Summary
The more interesting acts of "dark punk" were the ones that
sculpted a similarly gloomy and bleak sound but shunned the cartoonish,
horror-movie overtones.
Notably, the Cure introduced existential
anguish (the kind found in Camus' and Sartre's books) into rock'n'roll.
Three Imaginary Boys (1979) actually features a deadly cocktail of
cynical hyper-realism, macabre expressionism and morbid paranoia.
Pornography (1982) capitalized on those premises with a philosophical
journey to the center of a fragiel, romantic soul (vocalist and guitarist
Robert Smith). After the pop conversion of the sprawling but inferior
Kiss Me Kiss Me Kiss Me (1987), the Cure reached their zenith of
pathos on Disintegration (1989), that balances Smith's
pedantic preaching with heavily arranged pieces that sound like
symphonic poems.
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Robert Smith (nato in Inghilterra nel 1959) e` il poeta esistenziale a cui
si deve la saga dei The Cure, gruppo nato nell'epoca del punk-rock e salutato
fra i pionieri del dark-punk, ma in realta` estraneo a entrambi i movimenti.
I Cure irruppero nel 1978 nei sepolcri esistenziali del dark punk con una musica
cupa e angosciosa, segnata da liriche depresse e introverse. Il manifesto della
loro alienazione alla Camus fu Killing An Arab (Small Wonder), una
melodia dalle
tinte esotiche e trascendenti, immersa in una sinistra atmosfera da film noir.
L'album Three Imaginary Boys (Fiction, 1979) mise in luce il singolare
talento di Smith nel costruire canzoni dalla struttura convenzionale che
rimandano alla desolata inedia e allo spleen angosciato dei dandy decadenti.
Il breviario della sua depressione nervosa distilla atmosfere sospese, quasi
ipnotiche (la martellante rarefazione di 10:15 Saturday Night),
un sarcasmo pieno di odio verso la folla (Jumping On Someone Else's Train,
il loro secondo hit, ricco di effetti ritmici),
visioni apocalittiche (la funerea e marziale World War)
e incubi orrifici (la swingante e spettrale Subway Song), per
sprofondare nella delicata ballata di Three Imaginary Boys,
poema della paura e della nevrosi.
Sono ritornelli affabili, che la formazione (un classico powertrio capace di
Object e Grinding Halt) agghinda
con arrangiamenti scarni ed essenziali, oscillando fra l'impressionismo
iper-realista e l'urlo espressionista, condotti come una pacata dissertazione
ma poi marchiate, e spesso devastate, da un cambio di ritmo, da un assolo
veemente, da un trucco elettronico.
A farne dei reperti lirici e struggenti sono il canto sofferto e fatalista
di Smith e il contrappunto del suo chitarrismo
invece melodico e cristallino.
Gli anthem Fire In Cairo, di un
erotismo allucinato, e Boys Don't Cry, di un tenero romanticismo,
accentuano l'enfasi attraverso la cadenza e l'orecchiabilita'.
L'impeto maniacale dell'hardcore, le atmosfere sataniche del dark punk,
la sfibrante corsa all'autodistruzione dell'intero movimento, vengono dai
Cure trasfigurati in un nichilismo piu` umano e, soprattutto, universale.
L'anno dopo, con Seventeen Seconds (Fiction, 1980 - Rhino, 2005)
e una formazione largamente rimaneggiata (soprattutto l'ingresso del bassista
Simon Gallup),
Smith s'immerse decisamente nella paranoia piu` morbosa e rassegnata.
Le sue cupe visioni si levano profetiche sul vigoroso galoppo di
Play For Today, sul delicato carillon di In Your House, sul funereo finale
di Seventeen Seconds.
L'hit del disco, A Forest, non rinuncia al piglio disperato, ma riesce
a mettere in moto un vortice ipnotico di chitarra e basso, mentre sullo sfondo
si volteggiano frasi lugubri delle tastiere.
Gli intermezzi strumentali di A Reflection, Three sono architettati in
maniera da produrre il massimo dell'effetto, con gli accordi centellinati
e cadenze allucinate.
Il suo registro perennemente angosciato e` piatto e monocorde, ma poco importa.
Anche quello fa personaggio.
Faith (Fiction, 1981 - Rhino, 2005), registrato dal trio di Smith,
Gallup e il (pessimo) batterista Lawrence "Lol" Tolhurst,
e` l'album piu` cupo e meno musicale della
carriera di Smith (ormai padrone assoluto della musica dopo che il gruppo
si e` ridotto a un trio).
Le cantilene moribonde di Holy Hour, All Cats Are Grey e Faith
suonano pero` stanche e ripetitive,
facendo sembrare geniali la vibrante Doubt e
soprattutto l'incalzante Primary, per il semplice fatto che sono tutto
l'opposto. L'arrangiamento quasi sinfonico di Funeral Party e gli effetti
elettronici di Drowning Man, le due canzoni-manifesto del disco, o perlomeno
le piu` atmosferiche, dimostrano che Smith ha capito questo limite del suo
stile.
The 2005 reissue of Faith includes the 27-minute instrumental soundtrack
of a film, Carnage Visors, one of Smith's most depressed pieces of music.
Non sorprende pertanto il singolo Charlotte Sometimes, ballabile, melodico,
schizoide, onirico. La verita` e` che fino a questo momento i Cure hanno
scritto pochissime canzoni degne di essere ascoltate per il loro valore
artistico. Si tratta di un tipico fenomeno di culto che trascende i
meriti artistici.
Il Calvario di Smith culmina nelle epiche ed acute crisi suicide di
Pornography (Fiction, 1982 - Rhino, 2005), l'album che segna la svolta dal dark-punk
degli inizi al cupo esistenzialismo (poco imparentato con il gotico) della
maturita`. Musicalmente, a cambiare sono soltanto le ambizioni: laddove i
primi brani erano concisi e bruschi per essere alla moda con il punk-rock,
i nuovi brani tendano a distendersi in maniera piu` complessa per restare
al passo con i tempi del dopo-punk. Ma in realta` i ritornelli sono simili
(ovvero fiacchi) e l'accompagnamento e` soltanto meno ostico.
Il tormentato solipsismo di questo
fragile romantico alter-ego di Ian Curtis (Joy Division) tocca qui il vertice
del suo lirismo negativo. Le canzoni si fanno poemi tonali, lunghi, intensi e
complessi. Le armonie, gia` oltremodo tormentate, si fanno ancor piu` convulse,
piu` cupe, tribali e dissonanti, degne colonne sonore della tragedia
esistenziale del leader.
Esagitato come non mai, immerso in glaciali vortici di elettronica e
distorsioni (One Hundred Years) e in cadenze geometriche e tribali
(The Hanging Garden), il sound dei Cure sa di collasso psichico, con
il canto-latrato del leader che lambisce ormai registri da declamato brechtiano,
con punte di delirio assoluto (Figurehead).
Su tutto troneggiano l'ipnotica malinconia esistenziale di Cold, degna di
certi gorghi follemente disperati di
Tim Buckley, e la title-track, che fonde
con impeto wagneriano in un fondoscala devastante tutti gli esperimenti
di ritmo tribale, distorsioni psichedeliche, revitativi marziali e dissonanze
elettroniche. L'opera culmina, e si placa, in Siamese Twins, danse macabre
onirica e metafisica. Verboso e magniloquente, il poema rock dei Cure e` la
versione amatoriale del kammerspiel in forma rock dei Public Image.
A questo punto, con Smith a mezzo servizio per gli impegni con Siouxsee e la
formazione in continuo subbuglio, la sigla Cure viene usata per sperimentare
con il synthpop da classifica e con il jazz da salotto. Nascono cosi'
singoli come Let's Go To Bed (1982), Like An Animal (1983,
a nome Glove), Walk (1983), Lovecats (1983), il vaudeville fiatistico
che costituisce l'apice barocco di questa fase "umoristica",
Caterpillar (1984), un flamenco indiavolato e metafora esistenziale di Smith,
In Between Days (1985), una discomusic melodica alla New Order,
e finalmente la fanfara caraibica Close To Me (1985), brani
che si affidano ad arrangiamenti psichedelici e ballabili ben piu` curati e
a testi semplici e ottimisti, in un'ottica palesemente commerciale.
L'album The Top (Fiction, 1984)
inietta dosi massicce di hardrock
(Shake Dog Shake),
ragarock (Bird Mad Girl), psichedelia (Top),
esotismo (Piggy In The Mirror) e folk (Empty World) sulle scheletriche
partiture di Smith, con il risultato di devastarle irreparabilmente.
Grazie alle sue liriche sognanti e poetiche e alle sue cantilene ipnotiche,
Smith si guadagna peraltro il titolo di "pin-up" per adolescenti
intellettualoidi, la controparte maschile di
Kate Bush, e diventa (malgrado
i suoi esordi misantropi) una mezza star nazionale.
Per The Head On The Door (Elektra, 1985)
Smith impiega un quintetto che abbonda di chitarre
e di tastiere, alla ricerca evidentemente di un sound sempre piu` gradevole.
Tutta l'iconografia sonora del marchio Cure e` come mimetizzata nelle pieghe
degli arrangiamenti. L'urlo angosciato e` sommerso dalla fragorosa discomusic
di In Between Days e Baby Screams, la crisi esistenziale e` diluita nel
balletto orientale di Kyoto Song e nel flamenco evanescente di Blood.
La bravura del complesso nell'allestire le scenografie sonore di Close To Me
(un soul subdolo alla Prince) e Sinking (una sorta di preludio sinfonico)
si traduce pero` in una cospicua perdita di identita'.
La parentesi commerciale culmina nel doppio
Kiss Me Kiss Me Kiss Me (Elektra, 1987), un lavoro
monumentale che riassume un decennio di demoni interiori, di tensioni psichiche,
di visioni paranoie, ma li ambienta anche in un'atmosfera piu` calda e sensuale.
La nevrosi barbara dei primi dischi si libra adesso nel ritornello romantico
di Just Like Heaven, la tensione spasmodica di Killing An Arab
si sfoga nel soul saltellante di Why Can't I Be You, le litanie moribonde di
Pornography sono tramutate in tenerezze new age come One More Time.
Abbondano gli spunti commerciali: scipitezze da ballo come Hot Hot Hot,
quadretti esotici come Like Cockatoos e ballad rilassate come Catch;
ma sempre percorsi da sinistre premonizioni, che talvolta prendono la mano
e danno origine a incubi di dissonanze e tribalismi,
come nel teso e convulso delirio di The Kiss, nel caotico carnevale di
Icing Sugar e nel tempestoso sabba di Shiver And Shake.
Climax del disco sono in effetti i due brani piu` sperimentali, ciascuno un
concentrato di vibrazioni trascendenti e psichedeliche:
If Only Tonight We Could Sleep e ancor piu` Snakepit.
L'inusitata cura per gli arrangiamenti si risolve in un manierismo
epigrammatico, una forma suggestiva che sposa l'eccesso di effetti delle musiche
con l'austera filosofia delle liriche.
Per la prima volta Smith si comporta davvero da musicista (forse anche per
merito del suo maturato ensemble).
Pur nella moltitudine di forme espressive e nell'estrema cura formale
il messaggio negativo e pessimista di Smith e` inequivocabile: e` soltanto
un altro modo di recitare il rosario della fine.
Il decennio si chiude per Smith con l'album Disintegration
(Fiction, 1989). La sua tradizionale catalessi umorale si aggiorna
semplicemente alle produzioni "sinfoniche", le sue melodie languide
e anemiche vengono irrobustite con battiti metronomici e arrangiamenti
pesanti, le sue lente cantilene salmodianti sono corredate da accorte ouverture
strumentali che ripetono il tema in modo enfatico (in maniera non troppo diversa
da come facevano i Moody Blues ai tempi loro). Il freddo solipsismo degli
esordi degenera cosi` in atmosfere apocalittiche, pretenziose e assordanti
(la tavolozza quasi new age di frasi orchestrali che accompagna
Plainsong, il vortice di fischi, dissonanze e progressioni melodiche che
apre Fascination Street) che culminano nell'opprimente danse macabre di
Prayers For Rain.
Nick Drake imbevuto di zeitgeist esistenzialista, Smith
perde gran parte del suo fascino di poeta da bistro` di
periferia quando declama nel teatro dell'opera (la tenera ballata di Pictures
Of You) o intrattiene in discoteca (l'orecchiabile synthpop di Love Song)
o intona il synth-pop sensuale di Lullaby.
Monumentale opera a tesi, il canzoniere
di Disintegration esalta pregi e difetti dell'arte di Smith:
i nove minuti di The Same Deep Water As You, pregni di pathos tragico e di
solenne ritualismo, non sono lontani dalle piece barocche e romantiche
dei primi Genesis, cosi` come i sette minuti di Homesick, in deliquio
contorto e continuato, non sono lontani dagli psicodrammi maniacali di Peter
Hammill, e gli otto minuti della title-track, traboccanti di effetti sonori e
di citazioni folk, non sono lontani dal tecno-funk di Peter Gabriel.
Il fatto saliente rimane quello di un musica che, a differenza di quasi tutto
il rock, implode continuamente su se stessa, intrappolata in un incubo senza
fine.
Il singolo Never Enough (1990), uno dei piu` rock della sua carriera,
anticipa l'album Wish (Fiction, 1992),
che, come spesso capita nell'opera di Smith, rappresenta invece una parentesi
relativamente "leggera" e forse il suo capitolo piu` romantico.
Le chitarre si fanno largo nella spessa coltre di tastiere e bassi che
incupiva il sound di Disintegration, e i riff (cosi` come le linee di
basso) sono stratificati, melodia contro melodia, liberi di fluttuare,
di andare alla deriva, di restare sommersi nel "mix" o di emergere
prepotentemente, mentre il canto salpa sui loro flutti facendosi trasportare
soltanto dal proprio estro.
Liquidato l'obbligo commerciale con l'insipida High e l'orecchiabile
ma non meno stucchevole Friday I'm In Love,
Smith compie un'operazione di equilibratura: l'inerzia/inedia che grava su
Apart, una ballata lenta, tenue e atmosferica, sull'incantata sonata
pianistica di Trust, sul raga sottovoce di
To Wish Impossible Things e sulla serenata malinconica del singolo
A Letter To Elise, e` al tempo stesso l'altra faccia e l'antidoto
contro la paranoia che grava su End, sul suo groviglio di
riff ripetuti ossessivamente e di poliritmi tribali, con le frasi di Smith fatte
riverberare nell'etere, e sull'ansia travolgente di From The Edge Of The Deep Green Sea.
Per quanto Wild Mood Swings (Elektra, 1996), dopo quattro anni di assenza
dallo studio, tenti di ampliare
ulteriormente il fronte (con la lunga, onirica apertura strumentale di
Want, che fa buon uso dell'elettronica e fa capire che Enya non
e` passata invano, con la baraonda psichedelica di Club America,
con la cadenza e i violini rinascimentali di This Is A Life),
questo e` ancora e fondamentalmente Robert Smith,
abile confezionatore di atmosfere claustrofobiche, ma anche noioso e pedante
professore di dark-punk, sempre altisonante ma, in ultima analisi, anche vacuo.
Il canto non e` migliorato, si e` soltanto fatto piu` esagitato.
Tanto meno si e` adeguato ai tempi lo stile alla chitarra.
I testi sono stanche ripetizioni dei suoi stereotipi prediletti.
Anche quando prova l'approccio "leggero", nel pop sontuoso di Mint Car,
nel funk tecnologico e poliritmico alla Peter Gabriel di
Strange Attraction e
Gone, nel rhythm and blues viscerale di Return,
e soprattutto nella fanfara caraibica di The 13th,
Smith e` troppo intellettuale per essere davvero "entertainer".
Infine sono troppe, come sempre, le ballad cantate nel suo solito tono
apocalittico. Insomma, i limiti di sempre.
Standing On A Beach (1986) and
Galore (Elektra, 1997) collect the singles.
Unfortunately the latter offers some terrible remixes instead of the originals.
Stilizzata fino ad essere sterilizzata, la celebrazione pubblica delle sue
ossessioni private in questi ultimi dischi finisce per fornire una caricatura
di se stesso, gelido dandy filosofo solitario alienato.
Anche di fronte ai dischi maggiori, comunque, e` difficile non provare
irritazione: troppi i passaggi monotoni, troppa la mediocrita` del cantante,
troppe le melodie scontate.
Ma, scavando nel tessuto morale e sonoro dei Joy Division, il romanticismo
auto-indulgente di Smith e` comunque approdato a un'ardua forma di poema tonale che,
di pari passo alla dilatazione del tempo drammatico, lascia Smith libero di
scaraventare il suo alto grido di dolore contro un paesaggio che e` soltanto
piu` un sudario.
Il suo merito piu` grande rimane quello di saper trasformare l'angoscia e la
disperazione in spettacoli di massa, il rantolo moribondo del suo canto in un
inno edonistico. Ma troppa della sua musica e` un semplice corollario a un
teorema che non e` mai riuscito a dimostrare.
Smith ha fatto poco di davvero importante e ancor meno di davvero rivoluzionario.
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