romanovic di Esfir Gub), dalla vita nei villaggi del Caucaso (Sol Svanetic di Mihail Kalatorov) alla colonizzazione della Siberia (Turksib di Victor Turin)
Parallelamente alla Rivoluzione d'Ottobre si era sviluppato un movimento culturale d'avanguardia che comprendeva futuristi (Majakovskij), formalisti ( olovskij) e costruttivisti (Tatlin). Dopo l'instaurazione della Repubblica dei Soviet (1917) i raggruppamenti di intellettuali si moltiplicarono, e la rivista Leg divenne il loro punto di riferimento.
I futuristi, reagendo al simbolismo, propugnarono un rigoroso allineamento alla realtà contemporanea; iperbolica, declamatoria, sovversiva, veemente e rigidamente materialista, l'opera futurista catapultò la cultura sovietica all'avanguardia della ricerca europea.
Il formalismo smascherò l'essenza dell'opera d'arte, finzione e convenzione, prodotto di artifici e straniamento.
Il costruttivismo fu la versione sovietica del cubismo e del futurismo figurativo, proponendosi come sintesi fra arte e tecnologia.
Il cinema zarista contava pochi registi originali, come Aleksandr Janin [Polikuka (1919), affresco rurale], Protazanov e il georgiano Ivan Peretiani (autore nel 1923 di Kranie diavoljuta, western romantico sull'Armata a cavallo, classico trait d'union fra cinema zarista e realismo socialista).
La guerra e la Rivoluzione spinsero alcuni all'esilio; in campo cinematografico furono soprattutto gli attori (Mossuchin) ad abbandonare la patria, perlopiù alla volta della Francia.
La vivacità culturale degli anni venti favorì lo sviluppo del cinema come arte autonoma; spettacoli aperti si tenevano in tutte le città, piccoli teatri proliferarono, il tutto all'insegna del populismo (con conseguente rivalutazione di circo, pantomima, musichall); sotto l'influenza del formalismo e del cinema americano (Griffith) i sovietici si resero consapevoli del linguaggio filmico fondato sul montaggio; il montaggio divenne la parola d'ordine per tutti i registi sovietici; esso costituiva una significativa ingegnerizzazione dell'arte, perché la costruzione di un'opera d'arte avveniva simulando l'assemblaggio di un macchinario industriale; e il concetto di ingegnerizzazione dell'arte era tanto caro al futurismo quanto al materialismo; ma il montaggio veniva incontro anche alle esigenze pratiche dei cineasti sovietici, che tagliando e ritagliando potevano supplire alla mancanza di mezzi (soprattutto di pellicola); il cinema sovietico scisse decisamente lo spaziotempo cinematografico dallo spaziotempo reale e l'oggetto della sua rappresentazione cinematografica (che può essere molteplice per lo stesso oggetto nello stesso istantepunto in funzione dell'angolatura, dello sfondo, etc.).
Alla prima generazione di teorici, Vladimir Gardin, Kuleov e Olga Preobraenka (autrice nel 1927 di Baby Rjazonkie, sulla drammatica condizione femminile nelle campagne russe), si sovrapposero i quattro grandi futuristi Ejzenstein, Pudovkin, Dovzenko, Vertov, mentre a Kulesov si deve far risalire la scuola americanista, che ha in Barnet il suo massimo esponente; alla teoria di Majakovskij, alla pratica di Nikolaj Ochplakov (regista teatrale del monumentale e del carnevalesco contaminato dall'espressionismo, che realizzò per il cinema la grottesca paradossale satira Prodannij appetit, in cui un operaio vende il proprio appetito a un capitalista malato di stomaco) e di Vsevolod Mejerchold (fautore del teatro circo) si ispirarono i registi del FEKS, il gruppo formalista di Leningrado degli anni venti che mise in primo piano l'eccentricità: Leonid Tranberg, Kozincev, Jutkevic.
L'americanismo di Kulesov e il grottesco della FEKS influenzarono i film leggeri degli anni venti e trenta.
Al FEKS reagirono diversi uomini di cinema e a Leningrado Ermler, fautore di un realismo psicologico.
La realtà del tempo venne colta soprattutto in film senza pretese, avuti da programmi politici e artistici, ma proprio per questo più fedeli ai problemi della vita quotidiana (EKK, Room).
Il cinema come lavoro collettivo, come funzione di tecnica e di arte di massa, calzava alla perfezione con le direttive leniniste, che fondavano la costruzione del socialismo sull'accoppiata elettricità-soviet, quando la cultura venne eletta a componente della lotta di classe. L'entusiasmo suscitato nelle avanguardie dalla vittoria bolscevica e che aveva ricevuto nuovo impulso della Nuova Economia Politica (1921) si spense quando Stalin, sciolti i raggruppamenti di intellettuali, istituzionalizzò il realismo socialista come unico criterio estetico consentito. L'arte, intesa in senso puramente pedagogico, fu schiacciata dalla burocrazia. La Seconda Guerra Mondiale poi fece il resto. La riqualificazione sociale dell'intellettuale è perciò più evidente nel cinema che nelle altre arti.
Il cinema acquista una funzione di comunicazione fra il vertice e la base della nazione in entrambi i versi, sia dall'alto verso il basso (educazione al collettivismo) sia dal basso verso l'alto (mediazione del consenso). Il processo rivoluzionario investe d'altronde lo stesso strumento di comunicazione: l'opera dei futuristi consiste in ultimo proprio nella rifondazione materialista dell'immaginario collettivo, trasformazione che si compie attraverso un nuovo ordinamento della pratica cinematografica; l'esposizione del mondo secondo i valori proletari necessita di un linguaggio diverso rispetto a quello adottato dal cinema borhese.
Dato il periodo (grande vivacità culturale, Rivoluzione d'Ottobre, invasione di film americani), il cinema sovietico nacque dalla confluenza di contributi teatrali (futurismo), di istanze rivoluzionarie (agitprop) e di innovazioni tecniche (il montaggio). Nonostante la prima componente, si tenne sempre ben lontano dagli schemi teatrali, concependo fin dal principio il cinema come un'arte basata su meccanismi propri del tutto estranei al teatro. La seconda componente ebbe invece grande rilievo sia nella scelta dei soggetti (che dovevano forzatamente essere o di critica della borghesia, del capitalismo, dell'imperialismo, o di esaltazione della Rivoluzione, dell'Unione Sovietica, del socialismo) sia nello spirito dei cineasti (prima fortemente innovativo, poi satirico, poi burocratico, poi propagandistico, in funzione degli sviluppi politici). La terza componente si tradusse in una estrema modernità dei film dell'epoca, agli antipodi rispetto all'antiquata produzione europea. Dal Comunismo di guerra e dell'edificazione del socialismo si passava cioè al collettivismo burocratico e autoritario.
Il cinema aveva un suo preciso compito nell'ambito delle arti: affermare la giustezza della società nata dalla rivoluzione bolscevica.
ZARISTA Perestiani, Protazanov
TEORICI Gardin, Kulesov,Preobraenska
FUTURISTI Ejzenstein, Pudovkin, Dovzenko, Vertov
DOCUMENTARIO Gub, Turin
FEKS Trauberg, Kozincev, Jutkevic, Ochlopkov
REALISMO PSICOLOGICO Ermler
AMERICANISMO Barnet
RIEDUCAZIONE Ekk
COMMEDIA DI COSTUME Room
REALISMO SOCIALISTA Gerasimov (1939), Zarkhi (1937), Legosin (1937), Raszman (1940),
Maceret (1932)
EPICA SOVRANNAZIONALE georgiana Sengelasa, Ciaureli (1933'46)
ucraina Savcenko (1934)
armena Beknazarov (1935)
bielorussa Dzigan (1936)
russa Vasilev (1934)
MUSICAL Aleksandrov (1938)
COMICO Medvedkin (1935)
ANIMAZIONE Ptusko (1935)
BIOGRAFIA Romm, Donskoj (1938'40)
KOLOSSAL STORICO Petrov (1934)
Fredrick Ermler
Fredrick Ermler, un operaio autodidatta, contrappose alla FEKS degli studentelli universitari il realismo psicologico; fedelissimo al regime, ne accettò tutte le direttive, collocando tutti i suoi film all'interno della nuova società, morale e materiale, e trascurando le conquiste formali dell'avanguardia. Dai film psicologici [il moralista Katka bumaznij ranet (1926), sui bassifondi nell'epoca della NEP, che mette in scena un circo, seppur tragico, di prostitute, delinquenti, disoccupati; Parizskij sapoznik (1928), la vicenda di una ragazza di provincia messa incinta e abbandonata che viene difesa soltanto da un calzolaio sordomuto; Oblomok imperii (1929), in cui un uomo guarito da un'amnesia confronta la nazione con quella eroica del 1917] passò nel 1932 a quelli socialisti [Vstrecnij, primo film del realismo socialista; Velikij grazdanim (1939) sull'assassinio di Kirov che diede il via alle purghe staliniane; Ona zasciscaet rodinu (1943) sulle imprese eroiche di una partigiana; Velikij perelom (1945), rievocazione della battaglia di Stalingrado; Krestianije (1935), sui sabotatori del comunismo].
I film muti contribuirono però a portare il cinema sovietico verso l'approfondimento delle psicologie, come quelli parlati diedero largo spazio ai dialoghi fra un numero limitato di personaggi.
Sergej Jutkevic
Sergej Jutkevic trascorse sei anni, a partire dal 1927, immerso nel film avanguardista dell'epoca, dalla FEKS al teatro delle marionette. Pregno della cultura rivoluzionaria, Jutkevich affrontò il cinema con l'idea di rappresentare l'individuo rivoluzionario nelle sue molteplici manifestazioni (dall'operaio comune a Lenin, dal soldato semplice all'eroe nazionale).
Kruzeva [(1928) la conversione di un fannullone in fabbrica], Zlatie gorj [(1931) la trasformazione di un contadino in operaio] e Sachterj (1937) riprendevano la vita quotidiana del popolo in modo vivace ed eccentrico ma troppo formalista per il regime stalinista.
Nell'epoca del realismo socialista Jutkevic si votò alle celebrazioni ufficiali (fra cui tre film su Lenin), senza peraltro abbandonare il gusto per il farsesco (Novje pochodenija Svejna) e l'ambizione di un cinema di marionette [Banja (1962)].
Nikolaj Ekk
Il primo film sonoro sovietico, Putevka v Zhizn/ The Road to Life (1931) di Nikolaj Ekk, fu un film sulla rieducazione attraverso il lavoro dei giovani delinquenti; parte documentaria (sulla banda di teppisti per le vie di Mosca), parte ideologica (il lavoro nella comune) e parte romanzata (il sacrificio dell'educatore) si compenetrano felicemente.