Se il 1923 era stato un anno terribile, in cui la gente era vissuta sotto l'incubo permanente di un'inflazione parossistica. E l'attenzione degli uomini di cultura si era rivolta all'uomo reale, il cosiddetto uomo della strada, il reduce della vita abbandonato dalla società allo squallore e alla ferocia della miseria. Con distacco, l'intellettuale prende visione del dramma del disoccupato, dell'operaio e del piccolo-borghese, di tanti drammi simili, che nel complesso formano una realtà. Non interessa più l'anormalità della posizione dell'individuo, ma l'anormalità della posizione dell'individuo nei confronti dell'ordine presunto sociale. La caduta di interessi per la psicologia generò una serie di romanzi reportage statistici e documentari, fra cui alcuni romanzi proletari. Al realismo tecnologico (Döblin) si contrappose comunque anche un realismo umano (Fallada), di commossa partecipazione alle sventure comuni. Questa letteratura influenzò direttamente il cinema, in cui la nuova oggettività soppiantò di colpo lo spiritualismo espressionista.
Se il movimento fu trascinato dai capolavori di Pabst, furono Ruttman e Piscator gli ideologi, pittore astratto l'uno e dada berlinese (tecnico del teatro proletario) il secondo.
I pittori dada tentarono con audacia la strada del cinema astratto, ma solo Viking Eggeling (con le sue tre sinfonie, orizzontale verticale e soprattutto diagonale) e Hans Richter (Vormittagsspuk, saggio da manuale di surrealismo, con oggetti animati e metamorfosi di personaggi).
Il filone dell'espressionismo che più influenzò la nuova corrente su senz'altro il film di strada, che trovò nuovi adepti in Bruno Rahn, Joe May, HeimKehr, un melodramma fiabesco sui reduci della Grande Guerra, e Asphalt, Kammerspiel poliziesco, Ernö Metzner (Überfäle, metraggio un corto kafkiano di eccezionale crudeltà). e Leo Mittler Senseits der Strasse, storia di un mendicante derubato e assassinato svolta in stile futurista sovietico.
Il realismo produsse anche un filone politico, una specie di cinema del proletariato di stampo sovietico e brechtiano: Piscator (che in Unione Sovietica diresse Wostauye ryba kow, storia di uno sciopero represso nel sangue), Dudow, Jutzi e Brüder di Werner Hochbaum su uno sciopero di portuali.
La Neue Sachlichkeit ebbe due volti: le mediocri operine di consumo che invasero il mercato tedesco alla fine degli anni venti, e il movimento culturale che conosceva il futurismo sovietico, il funzionalismo del Bauhaus e l'astrattismo dada.
L'iper-realismo applicato all'ideologia tecnologica sortì gli esperimenti più originali, ma i capolavori nacquero dalla corrente più realista.
1. Pabst ;
2. Dupont e Rahn ;
3. Ruttmann e Dudow;
4. Jutzi ;
5. Forst Sagan .
2. Ewald Dupont e Bruno Rahn.
"Varietè" (1925) di Ewald Dupont è la storia di un trapezista (Emil Jemmings) che, con la moglie, manda avanti un baraccone del luna-park; accoglie una ragazza sola, se ne innamora, fugge con lei e si ricostruisce una vita assieme a un altro saltimbanco; ma, quando scopre che la ragazza e l'amico lo tradiscono, uccide lui e si costituisce; il film basava la sua suggestione sull'ambiente degli acrobati che imitava da "Afgrunden" di Gad e che avrebbe ispirato Chaplin, Syostrom e Bergman, sui movimenti di macchina che seguivano le audace di Wurman sul realismo minuzioso che anticipa la Nuova Oggettività, ed era dovuto in buona parte all'operatore Karl Freund.
Bruno Rahn, discepolo di Pabst, morì non ancora trentenne, dopo aver diretto nel 1927 "Der klein stadtsunder" (interpretato da Asta Nielsen, crudele quadro della provincia) e "Dirmentragodie", film di strada in cui la Nielsen è una prostituta innamorata di un giovane cinico, e, abbandonata per un'altra, fa uccidere la rivale e poi si suicida, sordida parabola intessuta su una trama archetipica e ricavata con un'attenta ricognizione psicologica della protagonista .
3. Walter Ruttmann e Slatan Dudow.
Il pittore Walter Ruttmann, discepolo di Eggeling, e amico di Richter, diresse cortometraggi di figure geometriche in pieno movimento, intermezzo onirico per "Die Nibelungen" di Lang, prima di applicare le teorie di Vertov e diventare il fulcro della scuola documentarista europea: su un'idea di Karl Mayer e fotografato da Karl Freund "Berlin simphonie einer grosstadt" (1927) ritraeva la capitale dall'alba a mezzanotte, organizzando le immagini con ritmo e fantasia, e si ispirava a "Celovek s kimapparatom" di Vertov; "Melodie der Welt" catturava le stesse abitudini nelle varie parti del mondo, e fondeva immagini e suono; "Weekend" era un radio-montaggio senza immagini (il radio-orecchio di Vertov); dal 1933 fino alla morte fu al servizio del regime.
Assistente di registi teatrali (Jessner e Piscator) e cinematografici (Lang e Pabst), agit-prop berlinese e amico di Ejzenstein, Slatan Dudow si associò a Brecht e ad Eisler; mentre iniziava la sua carriera di regista con un cortometraggio politico e un documentario proletario, il collettivo realizzava alcuni spettacoli teatrali; nel 1932 i tre collaborarono a "Khule Wampe", strutturato su tre canzoni didattiche sui disoccupati di Berlino, il capolavoro del cinema politico di Weimar, in cui si fondevano straniamento e nuova oggettività.
Nel dopoguerra divenne un caposcuola del nuovo cinema tedesco. "Unser taglich brot" (1949, sulla Berlino dell'anno zero), "Frauen schichsale" (1952, sulla condizione della donna nella società), "Starken als die nacht" (1954, sulla lotta clandestina contro il nazismo).
4. Piel Jutzi.
Operatore e anonimo regista di serial, alla fine degli anni venti intraprese un'attività agit- propagandistica con una copiosa serie di documentari. Nel 1928 esordì nel lungometraggio con "Unser taglich brot", un misto di documentario e finzione influenzato dal futurismo sovietico (la fabbrica, le macchine) e in particolare dal cine-occhio di Vertov; narrava la triste vicenda di un contadino in cerca di lavoro in un bacino carbonifero che muore per difendere un senza tetto.
"Mutter Krausens fahrt in gluck" (1928) è un'altra esemplare tragedia popolare: mamma Krause affitta una camera a un protettore, alla sua prostituta e alla loro bambina; il figlio scapestrato sperpera i miseri risparmi della famiglia e finisce in prigione per furto, la figlia viene quasi violentata dal protettore, e mamma Krause un bel giorno apre il rubinetto del gas e si lascia morire con la bambina della prostituta. Crudele e disperato film sotto-proletario, non indulge in effetti melodrammatici, e propone un riscatto nella presa di coscienza finale della figlia, che si aggrega a un corteo di dimostranti.
"Berlin Alexenderplatz" (1929) trasposizione dal romanzo di Doblin conclude la trilogia di Jutzi: un violento appena uscito dal carcere continua a frequentare la malavita, perde il braccio in una rissa, viene internato in un manicomio, cade e ricade nei suoi vizi anche quando trova un lavoro. Berlino, disperata e spietata, è disegnata attraverso un sapiente lavoro della macchina da presa e incollando brani documentari alla narrazione; dal punto di vista tecnico è uno dei capolavori della Nuova Oggettività.
5. Willi Forst e Leontine Sagan.
Il maestro dell'operetta viennese, Willi Forst, dominò gli schermi dal 1933 al 1945 con le sue briose, ironiche ed eleganti regie; il ritmo fu la sua forza: i personaggi salottieri e in generale l'ambiente mondano sono elementi di per sé troppo futili, ma Forst li aggrediva con instancabile verve, con valzer geometrici e dialoghi spumeggianti, trasformandoli in marionette euforiche di una farsa da capogiro. "Maskerade" (1934) espresse il clima "gemutlickheit" di Vienna, pescando a piene mani dal repertorio di walzer e flirt, e miscelando nostalgia, musica, danza, melodramma e "Wiener beust" ne cantò l'epica cavalleresca.
Leontine Sagan, attrice di Reinhardt, diresse nel 1931 "Madchen in uniform", il capolavoro del genere weimariano sui giovani, ambientato in un collegio femminile in cui una ferrea direttrice ha instaurato un regime di terrore e in cui un'insegnante, insofferente del clima autoritario e comprensiva della malinconia di un'orfana, viene da questa indicata come sua amante: scoppiato lo scandalo, la giovane, isolata dalla direttrice e diffidata dalla stessa insegnante, tenta di suicidarsi.
Il mestiere del comico derivava da quello analogo dell'avanspettaccolo, ma aveva caratteristiche più clownesche; mentre infatti l'attore comico del varietà basava l'umorismo sulle barzellette, sui giochi di parole, sui dialoghi burloni, il comico del cinema poteva servirsi soltanto delle immagini e quindi della mimica; mentre il primo stava fermo sul palcoscenico, il secondo doveva sopperire alla mancanza del suono con un movimento caotico e frenetico, suscitare l'ilarità non per la quantità di barzellette raccontate ma per la quantità di situazioni buffe presentate. L'attore di avanspettacolo ripassò perciò i trucchi del mestiere del circo e della commedia dell'arte e li adattò a una scena virtualmente illimitata.
I generi teatrali comici erano il vaudeville (un incalzare frenetico di gag estemporanee per lo più improvvisate infiorettate di acrobazie e pantomime), il burlesque (uno spettacolo parodistico o satirico piuttosto volgare che faceva larghe concessioni all'oscenità), lo slapstick (sketch clownesco basato su una recitazione molto gesticolata e su trovate molto facili, come sgambetti, capriole, boccacce, inseguimenti).
Il francese Max Linder fu il caposcuola indiscusso, ma Hal Roach e Mack Sennett furono gli uomini che industrializzarono la comica. Negli anni venti ci fu il boom di attori comici: da Charlie Chaplin a Buster Keaton e a Harold Lloyd. I due grandi produttori del tempo, Mack Sennett e Hal Roach (ideatore dei serial "Our gang" e "Topper"), si spartirono i talenti e contribuirono con le loro direttive a definire il genere. Il pretesto più sfruttato, la riscrittura in forma parodistica del mito (musical, western, gangster, bellico), è di fatto un incubo rivelatore. In tal modo il comico assurge a vate della falsità (che, com'è noto, è sovente una forma più pura di verità).
Il sistema trasgressivo che supporta la comicità fa uso sovente del sesso, o come fobia o come esercizio interdetto (retaggio del burlesque); essendo la censura sessuale la forma di repressione più diffusa nel mondo occidentale moderno, di fatto esso rappresenta una sfida al potere (non a caso molti comici sono stati perseguitati dal potere). Il potere detentore della sessualità suprema è il nemico principale del comico; il trionfo inevitabile del comico non ha però il senso di un'eversione, ma soltanto di un piccolo dispetto.
Il sonoro cambiò drasticamente i meccanismi di produzione della risata, esaltando i giochi di parole e le voci artefatte, a scapito della mimica; in tal modo le porte del cinema si spalancarono anche per i comici teatrali del music-hall e del vaudeville, soprattutto quelli che agivano in coppia e costruirono la comicità sui dialoghi. Negli anni trenta però ha inizio anche la decadenza del genere, in parte per la maturazione del pubblico in parte per la grande crisi che tolse a molti la voglia di ridere e agli altri la voglia di far ridere. Sono gli anni dei fratelli Marx e della coppia Laurel e Hardy.
Il cinema comico fu fin dall'inizio la branca autoparodistica del cinema; i generi più codificati (il western, l'avventuroso, il melodramma, e poi il musical) erano i bersagli più facili di una satira puerile e volgare, che andava ad aggiungersi ai moduli grotteschi del circo (le torte in faccia) e alle gag visive.
L'attore comico imparò già negli anni venti a dirigersi da solo, e il suo apporto allo sviluppo del linguaggio filmico divenne sensibile quando fu costretto, per inventare nuove gag o per valorizzarne altre, a giocare con la macchina da presa; il comico, influenzato anche dal surrealismo, propende per l'immagine fantastica, per quel mondo onirico in cui possono accadere gli eventi più assurdi, più ingarbugliati e più audaci. La risata scaturisce dalla violazione della logica, e i sogni rappresentano gli esempi più comuni di razionalità irrazionale; il sogno è per sua natura innocente: fatti scandalosi nella vita reale (un approccio erotico un po' spinto, una mancanza di rispetto o di educazione) quando fanno parte di un sogno sono soltanto buffe inimportanti impossibilità; il sogno inoltre giustifica il lieto fine (necessario alla comica) dopo una serie rocambolesca di disavventure (e la stessa non gravità di queste disavventure).
Chaplin rappresentò una importante linea di demarcazione: prima di lui la comica era tribale e frenetica; dopo di lui il riso è il prodotto di un solo personaggio. La crisi della comicità breve fu dovuta a due fatti: l'avvento del sonoro, che favorì la commedia, e i cartoon di Walt Disney.
1. Max Linder
Dal cabaret e dal varietà parigino proveniva Max Linder (morto suicida a quarant'anni), dal 1908 al 1912 interprete della serie dei "Max", cortometraggi nei quali interpreta un elegante borghese della belle epoque, sereno ed ottimista (in "Max Victime de la Quinquina" (1911) Max, ubriaco, deve affrontare tre uomini in duello e cerca di "matare" un poliziotto con una baionetta). Dopo la Grande Guerra, emigrato in America, Linder affinò la sua arte trasformando il bel damerino in ricco ereditiero, passando a soggetti di più ampio respiro come Seven Years Bad Luck (1921):
"The three must-get-theres" (1922), esilarante parodia dei tre moschettieri (resi popolari dal film di Nibh), che ricalca la trama del romanzo ma dissacrandone i protagonisti (tipo Dart- in-again invece di D'Artagnan) e affidandosi a diversi anacronismi (tipo motociclette, macchine da scrivere e telefoni) con la massima disinvoltura.
La comicità raffinata di Linder si esprime in una tecnica che è un compromesso fra parodia, balletto e commedia brillante, e non scade mai nel volgare; la serie di incidenti a cui deve sottostare Max non lo spinge mai alla cattiveria; Max li accetta come imprevisti che fanno parte di una vita normale. Max è un borghese tranquillo.
2. Mack Sennett
Cresciuto in mezzo agli operai di una fonderia, e disposto in teatro a interpretare qualsiasi ruolo per pochi dollari, Mack Sennett fu conscio fin da giovane di quanto fosse grossolana e volgare la comicità popolare. Da comparsa di Griffith nel 1908 a New York a produttore nei suoi Keystone Studios nel 1912 a Los Angeles la carriera cinematografica di Sennett fu fulminea. Lo stile dei film prodotti da Sennett era l'opposto di quelli di Griffith: rozzo e aggressivo laddove il maestro era tenero e delicato, Sennett si immergeva senza falso pudore nella realtà del suo tempo; i suoi personaggi sono indisponenti verso il puritanesimo (le "bathing beauties", belle ragazze in costume scandaloso che sgambettano gioiose sulla spiaggia) e irriguardosi verso le autorità (i "Keystone cops", poliziotti acrobati e pasticcioni stipati in auto impazzite protagonisti di tortuosi inseguimenti e colossali risse). La tecnica di Sennett derivava dal teatro burlesco, ma anche dal nonsense e dal teatro dell'assurdo (le torte in faccia). Inseguimenti mozzafiato e catastrofi vorticose si susseguivano a gran velocità, disseminati di gag improvvisate e banali.
Sennett capì che il movimento frenetico era l'anima della civiltà americana, e che il pubblico voleva fruire "presto e tutto": la serialità come estremo del romanzo d'appendice e applicazione del principio della catena di montaggio, il piglio irriverente e crudele nei confronti di un'umanità grottesca, deforme come in un movimentato affresco medievale, composta da ipocrite brave ragazze, borghesi vanesi, furbi imbecilli, fannulloni, perdigiorno, ubriaconi, prepotenti, vigliacchi, un'umanità succube del mito del denaro (crediti, truffe, furti, compiuti anche da fanciulle illibate, da madri austere, da impiegati timidi, da campagnoli sprovveduti), un'umanità a metà strada fra Boccaccio e Grosz.
Come Ince (ma senza la sua (?)), Sennett si limitava a tagliare e cucire i film realizzati dal suo personale, del quale fecero parte i comici migliori, dal grassone cattivo Fatty Arbunkle all'innocuo strabico Ben Turpin e al metafisico pierrot ingenuo e stupefatto (ma anche nevrotico e misogino) di Harry Langdon, da Chaplin a Keaton. Sennett basava gran parte dell'effetto comico sul montaggio: il ritmo delle immagini era di per sé un'apologia dell'assurdo.
Le slapstick comedies (commedie di gag slegate fra loro, prive di struttura narrativa) di Sennett sono farse deliranti che riproducono il collasso di un mondo folle e brutale, sono caricature grottesche della realtà quotidiana.
"Barney Oldfield race" (1913) diretto alla Griffith.
"Tillie's punctured romance" (1914), il primo lungometraggio comico del cinema, è la storia di un'ingenua provinciale che un perfido dandy (Charlie Chaplin) deruba dei suoi risparmi e poi chiede in moglie quando apprende che ha ereditato una fortuna.
Mickey (1918) fuse la comicità fisiologica della Keystone al nascente cinema narrativo, ponendo al centro della vicenda un personaggio caratterizzato. Ma le Keystone furono soprattutto la versione cinematografica moderna della commedia dell'arte; nate dallo stesso presupposto, cioè dall'integrazione del comico popolare (proveniente dal varietà) e dell'acrobata (esaltato dalle possibilità cinematiche della macchina da presa), sviluppò le stesse caratteristiche di improvvisazione (le gag, la mimica) e tipizzazione (Patty, Charlie, etc.). La gratuità degli avvenimenti e l'assenza di psicologia (che riduce i personaggi a pure maschere dell'americano medio) fanno delle Keystone sequenze di pretesti per acrobazie.
A partire dagli anni venti gli Stati Uniti furono invasi da talenti di tutte le branche della cultura provenienti dalla Mitteleuropa. Erano uomini attratti dalla civiltà delle grandi occasioni, in cui chiunque abbia un minimo di talento può sperare di far fortuna; ed erano anche uomini spaventati dall'Europa, un continente vecchio e cadente, minato alle fondamenta dall'inflazione e dalle dittature. Vienna e Berlino rappresentavano lo splendore precario di un mondo prevedibilmente destinato a scomparire, sommerso da un diluvio immane; l'arca di Hollywood accoglieva i profughi e riciclava sotto forma di spettacolo l'atroce agonia di un mondo assai lontano. Politicamente e culturalmente l'Austria del dopoguerra è soltanto un'appendice della Germania; dopo il crollo dell'impero asburgico Vienna cessa di essere un polo d'attrazione, e viene sostituita da Berlino, dove confluiscono gli stessi artisti austriaci. Lo sgretolamento dell'impero origina instabilità locali, come nel 1919 la repubblica dei soviet ungherese, durata soli quattro mesi, dall'avvento al potere di Béla Kun fino alla sua fuga. Quest'area, comprendente Germania, Austria, Ungheria e Slovacchia, si trovava in uno stato di collasso irreversibile, o per un motivo o per l'altro (crisi economica, crisi di potere, crisi di identità nazionale). Gli esuli erano esponenti della vitalissima cultura della crisi che, coniando ismi a ripetizione, aveva segnato un distacco così netto dalla cultura ottocentesca. Negli Stati Uniti furono costretti a misurarsi con il loro passato, pur senza rinnegare l'espressionismo e le altre tecniche sortite dal clima culturale della morente civiltà. Gli americani volevano sapere della Vienna e della Berlino dell'epoca imperiale, città ed epoche che erano la sublimazione e l'essenza del melodramma. E d'altro canto la cultura indigena era interamente assorbita da un naturalismo nazionale che si collegava naturalmente a quello europeo di fine secolo, pur se stimolato da problematiche sociali peculiari di tutt'altro genere (la corsa all'oro, i trust, la borghesia impiegatizia). Doppiamente condizionati quindi, i mitteleuropei erano obbligati a festeggiare le rovine della loro civiltà. Più sostenuti gli esuli russi, l'ucraino Milestone e l'armeno Mamoulian, tecnici competenti, solidi ed eclettici.
Gli uomini di cinema trovarono asilo a Hollywood e segnarono in modo indelebile intere fette della produzione cinematografica americana degli anni a venire: dalla commedia sofisticata al dramma truculento, dall'avventura sentimentale alla rievocazione in costume. La Mitteleuropa di Hollywood innestò anche sui locali metodi di produzione dello spettacolo la prassi tecnica dell'espressionismo, contribuendo a formare lo stile composito e maturo degli anni trenta.
Le figure più prestigiose della Mitteleuropa di Hollywood furono gli uomini di teatro Berthold Brecht, Max Reinhardt, i vecchi registi Lang, Murnau, Pabst e l'attrice Marlene Dietrich e i quattro registi oriundi Erich von Stroheim, Joseph von Sternberg, Ernst Lubitsch e Michael Curtiz. I tre grandi registi esposero ciascuno a modo suo la fine della Mitteleuropa, ma tutti e tre seguirono la strada dell'eros: perverso quello di Stroheim, cinico quello di Lubitsch, indifferente quello di Sternberg; l'eros è il paradigma in base a cui si misura la degenerazione del sistema.
Tutti e tre educati dal contrasto fra i bassifondi e l'aristocrazia, ed imbevuti di un cultura cosmopolita, elaborarono tre forme di spettacolo sofisticato e complesso, ricco di sfumature e di significati riposti. Pur inaugurando dei generi classici di Hollywood (quello leggero, o il gangster, o il realismo), i loro film si mantennero sempre ambiguamente in bilico fra commedia e tragedia. Il risultato è inesorabilmente nichilista.
I tre grandi si incontrarono e si scontrarono: Sternberg prese in mano e maciullò "Wedding march" dopo che Stroheim era stato esautorato, e Lubitsch infierì su Sternberg al principio della crisi imponendo lo slogan banale: "il diavolo è femmina" al suo "Capriccio spagnolo".
Queste coincidenze burrascose li dispongono naturalmente in un immaginario parlamento del cinema: Lubitsch conservatore tradizionalista disimpegnato, Sternberg riformista del compromesso storico fra Hollywood e la Mitteleuropa, Stroheim estremista integerrimo, a costo dell'emarginazione.
Tutti e tre, pur giocando continuamente con materiali storici o contemporanei, sono fondamentalmente degli antirealisti; ciascuno inventa il suo mondo, proiezione del mondo reale nel suo inconscio, dopodiché non tollera intromissioni da parte della realtà.
Figlia di un ufficiale Prussiano, crebbe in un'atmosfera marziale e nell'epoca più tragica di Weimar; nel 1921 abbandonò gli studi di violino a cui era stata avviata dalla madre e scelse la strada del palcoscenico, si diplomò come cantante e come attrice rispettivamente all'Accademia di Berlino e ai corsi del Deutsches Theater tenute da Max Reinhardt (che la utilizzò in parti secondarie fin dal 1922). Esordì nel cinema a diciott'anni, ma dovette fare la comparsa, avventuriera, adultera, prostituta, amante di gangster, cortigiana, per altri sette anni prima di essere scelta da Sternberg per la parte di Lola-Lola, anni di maturazione in cui ottenne le maggiori soddisfazioni come cantante in teatro, in varie riviste musicali: nel 1928 la critica scoperse la sua voce e le sue gambe, il suo portamento al tempo stesso signorile e volgare. L'anno dopo fu scelta da Sternberg per interpretare il primo film sonoro di Emil Jannings e finì per diventare la protagonista.
Fashion androgyny was popular in Berlin cafes of the 1920s, and she simply transferred it to Hollywood.
Sposata, con una bambina, si unì per un breve periodo col regista che le aveva dato la fama, facendo di lei una diva, anzi la diva erotica per eccellenza. A Hollywood Sternberg confezionò maniacalmente cornici esotiche sempre più esaltanti per il suo freddo enigmatico volto. Abbandonato il regista, ampliò la sua gamma espressiva nel campo della commedia sofisticata (Angel di Lubitsch), e Desire di Borzage del western romantico (Destry Rides Again (1939) di George Marshall) e Rancho Notorious di Zang tornò alla decadenza mitteleuropea, ma quella del dopoguerra (A foreign affair di Wilder). Tutto sommato confermò di essere stata costruita da Sternberg per essere un volto.
Nel dopoguerra tornò poche volte sulla schermo, con brevi ma penetranti interpretazioni di Witness for prosecution (Wilder), di Judgement at Nuremberg (Uronner ?), la cartomante in un paesotto di frontiera di Touch of evil (Welles) che però nulla hanno a che vedere con il mito.
Negli ultimi vent'anni si dedicò soprattutto alle platee musicali, portando in giro per il mondo le canzoni tedesche degli anni trenta e quaranta (da Lola-Lola a Lilì Marlen), che rimangono, come lei, legate indissolubilmente a un clima esistenziale colmo di tragici presentimenti.
Ma il mito è legato soprattutto all'immagine erotica, allo sguardo intensamente ironico e sprezzante. Dietrich ha impersonato l'immaginario erotico di un'intera generazione.
Frutto di una cultura decadente (la belle dame sans merci, la Lulu di Wedekind), discendente delle donne fatali del muto e prototipo di quelle maledette del film-noir, Marlene impersona anche il tipo di donna emergente nella società americana del New Deal: la donna indipendente, che sa trionfare delle sue sconfitte, che virilizza la sua sessualità (capelli corti, cravatte, frac, cappello a cilindro) e se ne serve per proteggersi dalla violenza che la circonda.
Dietrich fa quindi sia un richiamo ideale sia un richiamo reale (è con lei d'altronde che si passa dalle dive impalpabili alle donne del popolo).
Rispetto alla sua rivale Garbo impersonò un tipo di donna decisamente più volgare; mentre la Garbo vive ancora in una mitica Europa di re e regine, Dietrich vive fra le macerie della decadenza: è una regina anche lei, altezzosa e superba, ma una regina detronizzata e scacciata da corte, che per sopravvivere deve umiliarsi ad esibire il suo corpo nei locali notturni.