Chuck Vrtacek, the leader of prog-rock combo Forever Einstein and the
composer of two masterpieces such as Learning To Be Silent and
Silent Heaven, has recently returned to his solo career with
Fifteen Mnemonic Devices (Odd Size, 1999), an album which was in the
making since 1986.
What does the title Fifteen Mnemonic Devices stand for?
Why did it take 10 years to publish the music that you were composing?
Would you agree that this is probably your most difficult album?
Is this
a consequence of „growing up“, or just a coincidence?
Will the next one
be even more "avantgarde" or something completely different?
Influences...?
Why did you devote the last ten years to Forever Einstein and set aside
your solo career?
The titles of the songs form one long sentence: is this supposed to be a
concept album?
Can you tell us something about your upbringing, your idols and the main
influences?
The techniques employed in this album seem to vary wildly from track to
track.
Could you explain how you composed/recorded the music for the opening
tracks?
How about the ones with Nick Didkovsky?
Any intriguing secrets about the other tracks?
What about There Is A Rustling Sound?
What about She Has Crazy Dreams?
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(Translation by/ tradotto da Cinzia Russi)
Chuck Vrtacek, leader del combo prog-rock Forever Einstein e autore dei due capolavori Learning to Be Silent e Silent Heaven, ha recentemente riabbracciato la carriera da solista con Fifteen Mnemonic Devices (Odd Size, 1999), un album al quale aveva cominciato a lavorare nel 1986. Che cosa sta a simboleggiare il titolo Fifteen Mnemonic Devices? E’ una lunga storia; adesso te la racconto in dettaglio e poi decidi un po’ tu cosa farne. Dunque, c’e’ una famosa fotografia di Marchel Duchamp e Man Ray che rappresenta un oggetto posato su uno scaffale e lasciato li’ a raccogliere polvere per lungo tempo. E’ un primo piano scattato da Man Ray e somiglia ad una specie di strano paesaggio. Come ben sai, il materiale raccolto in questo album risale al 1986 e anzi ci sono alcuni estratti da delle improvvisazioni dal vivo con Nick Didkovsky (Dr. Nerve) che risalgono addirittura al 1980. Si tratta insomma di musica che che se n’e’stata li’ sullo scaffale a raccogliere la polvereper un lungo periodo di tempo e mi e’ sembrato che intitolare l’album come la foto di Duchamp e Ray fosse perfetto. Il primo titolo dell’album e’ stato “Dust Farming” perche’ credevo che fosse questo il titolo della foto; poi per un errore di un mio amico il titolo e’ diventato “Dusk Farming” che onestamente mi piaceva di piu’ di “Dust Farming”: coltivare la luce, un concetto estremamente poetico! Successivamente venni a sapere che titolo della foto di Duchamp e Ray non era affatto “Dust Farming”, mi ero completamente sbagliato. Ad ogni modo, l’uscita dell’abum subi’ una lunga serie di ritardi – pensa che doveva uscire ben Quattro anni fa! – e col passare del tempo finii per cambiare idea a proposito del titolo. Nel frattempo avevo cominciato a lavorare di piu’ con i Biota, ex- Mnemonists, dei quali faccio parte tutt’ora, e ascoltando il loro ultimo album “Object Holder”, al quale avevo collaborato con Chris Cutler e Suzanne Lewis, mi resi improvvisamente conto di quanto i Biota/Mnemonic avessero influenzatro il mio modo di fare musica. Cosi’ decisi di rendere omaggio al gruppo intitolando il mio album Fifteen Mnemonic Devices. Il significato del titolo e’ letterale, in quanto l’album comprende 15 pezzi ognuno dei quali funziona come un dispositivo mnemonico, uno stratagemma per stimolare la memoria, sia quella della mente che quella del cuore. Tutti gli esseri umani si portano dentro una quantita’ di ricordi che vengono innescati da cose diverse, certi odori, certi suoni, la luce, una determinate ora della giornata, una particolare stagione dell’anno, eccetera. Questi pezzi mi fanno tornare in mente un sacco di ricordi e spero abbiano lo stesso effetto su chiunque li ascolti. Come mai ci sono voluti dieci anni per fare uscire l’album? La maggior parte di questa musica fu registrata mentre lavoravo in contemporanea a divesri album da solista. Finiti gli album, durante la messa a punto, alcune parti mi sembrarono troppo lunghe o non in armonia con l’atmosfera generale dell’album e cosi’ le feci fuori. Ovviamente non le buttai nella spazzatura, le misi semplicemente da parte. Nel corso degli anni ho registrato e poi accantonato cosi’ tanta musica… senza esagerare credo che dal 1981 ad oggi ho composto almeno due o tre album di musica che poi ho messo da parte. Scrivo in continuazione cosi’ tanta musica che riscrivere da capo non e’ affatto un problema per me. Alcune sezioni di questo CD facevano parte di un progetto ideato con Nick Didovsky. Come ti ho gia’ detto, io e Nick improvvisavamo un sacco insieme e abbiamo registrato diverse ore di queste improvvisazioni. Intorno al 1983, eravamo ancora all’epoca dei dischi in vinile, ci venne l’idea di rivedere parte del materiale e registrammo un master tape di circa venti minuti di improvvisazione, del quale facemmo due copie: una per me e una per Nick. L’idea era che ognuno dei due ci avrebbe riregistrato sopra altre cose e poi avremmo fatto un LP con la musica di Nick su un lato e la mia sull’altro. Tutti e due i lati del LP sarebbero stati basati esattemente sugli stessi brani d’improvvisazione, ma sapevamo benissimo che ciascuno di noi avrebbe modificato la registrazione originale in modo completamente diverso e cosi’ avremmo fatto vedere come due musicisti differenti interpretano e modificano uno stesso materiale. Per quanto ne sappia, Nick non fece mai niente con il suo nastro, mentre per quanto mi riguarda, tutti I brani di “Fifteen Mnemonic devices” che hanno qualcosa di Nick sono la mia versione di quell nastro famoso, le mie rivisitazioni alle improvvisazioni che avevamo registrato insieme e che non erano mai state pubblicate perche’ Nick non aveva mai finito la sua parte dell’album e il piano era saltato. Sei d’accordo nel definire quest album il tuo album piu’ difficile? Difficile? Vuoi dire forse il meno accessibile. Credo di si, probabilmente perche’ e’ di tutti i miei album e’ quello che contiene meno melodie e allo stesso tempo quello che piu’ di tutti utilzza campioni, rumori e giri di nastro (tape loops). La qualita’ della registrazione pero’ e’ superiore a quella di molti dei miei lavori precedenti, il che, almeno a mio avviso, lo rende il CD piu’ accessibile e meno difficile che habbia mai fatto. Sono convinto che molta della musica che ho fatto in passato e’ terribile perche’ usavo strumenti a buon mercato; per questo non mi piace ascoltarla, perche’ non mi suona come avrei voluto. In “Fifteen Mnemonic Devices” invece, finalmente la musica e’ esattamente come volevo, e questo rende l’album decisamente piu’ accessibile, perche’ significa che comunico meglio, piu’ chiaramente, che riesco ad essere musicalmente piu’ articolato. Inoltre, anche se e’ vero che non ci sono molte melodie, ritengo che tutti I pezzi riescano comunque bene a creare stati d’animo diversi. Del resto, grazie al tecno, al hip hop, al rap e all’ ambient, siamo ormai abituati ad ascoltare musica che contiene rumori strani e, secondo me, chiunque ami ascoltare musica capace di trasportarti altrove sara’ d’accordo sul fatto che questo mio album ci riesce molto bene. E’ vero che non ci sono melodie orecchiabili, di quelle che puoi fischiettare, ma una volta che sei immerso nella musica ti rendi conto di quanto sia soddisfacente, molto piu’ dei miei due album precedenti. Pensi che dipenda dal fatto che sei ‘cresciuto’ o che sia soltanto una coincidenza? Sicuramente l’essere cresciuto o maturato, se vuoi, o se preferisci semplicemente il fatto che sia passato del tempo ha avuto la sua influenza. Una delle cose piu’ difficili da capire man mano che si invecchia e’ che I valori in cui credi cambiano con il passare degli anni; I valori in cui credi a trent’anni non sono piu’ gli stessi in cui credevi quando ne avevi quindici, ne’ sono gli steddi in cui crederai quando raggiungi I quaranta. O almeno questa e’ quanto e’ successo a me e alle persone che mi sono piu’ vicine. Le prospettive cambiano; ti accorgi di capire cose che prima non capivi, di quanto la vita possa essere difficile o solitaria, di come possa terrorizzarti; ti guerdi intorno e vedi la gente fallire o morire prematuramente o diventare triste e miserabile e ti viene da penare “Grazie a Dio non e’ successo a me!”. Piu’ passa il tempo e piu’ mi sento fortunate e ogni nuovo giorno mi sembra un regalo. So che puo’ sembrarti sentimentale, qualcosa che ti aspetteresti di sentire dai tuoi nonni, ma per me e’ vero. A causa del mio lavoro (faccio l’infermiere), sono costantemente a contatto con miseria e infelicita’ e questo si ripercuote sulla mia musica nel senso che non voglio scrivere musica stupida, a buon mercato, di quella che dimentichi subito dopo averla ascoltata per la prima volta. Al contrario, voglio che la mia musica rifletta i miei sentimenti e ricordi alla gente che siamo esseri umani e che la vita e’ un gran casino e quindi bisogna sapersi accontentare. Come idce Roberto Benigni nel film “Down By Law” Il mondo e’ triste ma bello”. Ed e’ assolutamente vero, il mondo e’ triste ma allo stesso tempo bello – la natura e’ meravigliosa anche se a volte un terremoto rade al suolo un’intera citta’ e precipita migliaia di persone nella miseria totale. E’ tutto parte della vita. Quando sei giovane non riesci ad afferrare in pieno il significato della realta’, reagisci e basta. Io cerco invece di essere aperto a tutto e difare in modo che la mia musica rifletta questa mia totale apertura. Non so se lo sai, ma sono un sufi e questo ha una profona ripercussione sul mio modo di vitere: il desiderio di conoscere Dio, di essere presente in sua presenza, di essere ‘nel’ mondo ma non ‘del’ mondo, tutto questo influenza la mia musica, persino quella di Forever Einstein che non e’ affatto sobria ne’ cupa! Ma se sei un sufi sai che c’e’ un momento giusto per meditare e un momento giusto per ridere e I miei album da solista rappresentano la meditazione mentre quelli con Forever Einstein rappresentano le risate (A propposito di sufismo, forse dovrei aggiungere che non sono musulmano: ci sono due rami di sufismo, uno musulmano e uno piu’ esoterico che non si colloca nell’ambito di una sola ‘religione’ ed io appartengo questa seconda corrente. Il libro di Idrie Shah intitolato “The Sufis” e’ forse il miglior sussidio alla comprensione della corrente di cui faccio parte. Io non mi limito a professare una singola religione, piuttosto le abbraccio tutte: come dicono I sufi “Dio e’ come un fiume che attraversa diversi paesi; nonostante il fiume abbia un nome diverso in ogni paese l’acqua e’ sempre la stessa”. Come sara’ il tuo prossimo album, ancora piu’ ‘avantgarde’ o quacosa di totalmente diverso? Per il momento Forever Einstein assorbe la maggior parte del mio tempo e non sento l’urgenza di fare un nuovo album da solista. Anche perche’ far uscire l’ultimo non e’ stato affatto facile in quanto nessuna delle case discografiche con cui di solito lavoro era interessata e non e’ che ce ne siano molte disponibili a produrre il tipo di musica che faccio io. Sono certo che se fossi piu’ famoso non avrei nessun problema ma purtroppo non vendo ancora abbastanza dischi da far gola a case discografiche di grande portata. E poi non ho nemmeno un agente (quanto vorrei averne uno!). Comunque Forever Einstein sta diventando sempre piu’ famoso nel mio paese; non molto tempo fa la nostra musica ha cominciato ad essere trasmessa da una stazione radio locale di grossa portata, totalmente commerciale e molto influente, di quelle che trasmettono Def Lepard, gli U2 e Pearl Jam tutto il giorno, e questo ha trascinato un sacco di gente al nostro ultimo concerto. Durante l’estate finiremo di registrare il nostro quarto CD, con piu’ overdubs e, novita’ assoluta per I Forever Einstein, un pezzo di venti minuti con delle improvvisazioni. E’ vero che ho un paio di idee per album da solista; una e’ una storia fantascientifica sull’evoluzione dell’umanita’ raccontata attraverso finte interviste e finte trasmissioni radiofoniche con background musicale. Gli spartiti sono pronti ormai da anni. Poi ho in mente un album con musica tradizionale composta per e realizzata con strumenti fatti in casa, stile Harry Patch ma con pezzi piu’ brevi che lasciano trasparire tratti esclusivamente miei. Infine, sono sempre stato interessato a formare un grupppo di Quattro-sei persone Massimo che faccia musica stile Debussy, Satie e salzedo, pezzi brevi di stampo impressionista per intenderci, un po’ del genere Penguin Café’ Orchestra ma molto molto francese con un tocco di cafe’ music. Il nome del gruppo sarebbe Les Amis de Vin (Gli amici del vino) e ci si vestirebbe come I musicisti dei cafes parigini di inizio secolo. Anche per questo ho la musica gia’ bella e pronta ma non sono mai riuscito a trovare le persone giuste; ci ho provato almeno un paio di volte – ho persino messo un annuncio sul giornale ma non ha risposto nessuno. Un giorno o l’altro mi piacerebbe anche registrare un album tutto di chitarra molto tradizionale ma con molto jazz. Adoro il jazz… Influenze…? Ho sempre diviso gli elementi che mi hanno influenzato in due gruppi: da un lato tutto quanto influenza direttamente il mio stile compositivo e il modo in cui suono, e dall’altro cio’ che mi influenza a livello personale e che mi rende il particolare tipo di individuo che sono. Nel primo gruppo, quello delle influenze ‘dirette’, c’e’ cosi’ tanto che non saprei come cominciare. Tanto per citare qualche nome, in nessun oredine particolare, ci sono satie, Debussy, Salzedo, faure, la musica medievale, quella irlandese, quella medio-orientale, Jeff Beck, Jimi Hendrix, Grant Green, Joe Pass, Pet Msrtino, Bert Jansch, John Renbourn, Charles Mingus, Eric Dolphy, Frank Zappa, Henry Cow, Universe Zero, Samla Mamma Mannas (grande influenza!). Per quanto riguarda invece le influenze ‘indirette’, quelle relative al mio modo di pensare in generale, al mio approccio alla vita, innanzitutto c’e’ il sufismo, poi (di nuovo, in nessun ordine specifico) Jack Kerouac – l’unico scrittore libero e autenticamente moderno di questo secolo – James Burke, Albert Einstein Marcel Duchamp, Carl Sagan, Chris Cutler – sia come scrittore che come amico – mia moglie, il mio lavoro. Come mai negli ultimi dieci anni a Forever Einstein hai abbandonato la carriera da solista e ti sei dedicato esclusivamente a Forever Einstein? Prima di Forever Einstein stavo con un gruppo chiamato Dancing Lessons che ha fatto un album prodotto dalla casa discografica britannica Reccomended Records. E’ davvero un peccato che i master tapes si siano persi perche’ mi sarebbe davvero piaciuto poter fare un remix di quell’album che conteneva del materiale valido, almeno per l’epoca (1984). I motivi per qui ruppi con il gruppo sono molti e di diversa natura, e comunque me ne andai prima che il gruppo avesse la possibilita’ di esplorare nuovo materiale e di crescere. Forever Einstein rappresenta l’evoluzione diretta dai Dancing Lessons. A questo punto potresti chiedermi come mai mi ci sono voluti ben cinque anni per mettere su i Forever Einstein e ricominciare da capo esattamente da dove avevo smesso lasciando i Dancing Lessons - nell’ultimo album di Forever Einstein, “One Thing After Another”, c’e’ una canzone intitolata “The Pancake Song” scritta appunto nel 1984, una sorta di rimanenza dei Dancing Lessons in un certo senso, visto che doveva far parte di un loro secondo album che pero’ non venne mai registrato. Per tornare comunque alla tua domanda, in effetti non ho mai realmente messo da parte la mia carriera da solista; nel 1989, proprio mentre i Forever Einstein stavano lavorando al loro primo CD, finii un mio album intitolato “Nothing Lasts Forever, Nothing Ends Completely” ma non trovai nessuno disposto a produrlo, cosi’ parte della musica venne riciclata dai Biota in “Object Holder” e il resto verra’ usato sempre dai Biota nel loro prossimo album che e’ quasi finito. Negli anni ‘90 poi Nick Didkovsky mi chiese di della musica da pianoforte per il CD “Flies in the Face of Logic” e cosi’ in quest album ci sono circa venti minuti di musica mia che richiama un po’ Conlon Nancarow. Sempre negli anni ‘90 i miei primi due album “Victory Through Grace” e “Days and Days” sono venuti fuori in un unico CD intitolato “Days of Grace” (DOM America) mentre il mio terzo e quarto album “Learning to Be Silent” e “When Heaven Comes to Town” uscirono insieme nel CD “Silent Heaven” (Cuneiform). Come vedi dunque, non e’ che negli ultimi dieci anni non sia accaduto nulla. Ad ogni modo, la ragione principale per cui non ho fatto piu’ album e’ la mancanza di soldi; mi rendo conto che puo’ sembrarti una scusa moltoa buon mercato, ma la realta’ e’ che vivo in una societa’ capitalista e siccome mi piace mangiare e ho bisogno di un’automobile per andare al lavoro e ho una famiglia da mantenere, mi servono di un bel po’ di soldini per vivere e cosi non mi avanza molto da spendere nella registrazione di nuovi CD. Se avessi piu’ soldi potrei finire un altro album da solista in meno di un anno senza nessun problema: me ne andrei in ferie, ingaggerei i musicisti che mi servono, me ne andrei in studio per tutto il tempo necessario e il disco sarebbe bello e pronto, e potrei addirittura produrmelo da solo. Ma purtroppo non sono benestante e in questo paese non e’ certo facile guadagnarsi da vivere facendo musica. I titoli delle canzoni formano una lunga frase; cos’e’, un concept album? No, non si tratta di un album concettuale, ma hai ragione, i titoli formano una lunga frase e raccontano una storia. Per me i titoli sono sempre una cosa dell’ultimo istante, pensa che aspetto sempre fino a quando la copertina e’ pronta per andare in stampa! Man mano pero’, i titoli me li scrivo tutti in un quadernino e quando un album e’ pronto apro il quadernino e per ogni pezzo scelgo il titolo che mi sembra piu’ adatto. Nel caso di quest ultimo album mi avevo la sensazione che i titoli dovessero essere poetici ed evocativi, come la musica stessa e cosi’, messi insieme, i titoli raccontano quello che un giorno accadde a mia moglie dopo essersi svegliata da uno sttrano sogno. E’ una storia vera, non c’e’ niente di inventato. Che ci racconti della tua infanzia? Quali sono stati i tuoi idoli, le influenze piu’ significative? La mia infanzia e’ stato pessima per alcune cose, ma davvero positivo per altre. Mio padre era emigrato negli Stati Uniti da Cipro e mia madre era americana, anche se la sua famiglia era emigrata dall’Irlanda all’epoca della grande carestia. Mio padre abbandono’ mia madre quando era incinta di me e cosi’ lei mi diede in adozione. I miei genitori adottivi erano due alcolizzati, costantemente ubriachi, e mi hanno trattato abbastanza crudelmente. Non che mi picchiassero, ma mi ignoravano totalmente e passavano tutto il tempo a litigare. Mi prendevano in giro, ridevano delle mie idee e mio padre se la prendeva spesso con me e mi chiamava stupido. E poi eravamo molto poveri. Mio padre (adottivo) mi mori’ tra lebraccia quando avevo 18 anni e mia madre siccome era sulla sedia a rotelle da quando ne avevo 13, per mantenerla dovetti lasciare la scuola e andare a lavorare, in fabbrica durante il giorno e di notte in un cinema. Qualche tempo dopo la misi in un’ospizio e me ne andai a vivere per conto mio, ma mori presto, quando avevo appena 19 anni. Rimasto senza nessuno e senza una casa vissi per diversi anni con degli amici. Questa, ovviamente, e’ la parte brutta. La parte positiva e’ che sono cresciuto in piccolo paesino sulla costa del New England che faceva circa 4.000 abitanti tra gli anni ‘50 e ‘60, e che, sebbene sia cresciuto un po’, e’ rimasto incantevole come era allora. Era davvero un bel posto, tranquillo e sicuro, dove ci si conosceva tutti, e avevo dei buoni amici; si chiama Old Saybrook e ci torno ancora di tanto in tanto. Cosi’ almeno non sono cresciuto in un ghetto, in mezzo alla criminalita’. Crescere in questo paese e’ stato decisamente un bene in quanto per quanto infelice fosse la mia vita in famiglia c’era almeno qualcosa di buono fuori di casa; i miei genitori non si preoccupavano mai di dove fossi e che facessi cosi’ cominciai ad andarmene a fare lunghe passeggiate o giri in bicicletta quando avevo appena cinque anni, e questo starmene da solo in un ambiente sicuro e’ senz’altro stato di grande aiuto. Le tecniche che usi in quest album sembrano cambiare drasticamente da un brano all’altro. E’ perche’ i pezzi contenuti nell’album sono stati composti nel corso di un lungo periodo di tempo, pensati in momenti diversi e per album diversi. Mi spiegheresti come hai composto e registrato la musica dei pezzi d’apertura? Dunque, i pezzi d’apertura sono costruiti su un’unico campione di musica tratto dalla colonna sonora del film “Wings of Desire”. Come ti ho gia’ detto, questo secondo e’ il miglior film che sia mai stato fatto perche’ e’ un film sufi in disguise e molto autorevole. Cosi’ ho preso un pezzettino di colonna sonora, l’ho testato e poi l’ho modificato. E quelle con Nick Didovsky? Quelle sono basate su improvvisazioni che avevamo registrato insieme e sulle quali io avevo poi fatto delle aggiunte. Qualunque cosa abbia l’impronta di Nick (sia pezzi brevi che lunghi) viene da queste registrazioni che ho poi ritoccato. Ci sono tre pezzi per chitarra che avevo fatto con la mia vecchia Gibson, suonati a mano dopo aver inserito delle penne e delle barre di metallo in mezzo alle corde, con un sacco di risonanze... Qualche segreto intrigante dietro agli altri brani? Ci sono dei pezzi in cui uso delle registrazioni di trasmissioni radiofoniche e di rumori della strada fatte da una stanza d’albergo a Ginevra, suoni provenienti dal mio giardino e da Notre Dame a Parigi. Si tratta di registrazioni che ho ascoltato e riascoltato innumerevoli volte nel tentativo di capire che tipo di musica o suono potesse esaltarne il feeling di fondo. Il pezzo basato sui rumori della stanza d’albergo e’ un tantino rumoroso, quello basato sulle registrazioni fatte a Notre Dame ha un’alone medievale e spirituale, e quello con i suoni provenienti dal mio giardino ha solo una fisarmonica da bambino perche’ e’ una melodia semplice per un ambiente semplice. Che mi dici di There Is A Rustling Sound? E’ un pezzo molto tradizionale, ricorda il tema di un film europeo con bongos, pianoforte e strumenti a corda. Originariamente faceva parte del lungo pezzo “When Heaven Comes to Town” contenuto nell’album omonimo, dove e’ tutto mischiato al sottofondo. Mi era davvero piaciuto e ho pensato che sarebbe stato interessante rifarlo in modo che lo si potesse ascoltare piu’ distintamente. E She Has Crazy Dreams? E’ un pezzo che include gongs e una conversazione telefonica con mia madre, quella vera, la mia madre biologica cioe’, che mi diede in adozione nel 1953. Ci siamo poi ritrovati e ho voluto catturare qualcosa che me la faccia ricordare quando non ci sara’ piu’. Se penso che l’ho conosciuta solo quando ormai avevo 39 anni! (Nel caso ti interessi adesso ne ho 45). |
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