Jesse Cook
(Copyright © 1996 New Sounds)

Con l'album "Tempest" dell'anno scorso ha esordito uno dei chitarristi piu` interessanti degli ultimi anni, Jesse Cook. Veterano della televisione e del cinema, Cook ha trovato nel flamenco la sua vocazione. A differenza dei maestri riconosciuti del flamenco new age (Ottmar Liebert e compagni), Cook fa leva su una mano piuttosto "pesante", molto piu` rock che classica, su ritmi indemoniati, su una pirotecnica inebriante. Al tempo stesso il repertorio saccheggia gli stili piu` svariati, dalla rumba all'hip hop. Tutto viene pero` assorbito in una struttura semplice e armoniosa.

Come ha iniziato la carriera?
"Sinceramente non mi ricordo... A parte i soliti ricordi d'infanzia, le prime lezioni... la solita routine... Al liceo non ero sicuro se volevo diventare pittore o musicista. La mia ragazza di allora andava matta per la mia musica, ma non sopportava i miei quadri, e questo decise il mio futuro. Frequentai il Conservatorio, presi lezioni private di chitarra e piano, mi iscrissi al Berkley College, studiai con la creme de la creme dei musicisti internazionali. Poi un giorno andai a vedere le prove per il balletto di un coreografo: il coreografo voleva che il chitarrista suonasse un pezzo spagnolo, ma il chitarrista non era capace. Mi offersi di suonare per lui quel pezzo e lui qualche tempo dopo mi chiese di registrargli un nastro intero di materiale, che poi porto` in giro per il mondo. Era il 1984, avevo diciannove anni. All'ultimo anno di scuola lo stesso coreografo mi invito` a comporre le musiche per uno spettacolo che stava allestendo in occasione delle Olimpiadi di Calgary. Fu un'impresa imponente, che mi convinse di potermi mantenere in questo mestiere. Da allora iniziai a scrivere musiche per il cinema e la televisione."

Quali sono state le sue principali influenze?
"Senz'altro Peter Gabriel, quel modo di prendere forme musicali da diverse parti del mondo e portarle nel suo studio senza costringerle a compromessi. Gabriel crea una nuova forma che usa queste forme, senza alterare gli originali. Come chitarristi senz'altro Al Di Meola e Paco De Lucia. Mi rendo conto che la mia tecnica non e` all'altezza di questi maestri, ma al tempo stesso devo dire che mi interessa di piu` l'aspetto del compositore occidentale. Non mi considero un performer, ma un compositore. Il fatto che sia io a suonare la chitarra e` un dettaglio. Io scrivo le musiche per tutti gli strumenti. Quando scrivo un brano, penso a tutti gli strumenti che uso, non soltanto alla mia chitarra. Credo che questa sia la ragione per cui Gabriel, come produttore, e` per me piu` importante di qualsiasi chitarrista di grido".

Com'e` nato questo album?
"Per caso. Sinceramente non avevo mai pensato che fosse possibile mantenersi registrando musica per il pubblico. Il salario garantito che ti offre il lavoro per una compagnia privata e` molto piu` facile. Ma alcuni miei pezzi trasmessi da una televisione privata via cavo suscitarono l'interesse di diversi ascoltatori, e la televisione stessa mi incoraggio` a registrare un album intero. Quando l'album fu pronto, tutte le copie vennero esaurite nel giro di una settimana."

Quanto sono state utili le esperienze con la televisione e il cinema?
"Molto utili dal punto di vista pratico. Impari a fare le cose in fretta. I produttori si concentrano sulla storia, sulla fotografia, sulla pubblicita`... e l'ultima cosa a cui pensano e` la musica. All'ultimo momento ti telefonano perche' hanno bisogno della colonna sonora nel giro di pochi giorni. Tu devi arrabattarti e impari a far tesoro della tecnologia moderna. Impari ad arrangiare musica, piu` che a comporre melodie. Fare un album mi ha riconciliato con i tempi naturali della composizione. La calma dello studio di registrazione e` stata impagabile per me."

Degli altri chitarristi new age cosa pensa?
"Ammiro molti di loro, ma suonare la chitarra non e` la mia ossessione, mentre sembra essere un'ossessione per tanti dei miei colleghi. Tendo ad ascoltare piu` musica classica o world-music perche`, ancora una volta, il mio obiettivo e` imparare ad arrangiare, non imparare a suonare la chitarra come un mostro."

Perche` l'ha intitolato Tempest?
"Perche' c'e` qualcosa nel flamenco che e` un'esperienza potente ed emotiva, molto naturale, ma al tempo stesso quasi soprannaturale. C'e` dentro la rabbia della natura, una rabbia disumana. In qualche modo mi ricorda la tempesta."

Se non facesse il musicista, cosa le piacerebbe fare?
"Se non fossi musicista, sarei pittore, ma non sarei altrettanto felice. Dipingere non e` la stessa cosa. Non hai un rapporto con il pennello, e non hai un'orchestra di pennelli a tua disposizione. Se non fossi un musicista felice, sarei un pittore infelice."


Joaquin Lievano
(Copyright © 1996 New Sounds)

Lievano ha una carriera illustre alle spalle. La sua chitarra nobilita una dozzina di dischi, da quelli di Jean-Luc Ponty che lo rivelarono al mondo del jazz fino al solista "One Mind", che scalo` le classifiche di vendita per arrivare alle esperienze recenti con i Zazen, il gruppo formato insieme a Andy West (gia` bassista dei Dixie Dregs). "Ecologie" e` il titolo del suo nuovo lavoro.

Come valuta oggi la sua esperienza nel mondo del jazz?
"La gente chiama jazz tante cose che sono profondamente diverse fra di loro. Le mie esperienze sono sempre state nell'ambito della fusion, che e` un genere molto diverso dal jazz di John Coltrane e Ornette Coleman. Jean-Luc Ponty, l'uomo che mi ha lanciato in quell'ambiente, eseguiva un misto di rock, jazz e classica che sarebbe riduttivo chiamare semplicemente jazz. Io a quei tempi ero un chitarrista di rock and roll. Suonare con lui significo` soprattutto imparare a improvvisare, capire la musica e non soltanto suonarla. Mi feci la bocca per le sottigliezze del jazz che normalmente non emergono nel rock. La teoria armonica del jazz mi indusse ad ampliare la struttura limitata di accordi che si usa nel rock and roll. Ponty poi componeva musica come si compone una sinfonia. Le parti erano per lo piu` scritte, ci concedeva soltanto un margine di interpretazione. E` stata una palestra abbastanza unica. Insomma, alla fin fine io non ho mai suonato vero jazz. Suonare con Ponty mi apri` molte strade e mi consenti` in seguito di suonare con molti musicisti che erano stati i miei idoli... Jerry Goodman, Steve Kindler, Stanley Clarke, Paul Horn, Terry Bozzio, Stuart Hamm... ma sempre in contesti piuttosto anodini. Anche Paul Horn, lo conobbi che era gia` entrato nella fase new age."

Di tutte le collaborazioni quale ricorda con maggior affetto?
"La mia band dei primi anni 80, i Warriors. Non abbiamo pubblicammo mai un disco, ma fu un progetto davvero eccitante. C'era Randy Jackson al basso, che oggi e` diventato un pezzo grosso dell'industria discografica. C'era Walter Affanasiff, che oggi e` il produttore di Maria Carey. C'era persino Jerry Goodman al violino. Registrammo un album in uno stile di rock progressivo alla Asia, ma che risulto` troppo avventuroso per i tempi. A quei tempi si diceva "meno suoni piu` suoni bene". Noi suanavamo troppo, nel senso che sapevamo maneggiare i nostri strumenti e tendevamo ad essere troppo tecnici. Quando ci separammo, seguimmo strade diverse e non abbiamo mai avuto occasione di riprendere quel discorso".

Come si colloca il progetto dei Zazen, rispetto a quelli solisti?
"Comincio` un anno dopo i Warriors. Doveva essere meno magniloquente, piu` meditato. Non avevamo un percussionista, ma soltanto ritmi programmati. Direi che e` un progetto molto piu` tecnologico, con uso spregiudicato dei sintetizzatori. Ed e` un progetto collettivo."

Quindi continuera` in parallelo alla carriera solista?
"Si`, quella e` musica molto piu` tecnica e arrangiata, molto complessa. La mia musica e` infinitamente piu` simplice, la mia musica e` un ritorno alle radici, mentre i Zazen sono una proiezione nel futuro. Io tendo verso il mondo della chitarra acustica. Anche quando uso quella elettrica, il mio obiettivo e` la melodia, l'atmosferica. Non mi interessa molto l'arrangiamento per se`."

Come chitarrista a chi si sente piu` vicino?
"Sento su di me diverse influenze, ma il momento decisivo fu nei primi anni Settanta, quando John McLaughlin cambio` completamente il modo in cui ascolto la musica. Non solo suonava molte scale che non si erano mai sentite nel rock and roll, ma aveva un modo unico di fondere tecnica e spiritualita`. Cerco ancora oggi di fare cose simili alle sue, anche se non suonero` mai esattamente come lui. Sinceramente mi sono sempre sentito piu` vicino al rock che al jazz, perche' sono quelle le mie radici. Mi sono praticamente esiliato sia dal rock che dal jazz. I jazzisti mi vedono come un chitarrista rock. Nel mondo del rock sono considerato piu` un jazzista. Non ho mai avuto un'identita`..."

Come nacque la decisione di registrare un album solista, "One Mind"?
"Non si tratt` di un'evoluzione naturale, ma di un momento di rottura nei confronti di cio` che stavo facendo con i Zazen. All'inizio non avevo capito bene cosa volevo fare con gli altri, ma avevo pensato che avrei sempre conservato la decisione finale. Invece il fatto di lavorare in gruppo e di cercare sonorita` molto difficili mi ha impedito di esprimere una parte di me che era comunque importante. Ragion per cui ho fatto "One Mind", che per la verita` venne fuori un po' troppo simile al sound dei Zazen..."

Cosa c'e` di diverso nel nuovo "Ecologie"?
"E` molto diverso. Molto. "One Mind" continuava con la direzione elettronica dei Zazen. Il sintetizzatore era ancora prevalente. "Ecologie" e` stato interamente scritto alla chitarra acustica, e arrangiato stratificando suoni sopra quella base semplice, ma cercando di conservare la semplicita` originale. E` new age, nel senso buono del termine."

Perche` ha intitolato il nuovo album "Ecologie", e per di piu` alla francese?
"Abbiamo scelto quel titolo perche' volevamo andare incontro a un pubblico globale. In Europa e` piu` facile imporre uno stile atmosferico, e forse il tema ecologico e` piu` forte in Europa che negli USA. Sono sempre stato ossessionato dai problemi dell'ambiente, amo la natura e volevo fare qualcosa per la natura. Questo album e` un tributo alla natura e un grido di dolore per il danno che le stiamo arrecando."


David Arkenstone: Verso la musica digitale
(Copyright © 1996 New Sounds)

Il californiano David Arkenstone e` uno dei pionieri e dei maestri della musica new age elettronica. A partire da "Valley Of The Clouds", si fece infatti portavoce di una melodia puramente elettronica, portando alle estreme conseguenze le intuizioni di musicisti rock come Vangelis, Brian Eno e Klaus Schulze. Nel corso della sua carriera ha affrontato tematiche esotiche, esoteriche, paesaggistiche e filosofiche. Gli arrangiamenti hanno persino incorporato l'orchestra sinfonica, nonche' il canto. E le composizioni hanno preso ispirazione tanto da Cajkovsky quanto dalla musica pop. Il concept fantascientifico {Quest Of The Dream Warrior}, per orchestrina di otto musicisti, due sintetizzatori (lui e Michael Whalen), complesso rock e cantante, ha costituito l'apice delle sue ambizioni artistiche.

Il nuovo progetto e` Troika, un gruppo in cui Arkestone compare soltanto come compositore. Come mai?
"Svolgo anche attivita` di produzione, e a Santa Barbara ho scoperto questo trio di musicisti eclettici. Ho una quantita` sterminata di musica inedita, in quanto spesso le composizioni non vanno bene per i dischi che ho in mente, e ho pensato che, invece di lasciarla ammuffire, era meglio se qualcun altro la registrava. I Troika hanno preso alcuni dei miei pezzi e li hanno usati per un concept ispirato dal "The Book Of Goddesses" della scrittrice e illustratrice Kris Waldherr. "Goddess" e` la Terra, ovvero Gaia, e i vari pezzi ("Venus", "Diana", "Oya", "Athena", etc) esplorano aspetti diversi della stessa dea, della sua energia creativa."

Quali sono i tuoi interessi attuali?
"Sto seguendo le Olimpiadi. Ascolto gruppi musicali di tutto il mondo. E d'estate mi piace passare molto tempo sulla spiaggia. Come vedi, sono una persona normale, con interessi normali. Dal punto di vista artistico, mi sto dedicando di piu` alla composizione di colonne sonore per film. Rispetto al lavoro in proprio, comporre per un regista significa entrare a far parte della visione di un'altra persona. Il processo creativo e` molto diverso, piu` strutturato e disciplinato. Mi piacerebbe anche lavorare di piu` con l'orchestra sinfonica. Stiamo progettando una serie di spettacoli in Europa in cui useremo una piccola orchestra di 40-50 elementi. Forse faremo tappa anche a Taormina. La musica per orchestra sinfonica costituisce per me un'esperienza potente, e spero che cio` sia dovuto all'essenza della mia musica. Non penso ancora di darmi alla musica classica, ma certo mi piacerebbe scrivere pezzi soltanto per l'orchestra. Il problema e` che non e` facile far eseguire i propri pezzi da altri. Comporre musiche per film, in un certo senso, risolve quel problema..."

L'esperienza di "Quest" avra` un seguito?
"Sto lavorando a un nuovo album, che dovrebbe essere pronto per quest'autunno. Sara` simile per molti versi, ma avra` uno spirito piu` da world-music, l'orchestra sara` ridotta a un piccolo ensemble da camera, e non ci saranno parti cantate pop (ci sara` la voce umana, ma soltanto per un coro senza parole). Il disco si riallaccera` anche al precedente "In The Wake Of The Wind", e costituira` di fatto la terza parte di una trilogia sulla fase della vita in cui il giovane diventa adulto e deve provare a fare qualcosa per il proprio ambiente, per la famiglia, per l'umanita` in generale."

Quale consideri l'evento musicale degli ultimi anni?
"Piu` che a un fatto artistico in particolare, mi viene di pensare al progresso della tecnologia. E non penso agli strumenti. Gli strumenti hanno compiuto passi da gigante, ma negli ultimi anni non ho visto nessuna reale novita`. I computer stanno diventando sempre piu` veloci, tutto qua. Ormai i sintetizzatori sono cosi` potenti, incorporano orchestra e suoni di tutto il mondo, che ` diventato facile comporre musiche sofisticate anche per i profani. Abbiamo a disposizione un repertorio di suoni e mezzi per assemblarli che qualche decennio fa non sarebbero stati neppure immaginabili. Ma l'unica vera novita` a mio avviso e` l'internet. Due settimane fa un complesso di musica rock, i Korn, hanno tenuto la prima trasmissione dal vivo su internet, che il pubblico poteva ricevere usando il software Quicktime. Si apre una nuova era, in cui puoi raggiungere milioni di persone. Presto anch'io avro` una mia pagina di wolrd wide web con musica e foto. E presto la tecnologia consentira` di trasferire audio di buona qualita` da una parte all'altra del mondo. Sara` possibile collaborare con un altro musicista che vive dall'altra parte del mondo!"


Michael Jones: Musica per la mente e per il corpo
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Michael Jones e` uno dei giganti del pianismo new age. Esordi` con una trilogia "impressionista" di album solisti ("Michael's Music", poi riedito come "Pianoscapes", "Windsong" e "Seascapes") che definirono lo standard del genere per almeno una generazione e mezza di pianisti. "Amber", "After The Rain" e "Magical Child" formarono una seconda trilogia, questa volta impostata sul sound di un piccolo ensemble da camera. Al soliloquio accorato dei primi dischi, Jones contrappose raffinati dialoghi a piu` voci, ottenendo risultati ancor piu` suggestivi. "Morning In Medonte" e "Air Born", strutturati in quattro lunghe composizioni ciascuno, hanno forse rappresentato i vertici formali della sua carriera. A una straordinaria abilita` tecnica Jones unisce la sensibilita` dell'uomo della strada e la profondita` del filosofo. Pochi come lui hanno saputo dare lustro e credibilita` alla musica new age.

Il nuovo album, "Touch", e` alquanto diverso dai precedenti...
"E` diverso in tutto. La prima novita` e` la brevita` dei brani. Dopo tanti album di composizioni estese, ho deciso che era ora di dar spazio alle melodie. L'enfasi e` pertanto tutta sui ritornelli orecchiabili. In parte spero di poter raggiungere un pubblico piu` ampio, e in parte ho semplicemente voluto esplorare tante strade allo stesso tempo, un fatto che e` impossibile quando in un disco puoi mettere soltanto quattro brani. Le possibilita` del pianoforte sono infinite, ed e` un peccato non poterle approfondire tutte."

A cosa si riferisce il titolo?
"Il senso del contatto. Da un lato e` un fatto puramente tecnico. Chopin e` il mio maestro ideale. Chopin insegnava ai suoi studenti l'arte di toccare i tasti, non l'arte di compiere acrobazie. Il "tocco" era tutto per lui. Se uno studente doveva sforzarsi di suonare, lo faceva fermare e gli diceva di farsi una passeggiata. Suonare il piano deve essere un esercizio che viene in maniera naturale, senza sforzo. E` chiaro che trovare il "touch" non e` soltanto un fatto di destrezza della mano, e` anche un fatto psicologico, ha a che vedere con cio` che sei e come ti senti. E` parte della tua personalita`. E` parte dell'essere nel mondo."

E dall'altro lato?
"E` un contatto con il mondo. Ciascuna composizione vive d'immaginazione. L'immaginazione e` un modo di conoscere il mondo, di entrare in contatto con il mondo. Il contatto con il mondo circostante e` una delle cose che mancano in questi nostri anni cosi` materialisti. Tempo fa ho scritto un libro, "Creating An Imaginative Life", che spiega cosa intendo. Le sedute musico-spirituali per gli uomini d'affari che organizzo con Peter Senge, autore di "Fifth Discipline", sono improntate a questa concezione del "contatto" con il mondo.

Il potere all'immaginazione?
"Certamente. Al principio della mia carriera quando la gente mi chiedeva "cosa ispira la tua musica?" non sapevo cosa rispondere e finivo sempre per raccontare delle storie, piuttosto che cercare una spiegazione razionale. Dopo un po' mi resi conto che stavo dando la risposta giusta. Quelle storie erano la mia vita. il singificato di una vita e` nei momenti piu` importanti di quella vita. Le mie composizioni sono storie, invitano la creazione di immagini, hanno una sintassi e una semantica che possono essere decodificate per restituire all'ascoltatore le visioni che mi hanno ispirato."

Perche' l'immaginazione e` cosi` importante?
"Nella nostra cultura occidentale l'abbiamo un po' abbandonata, viviamo come se l'immaginazione non esistesse. Invece si tratta di una risorsa che il codice genetico ci offre gratis, ma che non usiamo piu`. Indirettamente rinunciamo a una fetta enorme delle esperienze potenziali. Quando smetto di controllare il pianoforte, quando lascio lo strumento suonare me (invece che io suonare lui), quando seguo l'impulso del momento, vedo aprirsi di fronte a me un mondo di musica che non sapevo neppure esistesse. Lo stesso vale in tutti i campi. L'immaginazione significa potere. La nostra societa` concede troppo poche occasioni di lavorare in modo creativo, di usare la nostra immaginazione. Occorre recuperare quella facolta`. Se lo facessimo, vivremmo vite piu` creative, riusciremmo a integrare la parte creativa del nostro essere con l'altra parte, quella che deve andare al lavoro tutti i giorni. L'immaginazione ci consente di risvegliare i nostri sensi al mondo. Noi tocchiamo il mondo e il mondo ci tocca di riflesso. Acquisiamo il senso di connessione con il mondo che deriva dal vivere con l'immaginazione. Molte persone si sentono sole perche' non hanno una relazione con una parte di se stessi, e quindi con gli altri, e quindi con il mondo. Non sono in grado di entrare in comunicazione con nulla e nessuno perche' non sono in grado di risvegliare quei sensi dell'immaginazione."

Il tuo futuro?
"Non ho idea. Il mio futuro sta nella mia immaginazione... Non avevo idea che avrei registrato un album come Touch. Gli album si formano da se`, io mi limito a suonarli e registrarli!"


Spencer Brewer: Vicino al cuore
(Copyright © 1996 New Sounds)

Spencer Brewer e` uno dei padri fondatori del pianismo eclettico e romantico da salotto che si ispira in egual misura al jazz, alla classica, al rock e alle musiche esotiche. La sua carriera ebbe inizio in realta` negli anni Settanta, quando il nome "new age" era noto soltanto a un'elite ristretta. Nel 1982 "Where Angels Dance" lo impose all'attenzione generale, "Portraits" ne sofistico` il linguaggio ma lo avvicino` anche a un pubblico piu` esigente. "Dorian's Legacy", "Piper's Rhythm" e "Romantic Interludes" hanno sostanzialmente ripetuto una formula di sicuro successo, anche se sempre piu` barocca. Gli ultimi lavori avevano dato l'impressione di una certa stanchezza compositiva, ma il nuovo disco in coppia con Paul McCandless (ex Oregon) lo ripropone agli onori delle cronache nelle vesti dell'innovatore.

Come nacque l'amicizia con Paul McCandless?
"Venne invitato qualche anno fa a suonare su un mio album, "Romantic Interludes". Mi piacque sia il suo modo di suonare sia lui come persona. Ero stato un fax degli Oregon fin dagli inizi della loro carriera, per cui non ebbi grosse difficolta` ad apprezzare il suo stile. Poi abbiamo fatto due album per una piccola etichetta, e abbiamo ottimi ricordi di quelle esperienze. Siamo diventati amici molto intimi, anche perche' le nostre mogli sono diventate molto amiche..."

Cosa avete in comune?
"Per cominciare, ci piace la stessa musica. Mi piacevano gli Oregon, e a lui piacciono i miei dischi. Poi abbiamo la stessa passione per il cibo e il vino. Ci piace l'avventura, ci piace viaggiare. Seriamente, il modo in cui scrivo le canzoni, facendo leva sulle melodie, si presta per mettere in mostra il suo virtuosismo allo strumento, soprattutto al sassofono. Per avere una melodia molto bella devi avere qualcuno che riesca a suonarla, e io ho trovato lui. E` uno dei migliori fiatisti del mondo. Pochi sanno che continua a vincere i referendum della World Double Reed Society."

Cosa rappresenta questo nuovo disco nella sua carriera?
"Una direzione molto diversa. In superficie la prima cosa che noti e` molto piu` jazz di quanto normalmente faccio. Ma la vera essenza del disco e` il tentativo di dare spazio alla voce di Paul, ovvero ai suoi strumenti. Paul ha fatto parte di numerosi ensemble, ma in essi e` soltanto parte di un gruppo. Ho voluto dargli la possibilita` di essere se stesso, senza limiti. Il disco e` anche molto piu` accessibile degli altri che abbiamo fatto insieme. Dovrebbe raggiungere un pubblico molto piu` vasto. Al tempo stesso non e` che abbiamo rinunciato alla sperimentazione. Abbiamo anzi esplorato luoghi interessanti del jazz contemporaneo. Direi che io sono responsabile della parte melodica e lui della parte jazz."

Qual'e` la forma che preferisce, l'album solista, l'album per ensemble o l'album in duo?
"Dal punto di vista creativo sono tre casi diversi, ma tutti egualmente appassionanti. Se suono da solo, tendo a diventare molto profondo, quasi tetro, e piu` filosofo. Quando lavoro con un'altra persona, devo scendere a compromessi e questo implica pensare di me a cio` che voglio dire e di piu` a come dirlo. Quando ho per le mani un ensemble, mi sento un pittore che puo` giostare con diversi colori. Sono serio e profondo come quando suono da solo, ma posso esserlo in maniera piu` spettacolare".

Qual'e` il suo disco preferito?
"Portraits" e "Piper's Rhythm" sono a tutt'oggi i miei bestseller, per cui devo elencarli fra i favoriti. Ma tutti i miei dischi sono stati importanti e di tutti ho un buon ricordo. La mia carriera e` stata piena di sorprese, fin dall'inizio. Nel 1979 scrivevo musiche per un musical e decisi di registrarne qualcuna. Uno solo dei brani era strumentale, per solo pianoforte, e qualcuno lo ascolto` e mi disse che suonavo musica new age. Io non avevo mai sentito il termine, ma da quel giorno divenni un musicista new age. Da allora ad oggi la musica mi ha sempre riservato sorprese, e sono state tutte gradevoli. Ricordo con piacere persino "Forward Motion", il disco registrato nel 1988 con il tecnico elettronico Anderton. Per la prima volta un disco venne registrato passando direttamente dal sintetizzatore al computer, senza usare il nastro. Ci vollero due anni e mezzo per completarlo. Non ha nulla a che vedere con il resto della mia carriera, ma ne sono orgoglioso."

Ci sara` ancora spazio per un album di solo piano?
"Oggi come oggi non me lo sento dentro di me. L'epoca del pianoforte e` passata. Oggi il business e la produzione mi distolgono dal processo creativo solista. Ma penso che sia anche parte del processo di crescere, di diventare adulti. Cio` che mi sentirei dentro e` un disco di boogie woogie e di blues, quello si` mi piacerebbe farlo. Ho materiale per almeno tre dischi! Ma le case discografiche si spaventano quando ne parlo..."

Altri progetti?
"Ho appena finito di produrre nove dischi di vari musicisti... ormai questa e` la mia professione principale. Ho suonato con Alex DeGrassi, Teja Bell, e tanti altri. E sto per terminare la mia prima colonna sonora ("Hardwood" il titolo del film). Ma la musica e` una piccola parte della mia vita. Sono molto attivo nella mia comunita`, e amo la mia famiglia. La musica da sola non esiste. La musica e` un modo di vivere con la propria gente."


Ben Tavera King
(Copyright © 1996 New Sounds)

Ben Tavera King e`, con Carlos Nakai, uno dei padri storici del movimento dei musicisti "native american". La sua carriera e` emblematica del modo in cui i discendenti dei pellerossa hanno progressivamente riscoperto le loro radici e le hanno rese attuali per il pubblico occidentale. I suoi dischi hanno la peculiarita` di evocare la spiritualita`, piu` che la ritualita`, del mondo pellerossa, il suo rapporto con l'ambiente e con le culture limitrofe.

Come si puo' riassumere il rapporto fra la musica nativa americana e la
musica new age? "A mio avviso il principale rapporto fra queste due culture musicali e` rappresentato dal flauto, dalle scale musicali che usiamo e dal timbro dello strumento. Non si tratta pertanto di una comunione fra due culture, due civilta`, due popoli, due modi di vedere la vita, ma di un'occasionale incrocio di gusti. Per una coincidenza piu` o meno fortuita i nostri orecchi sono stati accordati su uno stesso suono. E` chiaro poi che si tratta di molto piu` che di una semplice coincidenza. Dietro il suono del nostro flauto si celano secoli di storia e di significati. Quando parlo di "orecchio" intendo anche un pezzo non trascurabile del cervello...!"

Come si verifico` questa comunione di gusti?
"Direi che comincio` con i turisti. I turisti che venivano a visitare il sudest degli USA si fermavano ai negozi di souvenir e acquistavano la tipica chincaglieria delle riserve indiane. Alcuni pellerossa suonavano il flauto nativo fuori dal negozio per spingere i turisti a comprare qualche esemplare da portare a casa come ricordo. I turisti rimanevano quasi sempre suggestionati dal flauto e, oltre a comprare lo strumento, cominciarono a comprare anche le cassette di musica per flauto nativo, registrate da musicisti improvvisati delle riserve. Presto nacque l'idea di sfruttare commercialmente il successo di questo strumento e si formarono le prime etichette discografiche specializzate in musica nativa, come la Canyon in Arizona e la mia Talking Taco qui in Texas. Qui a San Antonio c'e` un totale di circa un milione di persone che discendono dalle tribu` pellerossa di un tempo. Il suono degli americani nativi si e` fuso nei decenni con quello dei messicani americani, che sono anche indigeni, ma con radici diverse e soprattutto con forti influenze latine. La musica nativa americana di oggi e` il frutto di questa commistione."

Cosa trovano gli ascoltatori occidentali in questa musica?
"Troppo e` stato detto sulla cultura pellerossa, cercando in tutti i modi di renderla attuale. In realta` si tratta di una cultura molto diversa, che soltanto chi e` cresciuto in una riserva puo' davvero amare e rispettare. A mio avviso cio` che viene "riutilizzato" dal pubblico occidentale e` un aspetto della nostra spiritualita`. Molta della nostra musica riflette un senso di prossimita` con la natura. Molte delle nostre composizioni sono semplicemente riflessioni sulla natura. Specialmente il flauto di legno che, imita i suoni degli uccelli, rimanda direttamente al nostro habitat naturale. Non servono lezioni teoriche per identificarsi con queste musiche."

Il fatto che il pubblico bianco senta il bisogno di riscoprire una civilta` che aveva quasi distrutto non e` un po' ironico?
"Forse lo e`, ma non mi sembra per nulla strano. Ogni civilta` "sviluppata" cerca di tornare indietro a qualcosa di semplice, lontano dalla cultura urbana, che siano canti gregoriani o folklore esotico. Si sente il bisogno di tornare a uno stato piu` primitivo, il bisogno di fuga e sollievo. La musica nativa americana parla di quella parte della personalita` umana che ha a che fare con la natura e i bisogni primordiali, al contrario, per esempio, del rap che e` un fenomeno puramente urbano."

La musica nativa americana ha esaurito cio` che aveva da dire o c'e` ancora spazio per l'innovazione?
"Ci sono continuamente nuove scoperte. I musicisti esplorano continuamente nuovi aspetti della cultura nativa. Il primo approccio degli ascoltatori e` superficiale: la gente vede gli stereotipi che Hollywood ha loro insegnato. Ma, non appena si comincia ad approfondire l'ascolto, si cominciano a sentire suoni piu` intimi e complessi. I musicisti contemporanei come me e Carlos Nakai usano la musica dei loro antenati ma adattandola al nostro tempo, e le combinazioni diventano infinite. Parliamo del nostro tempo con la lingua dei nostri padri. E` un po' come il blues, che forse, come struttura di base, e` ancor piu` limitato della nostra musica. Per fare un esempio, ci e` stata commissionata la colonna sonora per un film sulle missioni del Texas, che portarono la musica polifonica occidentale nel Nuovo Mondo. Gli "indiani" se ne innamorarono, ma la cambiarono un po' per riflettere la loro tradizione, e la musica polifonica divenne qualcosa di unico. E` un altro aspetto del nostro retaggio che non era stato sfruttato finora. L'album e` accreditato a un ensemble di otto musicisti, cantanti e percussionisti, i SAVAE, e si intitola "Native Angels".

Perche' la gente della citta` e` particolarmente attirata dalla vostra musica?
"Perche' la nostra musica parla di meditazione, riposo, relax. Perche' contiene intrinsecamente la capacita` di trasportare mentalmente a posti piu` suggestivi di quelli che si vedono guidando lungo l'autostrada fra casa e lavoro."

A quali musiche ti senti piu` vicino?
"E` indubbio che esistono forti somiglianze con la wolrd-music, dalla giapponese (pensa al flauto shakuhachi) a quelle sudamericane. In tutti questi casi il trucco consiste nel catturare l'orecchio dell'ascoltatore e far galoppare la sua immaginazione".

Sei mai stato tentato di registrare semplicemente i rituali originali?
"Per la verita`, no. Quei rituali sono molto sacri, e per i non-nativi sarebbe difficile identificarsi. D'altro canto, se vuoi ascoltarli, puoi trovare diversi dischi documentari. Ricreare quelle cerimonia in studio non mi sembra giusto. La gente che li esegue li considera fatti molto personali. In fondo si tratta davvero di una religione."

Come si e` evoluta la tua carriera?
"I primi due album, "Saturday Night In San Antonio" e "Border Bash", erano semplicemente dischi di tex-mex. Io vi suonavo la fisarmonica. A partire da "Border Crossings" cominciai a sperimentare con la musica nativa, forte di chitarra, flauto e percussioni. A forza di guidare fra qui e il confine, di vedere i diversi elementi delle nostre culture compenetrarsi, mi venne l'idea di esprimere in musica il modo in cui queste culture si mescolano. "Southwestern Scenario" continuo` a mescolare elementi of chitarra spagnola e di flauto nativo. Ormai avevo completamente abbandonato la fisarmonica. Dopo "Desert Dreams", venne la svolta jazz e afrocubana, com "Coyote Moon", sul quale figura anche un sassofono. "Turquoise Trail", con Jessita Reyes, fu l'album in cui l'enfasi si sposto` verso il flauto, che prima era rimasto in sottofondo. Si tratta in pratica di una serie di dialoghi fra flauto nativo e chitarra messicana. Lo stesso approccio e` stato ripetuto fino d "Hunting Magic", sul quale il percussionista Casillas aggiunge anche l'aspetto dei ritmi nativi. Adesso mi dedico quasi esclusivamente alla produzione di lavori altrui".

Cosa ascolti?
"Principalmente musica rinascimentale, in particolare quella per liuto. E` affascinante per me il modo in cui questi strumenti rinascimentali, trapiantati nel Nuovo Mondo, si evolsero e divennero qualcosa di completamente diverso (come il charango ancora usato in Peru, o la cihuela in Messico) ma ancora legato alle sue origini. E` interessante il rapporto fra la musica del rinascimento e la nostra."

Degli altri musicisti nativi cosa pensi?
"Il piu` grande e` indubbiamente Carlos Nakai. Fu il primo a capire l'appeal di flauto e chitarra, e a riflettere l'influenza latina". Dopo di lui piu` che altro ci sono stati molti musicisti che hanno tentato di copiarci."


Alice Gomez: Il Flauto Sacro
(Copyright © 1996 New Sounds)

Alice Gomez e` una delle massime esponenti moderne della musica nativa del Centro America. La sua arte riflette una credenza fondamentale delle tribu` antiche: che suonare il flauto aiuti la memoria a recuperare eventi e luoghi sacri del passato prenatale, anche arcaico. Il flauto diventa insomma la voce con cui gli antichi parlano ai moderni, e la voce con cui lo sciamano trasmette quelle voci al resto del mondo, le fa diventare parte di quella vasta sinfonia di suoni che e` il nostro mondo quotidiano.

Lei in realta` non e` una flautista...
"No, sono una compositrice e, se suono, tendo a suonare le percussioni. Il mio interesse e` sempre stato di carattere generale, per le culture antiche del Centro America. Il fatto di usare il flauto come strumento protagonista e` puramente contingente. Il flauto e` lo strumento suonato da mia sorella, ed e` lo strumento guida di tanta musica antica americana. Ma avrebbe potuto benissimo essere la chitarra o il sassofono..."

Qual'e` la sua attivita` ufficiale?
"Attualmente sono compositrice ufficiale della San Antonio Symphony, in Texas. Il mio retroterra e` pertanto di tutt'altra natura, piu` classico-orchestrale che new age spirituale o come lo vogliamo chiamare. Ho scritto partiture per varie combinazioni di strumenti orchestrali e ricevuto fondi da istituzioni prestigiose. Cio` di cui pochi compositori si rendono conto e` che fin dall'inizio le mie composizioni erano radicate nello spirito e nella civilta` dei pellerossa e degli indiani mesoamericani in genere. Per esempio, "Primitive Echoes", la cui prima si e` tenuta nel novembre del 1992, e` un concerto per timpani interamente costruito su ritmi degli antichi puebli indiani del New Mexico. Ne` sanno che sono anche attiva in un gruppo folk, il Marimba Quest, dedicato a divulgare il patrimonio musicale latino-americano."

La sua formazione artistica e` pero` di tutt'altra natura...
"Crebbi suonando musica popolare latina. Sono di origini messicane, e la nostra cultura inevitabilmente si estende fino alla Colombia e al Venezuela, luoghi dei quali abbiamo assorbito ritmi e melodie. Suonavo le percussioni e scrivevo musica per bande marcianti. Tre anni fa mi hanno, per cosi` diretto, scoperto, e mi hanno offerto un "grant" per continuare a scrivere musica, m anell'ambito classico-sinfonico. Questa esperienza mi ha enormemente aiutato a sviluppare le mie doti di compositrice, a vedere la musica da una prospettiva molto piu` generale."

Cosa la porto` a riscoprire le sue origini?
"E` una storia molto personale. I messicani sono stati a lungo discriminati negli USA. La mia famiglia era una famiglia militare, ci spostavamo in continuazione per gli USA, e ogni volta che arrivavamo in un luogo privo di una comunita' latina ci sentivamo completamente isolati. Io crebbi imparando a mimetizzare le mie origini. Tentai in tutti i modi di diventare una teenager americana al 100%. Adesso e` quasi l'opposto: il fatto di essere ispano-america mi aiuta nella vita e nella carriera. Posso vantarmene. Di colpo ebbi una crisi di coscienza, che mi porto` a recuperare i valori di cui mi ero vergognata da piccola. La gente cerca il nuovo, il diverso, e lo trova in queste musiche limitrofe. Incoraggiata dal nuovo humus culturale, mi sono avventurata piu` a fondo, lontano dal folklore di oggi. Sono pervenuta alle grandi civilta` azteche e maya. Tutte le tribu` precolombiane mi affascinano. E` qualcosa di piu` di una semplice riscoperta del passato, e` la ricerca di un legame che corre dalle grandi pianure del Far West americano fino alle Ande peruviane, e forse anche oltre, verso altri continenti... Dal punto di vista strettamente musicale, io suonavo le percussioni e mia sorella suonava il flauto: venne quasi naturale di mettersi a suonare musica nativa, che e` basata su flauto e percussioni."

Ci potrebbe riassumere in due parole la sua carriera discografica?
"I miei primi due dischi furono registrazioni dell'ensemble Marimba Quest. "Incidents Of Travel" contiene materiale originale, ispirato al folklore latino. "Christmas Carnival" e` perr lo piu` una raccolta di musica natalizia tradizionale rifatta con ritmi latini. "Flute Dreams" fu il primo album a mio nome: scrissi tutte le musiche e le orchestrai per flauto, percussioni e strumenti assortiti. "Journeys Of The Flute" fu di fatto la sua continuazione. "Seasons Of The Drum" e` invece un disco piu` serio, di composizioni semi-classiche per timpani e altri strumenti.

Cosa suona lei su "Flute Dreams"?
"Chitarra, percussioni, arpa, e canto. Marilyn Rife si occupa delle percussioni. Il disco si intitola "sogni" perche' tali sono, o sperano di essere nella mente dell'ascoltatore. Spero che ascoltando i miei brani vengono in mente immagini di piramidi e di cerimoniali antichi. La mia e` una musica ipnotica, che vuole manipolare la mente nel senso positivo del termine."

Qual'e` il rapporto fra le culture antiche del centro america e quelle del nord america?
"Il centro America ebbe civilta` grandiose, come quelle Azteche e Maya, mentre le tribu` del Nord America vissero un'esistenza molto piu` rurale e nomade. Ma le somiglianze fra le varie culture e` impressionante. Anzi, le somiglianze fra tutte le popolazioni antiche sono impressionanti. A cominciare dall'uso degli strumenti, percussioni, flauti, sonagli,... Gli stili sono diversi, ma la funzione del suono, e la funzione degli specifici suoni, sono incredibilmente simili. E` chiaro che il centro America visse poi l'influenza spagnola, e pertanto prese una strada diversa. Ma, per esempio, nessuno puo` sapere da dove derivino i ritmi: posso venire da cosi` tante parti... I nativi del Nord America hanno avuto una storia diversa, problematiche diverse. Loro sono stati sterminati secoli dopo i Maya, hanno avuto piu` tempo per conservare le proprie culture e trasmetterle alle giovani generazioni occidentali. Noi dobbiamo ricostruirle da basi archeologiche. Le differenze non sono di contenuto, ma di lavoro filologico."

E qual'e` il suo ruolo nell'ambito della riscoperta di quelle culture?
"Ogni mia composizione contiene un messaggio, non e` mai fine a se stessa. Il fatto che io usi le musiche native per inviare questo messaggio al mondo e` un tributo per quelle culture antiche."

Qual'e` il fattor comune che unisce queste culture e le rende cosi` importanti per l'orecchio occidentale?
"L'universale spiritualita` della musica. E` per tutti coloro che cercano pace nell'animo e armonia con la natura. Non esistono confini fra centro e nord America. Ma non ne esistono neppure fra l'America e il resto del mondo..."


Kate Price
(Copyright © 1996 New Sounds)

Fra le voci celtiche dell'ultima ora si e` messa in luce Kate Price, cantante californiana attiva da una decina d'anni che con gli ultimi due dischi, "Deep Heart's Core" e "Time Between", ha proposto una versione al tempo stesso raffinata e accessibile di quella tradizione. Dalla sua ha uno stile virtuoso al dulcimer (sia quello di montagna sia quello a martello) e un mezzosoprano variegato e fluente.

Come nacque la passione per il dulcimer?
"Mi innamorai del dulcimer a quindici anni. Mi innamorai nel senso letterale del termine, in quanto lo vidi in una vetrina e la prima cosa che mi colpi` fu il suo aspetto, prima ancora di averne sentito il suono. Il suono non fece che confermare la prima impressione. Il dulcimer di montagna e` uno degli strumenti piu` soavi e romantici che esistano. Il suo timbro era per me come la voce suadente di un innamorato che recita le poesie che ha scritto per te. Imparai praticamente da sola. A Santa Barbara, dove vivevo, c'erano soltanto due persone capaci di suonarlo. Imparare a suonare uno strumento non e` facile o difficile. E` sempre difficile. Ma se lo ami, quella difficolta` la superi facilmente. In tal senso per me fu molto facile imparare a suonarlo. Poi scopersi il dulcimer a martello, e questo non richiese un grande sforzo. Il dulcimer e` diventato la mia seconda voce. La mia relazione con il dulcimer e` molto magica. Mi soddisfa ma al tempo stesso mi assorbe anche molto. Talvolta mi pare che lo strumento abbia un corpo fatto di musiche e che semplicemente accarezzandolo io ottenga una nuova canzone. La canzone appare come per incanto e io devo soltanto trascriverla. Emergono spontaneamente schemi melodici e rimitci, che scopro e devo soltanto seguire, come un percorso nella foresta."

Che cos'hanno di speciale i dulcimer rispetto agli altri strumenti?
"Tutti gli strumenti sono molto speciali. Ogni strumento e` unico, per definizione, e nessun altro strumento lo puo` imitare. Altrimenti non sarebbe uno strumento. Il dulcimer e` sia melodico e percussivo. Non e` l'unico ad esserlo, ma nessun altro strumento ti consente di suonare nel modo in cui suoni il dulcimer. Purtroppo e` difficile descriverlo a parole. Devi prendere in mano lo strumento e provare a suonarlo. O anche soltanto ascoltarlo. Ti rendi conto che certi suoni li hai sentiti soltanto provenire dal dulcimer. Nel mio caso certi suoni "sono" il dulcimer. Per tutto il resto della mia vita li identifichero` con il dulcimer. Certi toni di voce, certe espressioni, certe cadenze ti ricordano i parenti, gli amici, gli amanti... certi suoni mi ricordano il dulcimer."

Che differenza c'e` fra i due strumenti?
"Storicamente c'e` un abisso, in quanto sono a mala pena parenti. Il dulcimer di montagna proviene dalla Scandinavia. Il dulcimer a martello ebbe origine in Persia. Le loro voci sono entrambe molti dolci, ma completamente diverse. E li suoni in maniere diverse. Io trovo piu` naturale usare quello di montagna per accompagnare il canto (e anzi in questo periodo ne uso proprio scandinavo), ma non saprei spiegare perche'. Ha un tono piu` basso, che in qualche modo associo al sottofondo di una canzone. Quello a martello e` piu` idoneo ai brani strumentali, e indubbiamente si presta a tempi piu` rapidi."

Venne prima la passione per la musica o la passione per il dulcimer?
"Venne prima la passione per la danza! Da bambina, a undici anni, mia madre mi porto` a un festival di danze folcloristiche turche e bulgari, e mi dovette letteralmente portare via di forza. In particolare la musica turca mi diede i brividi. Da quella turca arrivai a quella persiana. A quattordici anni cominciai a danzare in pubblico e a sedici fondai la mia compagnia, con cui eseguivo soprattutto materiale bulgaro. Fu soltanto verso i vent'anni che la musica prese il sopravvento, ma continuai a danzare a lungo. Mi diedi anche al balletto moderno e al jazz. Il balletto ha lasciato certamente delle influenze sul mio modo di concepire la musica, ma secondo me l'influenza piu` forte e` rimasta la musica persiana in se`. E` grazie alla danza che la scopersi, ed e` rimasta fra le mie fonti di ispirazioni piu` importanti. Credo anzi che oggi sia piu` importante della tradizione celtica, perlomeno nei brani che compongo io."

Visti i tuoi orizzonti cosi` ampi, ti da` fastidio essere paragonata a Lorenna McKennitt, che e` piu` propriamente celtica?
"Siamo molto diverse, ma ci stimiamo a vicenda. Capisco cosa induca la gente a vederci simili, anche se noi ci vediamo diverse. Abbiamo entrambe radici nella tradizione celtica, anche se, a mio avviso, la interpretiamo in maniere quasi ortogonali. Sai, mi paragonano persino a Enya, con cui non ho davvero nulla in comune! Dal punto di vista canoro Lorenna ha un soprano molto pulito ed educato, non credo che la mia voce possa competere con la sua. La cantante a cui assomiglio di piu` e` probabilmente quella dei Clannad. In passato, anzi, la mia passione era Joni Mitchell. A cui aggiungerei la cantante country Amy Lou Harriet e la cantante irlandese Mary Black, due voci a cui mi sono sempre ispirata".

Come vedi oggi la tua evoluzione negli anni?
"La musica e` cresciuta come sono cresciuta io personalmente. La musica e` cresciuta grazie soprattutto alla persistenza dei miei fan. Se mi avessero abbandonato, non sarei qui oggi. Quando registrai i primi album, non avevo la benche' minima idea che quella sarebbe stata la mia carriera. Amo la musica ma non mi sarei mai aspettata di poterla usare per mantenermi. La mia crescita personale e` passata attraverso diverse tragedie, fra cui, in rapida successione, un divorzio e un incidente automobilistico. A trent'anni mi resi conto che dovevo trovare il coraggio di tuffarmi nella musica, altrimenti alla fine della vita mi sarei maledetta per non aver avuto il coraggio di fare cio` che davvero avevo sempre desiderato fare. Era come se per anni fossi stata un corpo in caduta libera, e un millisecondo prima dell'impatto con il suolo avessi trovato la forza di evitare l'urto e di librarmi in volo. Mi catapultai letteralmente in un altro mondo, che non conoscevo per nulla ma in cui mi trovai subito benissimo. Imparai cosa significa rischiare per qualcosa a cui tieni. Imparai cosa significa costruire la tua vita con le tue mani. Oggi mi sento infinitamente piu` felice, anche se non sono mai stata cosi` stressata dagli impegni..."

Come ti vedi fra dieci anni?
"La stessa ma diversa. Gia` oggi sto cominciando a fare cose nuove: diverse collaborazioni, colonne sonore, e nuovi album. Penso che in futuro continuero` a diversificare la mia attivita`. Voglio persino scrivere un libro di favole per bambini. La musica sara` sempre piu` personale e cambiera` incontinuazione per inseguire la mia creativita` e la mia crescita spirituale. Comporre musica e` un processo che consiste principalmente nell'ascoltare cio` che succede dentro di te. Piu` cresco e meglio riesco a farlo. Fra dieci anni spero di riuscire a sentire moltissime cose a cui oggi sono ancora sorda."

Come caratterizzeresti il nuovo "Deep Heart's Core" rispetto al precedente "Time Between"?
"Sono simili, ma direi che in "Time Between" c'era innanzitutto un elemento slavo molto forte. "Deep Heart's Core" sposta invece il baricentro verso la musica persiana. Al tempo stesso il nuovo album e` molto piu` accessibile, quasi pop. Fra le influenze etniche aggiungerei anche quella della musica tzigana, visto il ruolo che gioca il violino. Insomma, e` un album pensato per raggiungere per un pubblico piu` ampio e forse anche piu` maturo."

Hai dichiarato piu` volte che la poesia e` stata una delle ispirazioni cruciali della tua carriera. In che senso?
"Mi riferivo all'opera di poeti come William Butler Yeats o Robert Burns, poeti che usavano immagini di grande suggestione ma al tempo stesso radicate nella realta` quotidiana. Trovo che il loro modo di evocare emozioni e situazioni sia in certa misura analogo a quello della musica celtica. Ci sono immagini nella poesia di Yeats che ti fanno subito pensare alla vita irlandese, anche se poi rimandano a una visione ultraterrena e trascendente della condizione umana. Quel misto di simbolico, metaforico e letterale e` comune anche alla musica celtica. Come la poesia, anche la musica puo` essere interpretata a diversi livelli. C'e` un significato universale, che musica e poesia possono illuminare e rendere piu` facile da vedere. Le parole, come i suoni, hanno il potere di richiamare le emozioni in una maniera quasi magica. Se le combini con la musica, diventano mezzi potentissimi per agire sulla psiche dell'ascoltatore. Nei miei album ho sovente messo in musica poemi di grandi scrittori e l'ho trovato assolutamente facile e naturale. Io stessa quando scrivo i miei testi cerco sempre di trasmettere un significato e non soltanto i suoni delle parole. A volte sono dei versi che mi appaiono nel cervello all'improvviso, che si creano da se`. Altre volte scrivo di qualcosa che mi riguarda da vicino, anche se non credo di essere molto brava a rappresentare la mia vita privata. Sono comunque sempre molto cosciente del significato delle parole. Sono persino attenta al messaggio che trasmetto. Mi autocontrollo di continuo. Non voglio pubblicizzare, per esempio, sensazioni non salutari. Mi piace diffondere emozioni positive e meravigliose."

Ritieni che questa sia la missione della tua musica?
"Certamente e` una grossa parte della mia missione. Sono responsabile dell'uso che faccio della mia musica. La musica ha un potere che non si puo` trascurare. Possiamo essere intimi con la musica in un modo che non puo` essere in altre forme d'espressione. C'e` un qualcosa di profondamente gentile, amabile, tenero, che viene trasmesso dalla musica senza bisogno che io sia fisicamente presente davanti all'ascoltatore. La musica ha un potere unico di incidere sulla psiche della gente, di avere un effetto positivo sugli altri. Naturalmente il rischio e` che il musicista si lasci coinvolgere troppo e paghi poi emotivamente..."

Come ha reagito la critica alla sua progressiva assimilazione di idiomi jazz ed etnici?
"Le critiche dei puristi mi hanno lasciato alquanto indifferente. Scrivo musica che mi piace e che spero piaccia ad altra gente. Non sono condizionata dai critici. Non cerco di soddisfare i desideri di tutti, tanto meno di coloro che vorrebbero semplicemente etichettarmi in qualche maniera semplice. Sono meno definibile di quanto i critici vorrebbero che fossi: non posso farci nulla. Non sono una cantante celtica, non sono una compositrice di world-musica, non sono una cantante pop... sono me stessa. Ho musica nella testa e voglio semplicemente farla sgorgare fuori."

Qual'e` il tuo rapporto con la voce?
"Mi piace cantare piu` di ogni altra cosa, fin da quando ero bambina. Penso che la propria voce sia una delle cose che possono guarire spiritualmente in modo molto intenso. Ed e` naturalmente: non ci sono due persone con la stessa voce. Quando canto, mi sento bene con me stessa. Mi sento me stessa."

La tua relazione con il pubblico?
"Molto bello. Mi piace essere intima con il mio pubblico. Di persona puoi arrivare dove un disco non puo` arrivare. E il pubblico puo` trasmettere qualcosa all'artista, una relazione che dal disco non puo` mai provenire: l'applauso, i moti del viso, un sorriso... Quando il concerto diventa un'esperienza biunivoca, quando sei "connessa" con il pubblico, ti sembra di sentire il respiro collettivo di tutte quelle persone, e` come se di fronte a te ci fosse un essere solo..."

A quando il nuovo album?
"Ho materiale pronto per due album. Sono pero` troppo impegnata dalle tournee`. Spero di trovare presto il tempo di registrare in studio e che il primo esca fra un sei mesi. Nel frattempo mi sono divertita a comporre canzoni per antologie di varia natura."

Qual'e` il reale appeal della musica celtica per le generazioni di oggi?
"E` difficile definire l'attualita` di questa musica, ma la ragione per cui piace alla gente e` senza dubbio la sua attualita`. Io penso che i nostri animi moderni risuonino in qualche misteriosa ragione con gli elementi fondamentali della musica celtica. Viviamo in un'era in cui, forse anche per l'abbruttimento dovuto all'alienazione e ai ritmi della nostra societa`, l'individuo ha bisogno sempre piu` di bellezza e di intimita`. Non la bellezza transiente, ma quella profonda, che ha il potere di nutrire l'animo. Cerchiamo e pretendiamo intimita` e onesta` nelle relazioni con gli altri, con l'ambiente, dappertutto. E` naturale che le vogliamo anche nella musica. La musica celtica e`, a mio avviso, piu` di ogni altra musica etnica una musica pura, gioiosa, immediata. E` musica di una bellezza profonda, che diventa guarigione spirituale. C'e` un tema ricorrente della mia vita che puo` aiutarvi a capire. Vedo la bellezza assoluta quando sto sul precipizio del Grand Canyon o in cima a una montagna. Ecco, un musicista con la sua musica dovrebbe riuscire a far sentire quella bellezza all'ascoltatore senza bisogno di stare sul precipizio del Grand Canyon o in cima a una montagna. Io ci riesco grazie alla musica celtica."


Chris Franke
(Copyright © 1996 New Sounds)

Chris Franke divenne l'anima elettronica dei Tangerine Dream fin da quando, rilevato Klaus Schulze, ebbe l'idea di spostare il baricentro del sound sui sintetizzatori e i sequencer. Franke fu anzi forse l'uomo piu' influente della musica cosmica, in quanto fu lui ad avere l'idea che cambio' per sempre il ruolo dell'elettronica nella musica rock.

Che ricordo hai dei Tangerine Dream e dell'intero periodo della musica cosmica, uno dei periodi fondamentali nello sviluppo della musica elettronica e di cui tu fosti personalmente protagonista?
"Un ricordo molto bello, ovviamente. Si tratto` di un periodo storico irripetibile. In quei giorni tutto sembrava possibile. Non c'era uno stile di riferimento, non c'erano regole. Nessuno sapeva cosa significasse fare musica elettronica. Forse anche perche' la musica elettronica non esisteva ancora! In particolare Berlino era l'epicentro di un fenomeno culturale, anzi multi-culturale, senza eguali. Nei suoi club si incontravano pop, avanguardia, world-music, jazz... Non c'erano cliche`, non c'erano etichette, non c'erano preconcetti. Le case discograsfiche non si aspettavano nulla di particolare. Tutto cio` cdhe era nuovo era benvenuto. La creativita` era cio` che contava. Naturalmente eravamo tutti convinti che saremmo morti poverissimi, che nessuno avrebbe mai ascoltato quei suoni artificiali. Chi l'avrebbe detto che venticinque anni dopo saremmo stati piu` famosi di allora! Che tutte le discoteche del mondo avrebbero suonato una musica da ballo impostata su quei principi! E non sembra esserci limite allo sviluppo della musica elettronica."

Pensi che la nascita della musica elettronica in Germania abbia un risvolto socioculturale?
"Certamente. A quei tempi la Germania viveva in un vuoto culturale, e in particolare musicale. Non c'era una scena pop tedesca. L'influenza britannica e americana erano mostruose. Avendo perso la guerra, ed essendo stati invasi, i tedeschi avevano perso la loro identita`. La fine della guerra taglio` i ponti con la tradizione. I tedeschi persero le loro radici folk. Fra i vecchi e i giovani si creo` un baratro culturale: i giovani non conoscevano nessuna delle canzoni che i vecchi conoscevano a memoria. Al tempo stesso, pero`, le giovani generazioni cercavano qualcosa con cui identificarsi, qualcosa di tedesco, ma che non avesse nulla a che vedere con il nostro turbolento passato. E trovammo la musica strumentale, classica o non classica. In qualche modo finimmo per farne un nuovo tipo di musica folk, di musica popolare per il popolo. Persino politicizzata, in qualche caso. Fummo naturalmente avvantaggiati dal fatto che Stockhausen ci aveva portato la tecnologia in casa."

Quale fu l'impatto di quella scuola?
"L'impatto fu innanzitutto la creazione di un nuovo pubblico. Non che qualcuno stesse cercando quella musica, ma quella musica fini` per conquistare un pubblico che cercava emozioni piu` intime e subdole. Non esito a dire che in quel periodo per molti la musica elettronica fu come una droga. L'impatto fu poi fortissimo quando compimmo il passaggio da sperimentazione a prodotto, quando ci aprimmo al mondo commerciale. Allora furono davvero milioni coloro che scoprirono un nuovo modo di fare musica, un mondo di suoni diversi, e cosi` via. L'influenza sul mondo musicale fu molto forte da subito, anche se si dovettero aspettare due decenni per veder proliferare gli epigoni. Ma questo fu un problema puramente tecnologico: io e i miei colleghi tedeschi fummo fortunati a poter usare le macchine elettroniche negli anni Settanta, tanti altri dovettero aspettare gli anni Ottanta prima di potersi permettere un sintetizzatore o un sequencer. Tutto qui."

Come ricordi i primi tempi di quella scuola elettronica?
"Incontrai Edgar Froese in uno studio sperimentale che avevo appena costruito con l'aiuto dei miei genitori. Gli Agitation Free, il mio gruppo, si esibiva li`. Subentrai a Schulze per "Alpha Centauri". Suonavo le percussioni, e questo mi aiuto` tantissimo a sviluppare lo stile classico dei Tangerine Dream. Avevo stiudiato musica classica e quindi appreso gli elementi di composizione. Ma avevo anche deciso di suonare le percussioni per esprimermi in maniera piu` libera, per controbilanciare la rigidezza della classica. Le percussioni si rivelarono un modo ideale per cominciare a sperimentare con i macchinari di studio. Poi cominciai a fare percussioni con i sequencer e quella fu una delle scoperte fondamentali dei Tangerine Dream, che resero celebre il nostro stile. Intanto studiavo melodia. Invitai il mio amico Peter Baumann a entrare nei Tangerine Dream e cosi` nacque il trio classico."

Cosa ti spinse a varare la carriera solista?
"Verso il 1987 i Tangerine Dream facevano troppa musica. Il successo si traduceva in commissioni continue. Registravamo musica di continuo, senza neppure il tempo di rivederla. Fra studio, live, cinema, teatro, c'erano troppe cose che ci distraevano. Cominciavamo a ripeterci, ci perdevamo nel caos. Non avevamo la possibilita` di sviluppare la nostra musica in qualita`. Cominciai ad avere dei seri dubbi, soprattutto visto che io avevo continuato a investire tempo e denaro per studiare composizione. Non avevamo tempo per fermarci e pensare a cosa volevamo veramente essere. Io invece volevo usare la tecnologia per cio` che avevamo pensato fin dall'inizio, per quella che era stata la nostra missione originale. Decisi pertanto di trasferirmi negli USA, e lavorare per Hollywood. Hollywood e` un posto strano: vieni pagato per sperimentare. Lavoravo persino piu` di prima, ma il cinema mi consentiva di sperimentare in continuazione. Ebbi finalmente l'occasione di giocare con i suoni orchestrali, di organizzarmi meglio in studio. Intrapresi due direzioni: quella romantica e melodica che trovi riassunta su "Enchanting Nature" e quella oscura, atmosferica, ambientale che portera` a "Klemania". Ma cio` fu reso possibile da partiture sperimentali come "Babylon 5" che pure nacquero per il cinema!"

Quali consideri i maggiori protagonisti della storia della musica elettronica?
"Ci sono musicisti che hanno esercitato un'influenza enorme pur non essendo musicisti elettronici. Pensa a Ligeti, non e` un musicista elettronico, strettamente parlando, ma ha causato progressi colossali nel modo in cui costruire paesaggi sonori. Poi vorrei citare Jimi Hendrix, il cui modo di processare la chitarra anticipa il concetto di progettazione del suono, a prescindere dallo strumento che uno si trova per mano. L'idea di cambiare suono allo strumento, di distorcerne il ruolo, di ampliarne lo spettro e` coerente con quanto stava facendo Stockhausen... Poi naturalmente ci sono tutti i Walter Carlos del caso. E musicisti classici come Arvo Part."

Come vedi la musica elettronica oggi?
"La vedo divisa in molti movimenti. La musica tedesca ha dato origine al synth-pop britannico dei Depeche Mode e poi a tutti coloro che ne sono discesi. Il techno ebbe origine a Ibiza da un'altra derivazione della nostra scuola. Poi c'e` tutta l'elettronica soffice, compresa quella della fusion. c'e` l'elettronica d'avanguardia, che ha pero` un pubblico molto limitato. E cosi` via."

Sei tedesco, ma vivi negli USA. Che differenze esistono fra la musica elettronica in Europa e negli USA?
"Mi ha sempre sorpreso la coincidenza che un hardware inventato e costruito negli USA abbia fatto furore in Europa. Il rapporto fra le due scene fu certamente buffo. Loro avevano tutti gli strumenti, ma noi li usammo per scopi artistici. Oggi chiaramente le cose sono cambiate, e stare negli USA e` veramente un grosso vantaggio. Negli USA tutto e` cosi` organizzato che e` facile fare qualcosa di nuovo. Ci sono la tecnologia e i soldi. Ma credo che l'anima della musica sia ancora in Europa..."

Il futuro della musica elettronica?
"Sto sperimentando molto con nuove tecnologie informatiche: l'intelligenza artificiale, la realta` virtuale, un apparecchio per usare le onde cerebrali... Sono tutte cose che, incredibilmente, vengono sfruttate quasi esclusivamente per i videogame. E` li` che si fanno i soldi. Ma sono tecnologie che ovviamente possono avere un impatto molto piu` ampio e io spero di poterle presto trapiantare nel mondo musicale."


Neil Schon
(Copyright © 1997 New Sounds)

Neil Schon e' uno degli enfant prodige della chitarra moderna. Esordi' nei Carlos Santana a quindici anni e divenne il leader dei Journey a diciannove. Nel 1995 ha sorpreso i fan pubblicando il suo primo album solista, "Beyond The Thunder", che e' stato ben accolto dalla critica new age. Con lui parliamo delle chitarra, lo strumento a cui il suo nome e' indissolubilmente legato.

Quale relazione esiste fra la chitarra elettrica e la chitarra acustica?
"A mio avviso sono due animali completamente diversi. Nella mia carriera ho usato prevalentemente la chitarra elettrica dal vivo e su disco, ma uso spesso la chitarra acustica per comporre il mio repertorio. La chitarra acustica e' in effetti piu' adatta alla fase di scrittura, quando devi prendere le tue idee e trasferirle in suoni. Devi passare da un mondo astratto a uno piu' concreto, ma non ancora ai dettagli. La chitarra acustica e' un veicolo naturale, e' un ponte naturale fra il mondo astratto delle idee e quello concreto dello spartito. La chitarra elettrica e' in qualche modo meno idonea, forse perche' tende a prenderti la mano e distorcere il tuo pensiero.

"La chitarra acustica e la chitarra elettrica sono due animali completamente diversi anche perche', banalmente, emettono suoni completamente diversi. La chitarra acustica ha una voce ben identificabile. La chitarra elettrica puo' avere qualsiasi voce. L'acustica ci sembra naturale come lo sono il violino o il contrabbasso. Quel suono legnoso e' un suono in qualche modo in armonia con la nostra storia di animali usciti dai boschi. L'acustica ha anche una qualita' piu' "canora". Se devi scrivere un pezzo per un cantante, e' molto piu' semplice farlo con una chitarra acustica che non una chitarra elettrica. Con la chitarra elettrica tendi a fare delle cose che costringerebbero un cantante a degli sforzi disumani e comunque non risulterebbero in gorgheggi gran che` melodiosi... La chitarra acustica ti costringe a concentrarti sulla melodia. Non ti ritrovi a giocare con il ritmo o con gli effetti speciali.

"Quando suono la chitarra acustica, suono il cuore e il corpo della canzone. Mi concentro sull'accordo e sulla dinamica degli accordi. E' la canzone cio' che sto facendo. Se uso la chitarra elettrica, con tanto di amplificatori e tutto il resto, e' lo strumento stesso, non la mia volonta', a spostare il baricentro verso fatti armonici completamente diversi, vere e proprie divagazioni che ti fanno perdere di vista cio' che volevi dire. Alla fine magari riesci magari a mettere insieme dei suoni piu' interessanti, magari molto piu' spettacolari, ma non e' quello che avevi pianificato di suonare. Persino per improvvisare, a mio avviso, e' meglio la chitarra acustica. E' una scoperta recente per me. Da un po' di tempo a casa mia prendo in mano la chitarra acustica e provo a improvvisare sulle corde piu' pesanti. Non ne viene fuori il solito assolo blues che faccio dal vivo con la chitarra elettrica, ma un suono molto piu' jazzato. E' una strada che sto approfondendo proprio in questi giorni.

"Quando tocco la chitarra elettrica, cambia tutto. Campionatori, echoplex, microfoni... non ci sono limiti a cio' che la tecnologia ti consente di fare. Dipende veramente da quanto vuoi farti prendere la mano. E' un giocattolo con cui la tua immaginazione puo' fare un po' di tutto. Sta a te trovare la saggezza per farne un uso appropriato. In questo momento dal vivo uso tre setup per la chitarra elettrica, e dal mio punto di vista questo vuol dire che uso tre strumenti diversi, che si chiamano tutti e tre "chitarra", ma che suonano in maniere diverse. La chitarra elettrica e' molte voci diverse. Sono suoni diversi che ti fanno suonare in maniera diversa.

"La chitarra elettrica e' piu' eloquente, ti costringe a cambiare personalita'. Persino cambiare un amplificatore mi fa suonare completamente diverso. La chitarra acustica e' invece l'anima: ce n'e' una sola.

Quando suoni in ensemble preferisci l'acustica o l'elettrica?
"Generalmente suono l'elettrica, ma non per scelta. Suono prevalentemente negli stadi, dove servono pareti e pareti di amplificatori. Ma anche in quelle circostanze mi piace stupire il pubblico inserendo ogni tanto qualche passaggio acustico. E' chiaro pero' che quando devi convivere con il rumore di sessantamila persone e' molto piu' naturale sparare gli amplificatori al massimo."

Perche' suonare la chitarra?
"Nel mio caso la ragione e' molto semplice: perche' la chitarra e' un pezzo del mio corpo. Non so quando mi sono innamorato della sua voce, ma adesso me la sento parte di me stesso. Non e' uno strumento facile da suonare, contrariamente a quanto molti pensano. Mi piace anche il piano acustico, ma non lo suono bene. Lo uso per scrivere canzoni. E' vero che sento cose sul piano che non sento sulla chitarra, ma non direi che il pianoforte ti consente maggiore versatilita'. Secondo me con la chitarra puoi fare le stesse cose che fai con il piano, ma ci impieghi molto piu' tempo. Devi studiarla a lungo per riuscire a suonarla come si deve. E' chiaro che qualsiasi ragazzino puo' prendere in mano una chitarra e abbozzare la melodia di una canzoncina. Questo non vuol dire che sappia suonare la chitarra. Sa suonare quei due accordi che si ripetono di continuo nella musica popolare. Persino io, dopo tanti anni, devo ancora passare tante ore alla settimana in questo studio a esercitarmi per riuscire ad ottenere effetti che ancora mi sfuggono. La chitarra e' facile da suonare soltanto se decidi di non voler imparare come si suona.

Come sono diverse la storia della chitarra rock e la storia della chitarra folk?
"La storia della chitarra rock e' la storia di una chitarra elettrica. La storia della chitarra folk e' la storia di una chitarra acustica. Hanno poco in comune. Jimi Hendrix e' stato un mostro, ma ha esercitato poca influenza sul folk. E viceversa. I toni che ottieni dagli strumenti ti spingono a suonare in maniera diversa, e pertanto dopo qualche decennio scopri che si sono create due storie che hanno poco in comune.

I chitarristi che stimi di piu'?
"Paco DeLucia e' il migliore. La chitarra e' la sua personalita', la sua anima, la sua voce. E' un vero chitarrista tradizionale Lo incontrai durante un tour in Europa. E' estremamente creativo, non suona mai la stessa cosa due volte. Dice che non riesce a ricordarsi le note... Citerei anche John McLaughlin, quello acustico di Shakti. Quando suona la chitarra acustica e' piu' facile capire cosa fa con le corde, perche' suona cosi' veloce che con la chitarra elettrica e' indecifrabile.

La tecnica e' importante?
"Secondo me no. Io non sono tecnico per nulla, sono piu' blues ed emotivo. Non lavoro molto alla mia tecnica, sono piu' interessato all'emozione. La mia regola e': "if you don't feel it, don't play it". Se non te lo senti dentro, non suonarlo. Anche se studiassi l'encicplopedia di tutte le tecniche chitarristiche finora inventate, non riuscirei a produrre un secondo di musica piu' interessante di quello che gia' faccio. La musica non e' tecnica, e' arte. Molti giovani chitarristi sono sufficientemente smaliziati nella tecnica, ma non sanno ancora come usarla. Se suoni emotivamente, copri il ruolo del cantante: la gente si identifica con il suono della tua chitarra. Se suoni in maniera molto tecnica, la gente ti ascolta con rispetto, ma senza provare la minima emozione.

A cosa stai lavorando adesso?
"Ho abbastanza materiale per un nuovo disco. Il prossimo disco sara' completamente diverso dal precedente, e una delle ragioni e' che il mio stile alla chitarra continua ad evolversi. Come dicevo, mi piace improvvisare di piu'. Vorrei ottenere un sound piu' spaziale, imprevedibile. In questi giorni sto passando molto tempo in questo studio a mettere a posto la mia apparecchiatura. Quando suono la chitarra elettrica, molto dipende da come ho allestito lo studio.