La deflazione
(Alan Greenspan, Silicon Valley)
Nel 1995 persino il governatore della Riserva Federale, Alan Greenspan,
notoriamente paranoico nei confronti dell'inflazione, scopre che l'inflazione
e' un male che si e' estinto. La disoccupazione e' scesa al di sotto della
soglia fatidica del 6% da ormai un anno, eppure non si intravedono segni di
un rialzo dei prezzi. Gli stipendi sono straordinariamente
piatti: le aziende non sembrano essere disposte a pagare di piu' e gli
impiegati non sembrano avere il potere di farsi pagare di piu', nonostante
a quei livelli di occupazione capiti normalmente il contrario.
In parte cio'
e' dovuto al declino dei sindacati. In parte le statistiche
sono fuorvianti, poiche' nella Silicon Valley gli stipendi del software
crescono ancora del 6% all'anno, mentre quelli delle segretarie sono scesi
del 10% in tre anni: la media dice che gli stipendi sono stabili, ma in realta'
ci sono movimenti in entrambi i sensi.
L'automazione ha certamente cominciato a colpire i ceti impiegatizi meglio
pagati, compresi i manager. E cio' ha fatto crollare gli stipendi che piu'
influivano sulle statistiche. D'altro canto i lavori che non possono ancora
essere automatizzati (come quello, per l'appunto, degli ingegneri del software)
sono diventati ancor piu' preziosi, e quindi sempre meglio retribuiti.
Sia come sia, nel luglio del 1995 Greenspan accetta di ridurre il tasso di
sconto della Federal Reserve dopo una serie di aumenti a catena per scongiurare
la paura dell'inflazione. Greenspan mette cosi' fine alla guerra contro
l'inflazione. Il problema e' che la guerra e' stata combattuta contro un
nemico che non esisteva. Purtroppo, come tutte le guerre, ha fatto delle
vittime.
Le prime vittime sono tutti i piccoli risparmiatori che avevano
investito nei mercati finanziari e che per due anni hanno assistito impotenti
allo spettacolo di una "Federal Reserve" che infieriva contro i loro risparmi.
La seconda vittima e' stata il deficit nazionale, che e' cresciuto di circa
200 miliardi di dollari per effetto dell'aumento dei tassi di interesse.
La terza vittima e' l'economia stessa, che si era ripresa brillantemente dalla
recessione del 1991 ed e' stata messa in ginocchio dai continui aumenti del
tasso.
La Riserva Federale, come quasi tutti gli economisti, usa purtroppo metodi
e parametri ormai antiquati, non essendo stata capace di riconoscere i
cambiamenti strutturali avvenuti negli anni '80 (l'avvento di un'economia
globale, con la conseguente invasione di prodotti da paesi in cui i costi di
mano d'opera sono irrisori), nonche' quelli contingenti
(la fine della crisi del petrolio, che ha disinnescato quella che
era stata la vera, se non la sola, causa dell'iperinflazione degli anni '70).
Il nuovo scenario e' anzi quello di un mondo in cui sarebbe difficile
provocare inflazione anche volendolo. Nessun operaio della General Motors
puo' sognarsi di chiedere aumenti di stipendio che renderebbero le auto
piu' care di quelle dei taiwanesi o dei coreani. L'operaio della General
Motors vive anzi nella continua angoscia che un ulteriore abbassamento
dei prezzi provochi un'altra riduzione del suo salario. In molti settori
dell'alta tecnologia, a partire da quello dei computer, in cui i prezzi
si dimezzano ogni due anni, e da quello del software, in cui i prezzi sono
crollati in certi casi (sistemi operativi, multimediale, comunicazioni)
del 90% nel giro di pochi anni, si assiste a una continua e inarrestabile
"deflazione".
L'ossessione di Greenspan per l'inflazione e' quasi comica. La classe media
americana si sta infatti rendendo conto di come l'inflazione degli anni '70
avesse beneficiato soprattutto loro, i piccoli borghesi, e di come la
deflazione del 1991 abbia penalizzato proprio loro. L'inflazione ha
infatti effetti positivi su chi e' indebitato (in particolare sulla classe
che tradizionalmente in America deve passare trent'anni a pagare il mutuo
per la casa, mutuo che grazie all'inflazione perde rapidamente di valore)
mentre ha effetti negativi su chi e' creditore.
La deflazione ha l'effetto
opposto. Crolla, per esempio, il mito che comprare una casa a rate
sia un buon affare perche' il mutuo perdera' di valore negli anni. Tutto
il contrario: i milioni di americani che, licenziati durante la recessione
del 1991, hanno dovuto accettare uno stipendio inferiore presso
un'altra azienda si ritrovano anche con un mutuo che, in proporzione, costa
molto di piu'.
Non solo: il valore della casa che stanno comprando con quel mutuo
e' (in molte zone) diminuito.
Gli economisti possono divertirsi a dimostrare gli infiniti benefici
della morte dell'inflazione. Per l'americano medio significa un altro colpo al
Sogno Americano. La generazione dei loro genitori ebbe tutto cio' che loro non
potranno mai permettersi anche perche' godette il grande vantaggio
di crescere in un'era di inflazione.