- Dalla pagina su Scott Walker di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
Scott Walker (Scott Engel) è stato una delle tante pop star degli anni Sessanta che sfornò ritornelli radio-friendly per il consumo delle masse, lanciato da una campagna di marketing che poneva l’accento più sui suoi graziosi look che sulle sue canzoni prive di ispirazione (niente di nuovo, nel pieno dei teen-idols e dei Beatles). Tuttavia i suoi album solisti sposavano un suono easy listening old-fashioned a meditazioni filosofiche e scenari lugubri, e crearono in questo modo una nuova forma di ballata, anticipando David Bowie, Julian Cope e il trip-hop.
Californiano di nascita, il cantautore Scott "Walker" Engel formò i Walker Brothers con Gary Leeds (ex batterista degli Standells) e John Maus. Il loro primo successo, Love Her, prodotto da Jack Nitschze, uscì nel 1965, poi si trasferirono in Inghilterra, dove ebbero altri tre successi: Make It Easy On Yourself (di Burt Bacharach), My Ship Is Coming, Sun Ain't Gonna Shine (di Bob Crewe).
Riuscirono così a pubblicare dieci album (tutti finiti in top 10) in tre anni.
Poi si sciolsero, nel 1967.
Walzer era la star, un teen-idol abbinato a canzoni lacrimevoli e ad arrangiamenti sinfonici. Divenne il re della ballata malinconica e melodrammatica, ma nella realtà era alcolizzato e aveva tentato il suicidio.
La carriera solista di Scott Walker cominciò con due album, Scott (Fontana, 1967) e Scott 2 (Philips, 1968), che erano fondamentalmente tributi al suo idolo Jacques Brel. Il secondo include i suoi primi classici, The Girls From The Streets e Plastic Palace People.
Scott 3 (Philips, 1969) era soprattutto materiale suo, in particolare Copenhagen, It's Raining Again, Rosemary, Big Louise e We Came Through.
Scott 4 (Philips, 1969) conservava l’influenza di Brel, ma ora le composizioni erano tutte sue e gli arrangiamenti si rifacevano più a Morricone che a Bacharach o Spector (Seventh Seal, Boy Child, The Old Man's Back Again). Le sue canzoni erano ambientate in un decadente milieu di prostitute, gangster e diseredati, ma rese in uno stile operistico.
Boy Child (Fontana, 1992) è una collezione di canzoni dei primi quattro album composte da Walker.
Til the Band Comes In (1970) aveva qualche numero magistrale (la title-track), ma nell’insieme non reggeva il confronto coi precedenti album.
The Moviegoer (1972) contiene solamente cover.
Stretch (Columbia, 1973) è un disco country.
Any Day Now (1973) e We Had It All (1974) sono mediocri come gli album precedenti.
Una reunion dei Walker Brothers nel 1975 rese una hit No Regrets (scritta da Tom Rush).
No Regrets (1992) è un’antologia dei successi.
Walker visse in isolamento fino al 1984 quando fece ritorno col suo album più nero di sempre, Climate of Hunter (Virgin, 1984), il lavoro di un artista consumato ma anche di un'anima tormentata.
Un altro ultimo album, Tilt (Fontana, 1995), stravolge le convenzioni della canzone pop al punto che i "pezzi" suonano come austeri lieder: il canto pseudo-gregoriano con archi di Farmer in the City (un requiem per Pierpaolo Pasolini), gli otto minutidi Patriot(l'altro imponente inno con sfumature di strumenti ad arco), il rumoroso e apocalittico The Cockfighter, il distorto Tilt, la tragica toccata d'organo Manhattan (rovinata da un inetto ritmo di danza). È un programma crudo, intriso di effetti sonori e paesaggi sonori per lo più vuoti. La manifestazione definitiva dello stato d'animo dell'album è l'atmosfera gotica di nove minuti Bouncer See Bouncer, con la sola voce in un vasto spazio vuoto con un tremore elettronico e un battito distante. Il suo tenore pomposo e agonizzante si colloca in una posizione unica a metà strada tra la musica classica e quella pop. Non è la più bella delle voci, ma ciò che le manca in termini di eleganza, sentimento, psicologia e potenza lo guadagna in maestosa intensità. Poiché la maggior parte delle canzoni sono prive di arrangiamenti orchestrali, gli effetti sonori svolgono un ruolo chiave nel creare l'atmosfera.
Peccato che sia diventato un "autore" quando nessuno gli prestava più attenzione.
Five Easy Pieces (Universal, 2003) è un'antologia di cinque dischi (senza out-takes, demo, materiale inedito o altra spazzatura assortita).
Drift (4AD, 2006), il primo album in undici anni, suonava come una versione meno rigida di Tilt. Walker era ormai capace di fondere l'atteggiamento del compositore classico, l'atmosfera cupa del dramma espressionista, l'estetica psicologica del sonoro e la gravità letteraria del bardo nazionale, ma si limitava ancora ad arrangiamenti sparsi, una sorta di contraddizione in termini. Inoltre, il ciclo era permeato dall'angoscia paranoica degli attacchi terroristici del Settembre 2001, sebbene diluita in kammerspielen semiotiche ed esistenziali come Jesse ("Sono l'unico rimasto in vita") o metaforicamente trasmessa attraverso il dramma storico di 13 minuti Clara (una recitazione cruda in un paesaggio sonoro terrificante che fa sembrare Tilt decisamente edificante). L'assenza di musica è ciò che rende Cue davvero potente: Walker non ha mai paura di lasciar morire la musica.
Quando emergono dall'abisso, gli archi simulano le urla, aggiungendo un tocco umano al melodramma infernale. L'ostinata preferenza di Walker per il "non" arrangiamento delle sue melodie è ciò che le rende così snervanti. In effetti quelle che sono (relativamente) pesantemente arrangiate (Jolson and Jones, il gotico The Escape) non se la passano molto bene. Come al solito, la voce di Walker era l'elemento più vulnerabile del suo progetto (i testi autoprodotti erano al secondo posto).
Bish Bosch (4AD, 2012), con un'orchestra di archi diretta dal tastierista Mark Warman, contiene lo psicodramma di 22 minuti SDSS1416+13B, per lo più recitato in tono quasi spaventato in mezzo a suoni da camera sparsi, percussivi ed elettronici.
Soused (4AD, 2014) è stata una collaborazione con i Sunn O))).
Fondamentalmente, al duo è stato chiesto di dipingere con il suono le lunghe meditazioni astratte di Walker. I risultati dipendono dalla facilità con cui le canzoni di Walker possono essere trasformate in entità musicali. Il problema è particolarmente evidente in Lullaby (9.22), del 1999, per il quale il duo di strumentisti non riesce a trovare musica a sufficienza.
Laddove il duo riesce, la parte debole è il canto operistico di Walker. Brando (8.43) è una fantastica e terrificante colonna sonora fantascientifica post-apocalittica, che mescola horror industriale e Welcome to the Machine dei Pink Floyd, ma la sua atmosfera è completamente rovinata dalle stupide chiacchiere contorte di Wlker. Enormi droni di chitarra distorti e ance stridenti possono fare ben poco per riscattare Herod 2014 (11.59) dal suo torpore, e infatti nella seconda metà vengono introdotti una serie di nuovi artifici, senza alcun risultato. Sembrano arrendersi in Bull (9.20) e lasciare semplicemente che la chitarra ronzi per sempre. Il momento migliore arriva a metà di Fetish (9.09) quando il coro in stile "om" entra nella mischia e poi il ritmo riprende. Troppo poco e troppo tardi. Il modo in cui Stephen O'Malley e Greg Anderson seguono e migliorano il canto di Walker è ammirevole. Senza la voce, questo lavoro sarebbe stato un ottimo seguito del loro Monoliths & Dimensions.
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