Texas-born vocalist and guitarist Jeffrey Lee Pierce formed
Gun Club in Los Angeles,
inspired by both the Cramps' "voodoobilly",
Robert Johnson's Delta blues, Louisiana's swamp rhythms,
Jim Morrison's dark and sensual dialectics, and California's hardcore scene.
The breath-taking parade of Fire Of Love (1981) spun around
demonic rock'n'roll rave-ups, hypnotic and amphetaminic blues-rock shuffles,
and bleak country-rock ballads.
The musical vocabulary of blues, country and rock music was employed to feed
the spasmodic fever that consumed Pierce's mind, a fever that originated from
obscure forces and inner ghosts. While raiding stereotypes and canons,
Pierce and his gang secreted a magical balance of suspense and despair.
Gun Club were more than the expression of nihilist anger: their music embodied
a metaphysical quest for the meaning of life. As he didn't find it, the singer
screamed and the band roared, venturing deeper and deeper into Pierce's
nervous breakdown (which was really the breakdown of an entire generation).
Miami (1982) was a morbid affair that removed most of the violence and
focused on the emotional tension. It was a rural album, whereas its
predecessor had been an urban album (despite its rural roots).
Rather than a call of the wild, it was a psychoanalysis of an alienated
state of mind.
The first album was an earthquake that created new seismic faults: the second
album was an exploration of those seismic faults.
The orgiastic and macabre overtones of the first album permeated the
EP Death Party (1983), but Las Vegas Story (1984), influenced by
second guitarist Kid Congo Powers (Brian Tristan), veered towards a more
pensive and atmospheric tone, the same tone that surfaced over and over
again in Pierce's solo albums, which basically kept repeating the mantra of
a man who was not at peace with himself.
Pierce may have found what he was looking for when he died in 1996.
If English is your first language and you could translate the Italian text, please contact me.
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Jeffrey Lee Pierce (nato a El Paso, Texas) e` forse la figura piu` carismatica del
riflusso verso la tradizione seguito al punk-rock. I suoi Gun Club, formati a
Los Angeles nel 1980, prendono lo spunto dal "voodoobilly" dei
Cramps per addentrarsi nel mondo
misterioso del profondo Sud, dal Delta di Robert Johnson alla giungla della
Florida.
Pierce cantava nel modo cupo e suadente che era stato di Lou Reed e di
Jim Morrison. Il chitarrista Ward Dotson accarezzava la slide come da
manuale del blues. La sezione ritmica incalzava con cadenze da cerimoniali
esoterici.
Il repertorio era spartito fra rock and roll poderosi e demoniaci
(modello New Orleans piuttosto che Chicago), blues-rock ipnotici e amfetaminici
e ballate truci radicate nel clima rurale del Sud.
I testi rigurgitavano di riferimenti al mondo impenetrabile della giungla,
ai suoi riti occulti, alle leggende popolari.
Sull'album Fire Of Love (Ruby, 1981) il complesso trasfiguro`
il blues in scorribande sataniche a velocita` supersonica, in danze selvagge
a ritmo martellante, in orge dionisiache di riff scampanellanti.
L'intero vocabolario sonoro del blues
e` messo al servizio di una febbre convulsa che origina dalle forze oscure e
dai fantasmi interiori che minano la mente di Pierce.
Sex Beat, che a ritmo incalzante e con un riff di accordi in crescendo
scoperchia le pulsioni e frustrazioni piu` oscene, e` il manifesto del
loro thrash-blues porno-horror.
For The Love Of Ivy e` un esercizio di
suspense e di esplosioni hardcore trattenute, nel quale svettano le doti
drammaturgiche di Pierce.
Ghost On The Highway e` una ballata spericolata, che sodomizza la musica
country con la violenza delle gang di strada.
L'apice di foga ed emozione e` forse She`s Like Heroin,
un'epilessi bestiale di punk-rock,
una quadriglia scalmanata che la distorsione continuata della chitarra
violenta senza pieta`, mentre l'urlo compostissimo di Pierce blatera al vento
la sua disperazione erotica.
Sono composizioni sfrenate, sguaiate, smodate prolusioni di
lascivia che giungono al limite del delirium tremens, ma cio` nondimeno capaci
di toccare corde epiche nei toni malvagi del loro incedere.
Il tema titanico di Pierce si distende soprattutto
nel rock and roll ipnotico e martellante di Fire Spirit.
Sempre scolpiti in accelerazioni supersoniche, brani blues come
Black Train (degno dei massimi blues "ferroviari" di tutti i tempi)
e Goodbye Johnny calano il misticismo horror in un habitat primordiale.
L'impeto furibondo dei loro perversi rituali
alimenta l'immaginazione piu` turpe del punk: persi tanto l'anelito anarchico
dei Sex Pistols quanto il dissacrante umorismo dei Cramps, gli impulsi
epidermici del sesso e della morte li sospingono verso ancor piu` pagani
eccessi.
Pierce canta di dannazioni sempre piu` atroci, in una tipica corsa mozzafiato
all'auto-distruzione, non prima di aver affogato le sue libidini nell'
auto-compiacimento dell'orrido, del putrido, dell'infernale.
Pierce confessa la propria disperata impotenza, ma
a tratti il suo lamento e` tanto furente da suonare eroico.
Il sound e` furente e barocco, senza sbavature: ha assimilato e amalgamato
tutto l'arsenale sonoro del Sud in una forma-canzone punk spettacolare e
travolgente.
Le uniche ispirazioni evidenti sono costituite dalle cadenze "swamp" dei blues
di Slim Harpo (Cool Drink Of Water) e dal country-punk dell'orrore di
Chris Dejardins, non a caso produttore del disco e al quale si deve parte del
merito (tutte le canzoni sono piu` veloci di come il complesso le esegue
dal vivo).
Su Miami (Animal, 1982 - Sympathy, 2004), invece,
le galoppate sataniche del gruppo vengono temperate da uno spirito
piu` morboso che omicida. Il clima di horror soprannaturale prevale sulle
pulsioni violente. Il codice genetico del country fa capolino dalla ferocia
punk-rock. Il disco risulta piu` equilibrato, ma al tempo stesso perde qualcosa
della forza dirompente dell'esordio.
A crescere e` soprattutto lui, Pierce.
Il suo canto alla Jim Morrison e` ancor piu` urlato sulle note alte,
quasi stridenti, e produce un effetto che e` un insieme di maestosita` e di
disperazione. La carica di angoscia ne risulta accresciuta e si riversa a
torrenti nelle faglie sismiche del loro blues. E' un tributo da
metropolitano alienato ai solenni misteri della natura secolare e agli uomini
che ne celebrano i riti (la solenne Carry Home, a ritmo voodoo con sfregi
sinistri e sensuali di distorsioni e di slide).
L'atmosfera si accende non appena Pierce intona l'epica nevrotica
di Like Calling Up Thunder o urla disfatto negli spasimi depravati di
Devil In The Woods o delira allucinato nel crescendo caracollante di
Sleeping In Blood City, laddove cioe` il piu` selvaggio "blues-a-billy"
di palude riprende il sopravvento. E allora si
sollevano ventate di incubi, visioni tenebrose che reclamano tributi
di anime e sangue. Quasi africano nel suo sinistro incedere da jungla,
l'alto richiamo di Watermelon Man suggella il rituale piu` occulto,
mentre la piu` canonica cadenza di palude, languidi accordi country e un
coro di pirati pennellano la tesa Texas Serenade.
Le loro lande misteriose incutono soltanto terrore,
non invitano alla catarsi dopo la fuga dalla metropoli,
ma anzi convogliano in elementi irrazionali
(quali i rituali o le leggende) la paura accumulata nei labirinti desolati
delle grandi citta`.
Pierce ha assimilato la drammaturgia sciamanica di Jim Morrison, soprattutto in
Mother Earth, che si riallaccia alle ballate lugubri di
Waiting For The Sun, e l'ha ulteriormente espansa con un repertorio tutto
personale di urla "scivolate" fra una nota e l'altra.
Pierce e` al culmine del suo magnetismo messianico, ma il suo ego squilibrato
gli costa il gruppo, che si sfalda. Una formazione completamente rifatta
registra Death Party (Animal, 1983 - Sympathy, 2004).
Perso per sempre il brio punk dell'esordio, Pierce ne recupera pero`
almeno il piglio luciferino. Il mini-album contiene ballate granitiche e
lineari, suonate all'insegna di un
fatalismo piu` rassegnato. Se prima Pierce aveva inveito contro il mondo, e poi
aveva fatto ricorso agli scongiuri, qui prende coscienza di un maleficio che
non potra` mai essere infranto. Pierce completa la parabola da ribelle a pazzo
a perdente.
In alcuni punti il disco lambisce di nuovo l'epos disperato
di Sex Beat: The Lie erompe fulminea e incalzante con la foga del loro classico
rock and roll di palude, al ritmo vertiginoso che fu dei tamburi voodoo,
e l'attacco brutale di Come Back Jim, hoedown a perdifiato con
schitarrare da blues ferroviario, conclude il disco con pari violenza e fervore
cerimoniale.
Altrove predominano i toni di Miami: la melodia corale di
House On Highland Avenue, degna dei Jefferson piu` elegiaci e con i
soliti sovratoni alla Doors e un piglio apocalittico alla Dylan, dipinge a
toni truci un clima di sconfitta senza possibilita` di riscatto.
Ma dove il tribalismo sfrenato trova la sua piu` compiuta espressione e`
nel macabro rituale di Death Party, lungo delirio di perversioni maniacali e
di freddo nichilismo in un'atmosfera orgiastica e demoniaca,
cantato/urlato con voce alterata e dilaniato dalle dissonanze piu` feroci a
un ritmo pulsante/stordente di palude che ne fa uno dei piu` grandi
blues di tutti i tempi e una delle piu` truci danse macabre della storia della
musica.
I brani evocano lo squallore morale degli slum metropolitani tramite il
richiamo a rituali ancestrali del male.
L'affresco di morte, menzogna e alienazione e` il piu` cupo dai tempi dei
Doors.
In quanto a realismo l'apice viene raggiunto anzi da
Las Vegas Story (Animal, 1984 - Sympathy, 2004),
che all'altra chitarra presenta di nuovo Kid Congo Powers (Brian Tristan),
gia` membro fondatore poi trasferito ai Cramps al posto di Gregory.
Con questo disco la forma della novella psicanalitica raggiunge la perfezione,
in termini di svolgimento drammmatico, se non di propulsione.
Il ritmo si e` fatto piu` lento, meditato e minaccioso, subdolo e angoscioso.
Le sette canzoni di Pierce profumano sempre di tradizioni arcaiche nei ritmi
e nei testi, e la sua voce si avventa fredda e invasata sui versi come
una forza del destino, si avvinghia alle proprie storie con cinismo e
passione liberando i fantasmi che lo assillano, ma l'uomo e` piu` che mai
succube dei fantasmi interiori che ne ossessionano la psiche.
Le confessioni autobiografiche creano un clima opprimente di claustrofobia,
come nel grido lacerante di Give Up The Sun, una "danse macabre"
alla Death Party e personale inno alla fine, oppure di paranoia, come in
Walking With The Beast, su un tema simbolico frequente nel blues, quello
della "bestia" alter ego. Dove la "bestia interiore" di Pierce trionfa e` ancora
nelle storie incalzanti con un elemento di mistero, come
The Stranger In Our Town, in cui il ritmo di palude sposa le inflessioni
piu` amare del suo canto angosciato. Il rumorismo di Powers, fatto di feedback
e torsioni abominevoli, aggiunge un pizzico di demonismo, esemplare nella
disperazione di Moonlight Motel, l'unica degna dei climi infuocati del
primo disco.
Ma, non essendo Pierce uomo da saghe sociali, il disco segna l'inizio della
sua parabola discendente.
Wildweed (Statik, 1985 - Sympathy, 2005), il primo disco solista di Pierce, riduce l'impeto ritmico
del sound e da` piu` spazio al suo universo epico e disperato. Nonostante un
arrangiamento da discoteca (soprattutto il battito pressoche' metronomico
di tutti i brani), l'album e` un'altra potente raccolta di ballate dolenti,
di meditazioni di un loser nel vuoto esistenziale della societa` moderna:
Love And Desperation, la sua sigla, e` un lamento cantato nei toni
veementi tipici del suo blues e contrappuntato da effetti horror di sottofondo,
ma condotto anche da un ipnotico chitarrismo funky che la trasforma in
"ballabile" d'atmosfera alla dark punk;
un sincopato piu` "duro" propelle Love Circus, mentre
From Temptation To You e Midnight Promise, avvolte in sofisticati
intrecci chitarristici e deliqui pianistici, svolgono gli stessi temi nello
stile "acido" dei Television.
Le distorsioni e le urla da "fondo scala" di Sensitivity,
il boogie maschio e dinamitardo di Sex Killer,
il power-blues swingante di Hey Juana
e soprattutto Wildweed, una delle sue galoppate epiche,
meglio rappresentano l'universo morale del suo ego demoniaco.
Pierce si avvicina alla canzone nevrotica di Tom Verlaine e talvolta sembra
proporsi come un John Fogerty in versione tragica e amelodica.
Forte di uno stile ancor piu` ballabile, l'EP Flamingo (Statik, 1986)
si permette di
sperimentare armonie piu` convolute in Get Away e addirittura
dissonanze, elettronica, free jazz in Flamingo.
Jeffrey Lee Pierce, cantante, chitarrista e anima dei Gun Club,
reduce da due dischi solisti tutt'altro che perfetti, entra allora
in una fase turbolenta della sua vita. Gli eccessi di alcool e droga lo hanno
malridotto, i compagni lo hanno abbandonato (forse scettici sulle sue
possibilita` di riprendersi) e l'unica consolazione e` la nuova ragazza,
Romi Mori, una giapponese incontrata a Londra. Per due anni si affida a
programmi di riabilitazione, finche' esce vittorioso dalla sua battaglia
contro l'eroina.
Nel 1987 Pierce e` cosi pronto a riprendere l'avventura dei Gun Club.
Mother Juno (Red Rhino, 1987) si rivela un altro lavoro di classe da parte di uno
dei piu` grandi e suggestivi interpreti moderni del blues.
Se Breaking Hands cerca forse con troppa insistenza il successo delle
classifiche (arrangiata come un brano dei tardi Doors),
il country-punk Bill Bailey, il lungo e lento blues Yellow Eyes,
l'urlo disperato di Hearts, la velenosa quadriglia di My Cousin Kim
proseguono il suo viaggio allucinato attraverso il deserto morale della
societa` moderna, e Thunderhead fa persino rivivere le atmosfere
indemoniate di Fire Of Love.
Il suo crooning ha conservato l'efficacia perversa di un registro gelidamente
psicotico, l'ideale per raccontare storie da thriller;
e il quartetto (con Kid Congo Powers alla chitarra, Mori al basso e l'inglese
Nick Sanderson alla batteria) e` certamente piu` professionale di quello
originale.
Ma Pierce doveva ancora scacciare un altro demone: l'alcool. Forme acute di
ulcera e di epatite lo tengono ancora lontano dalle scene.
Ci vogliono cosi` tre anni perche' Pierce e compagni registrino il seguito:
Pastoral Hide And Seek (Fire, 1990).
Il disco e` il terzo della carriera di Pierce
a deludere le attese, a non incendiare con quel fuoco primordiale che e` il vero
timbro della sua musica. Pierce si adagia invece in ballate malinconiche come
Emily's Changed.
E altrettanto "minore" risulta il successivo Divinity (New Rose, 1991),
con la ballata jazzata Sorrow Knows e il grintoso hardrock di
Black Hole, per quanto arrangiato in maniera surreale da Pierce e
Powers.
Pierce, d'altronde, sta vivendo da esule, in giro per il mondo,
senza una casa, paranoico nei confronti di Los Angeles, dove non osa rimettere
piede per paura di ricadere nelle grinfie dell'eroina. Pierce parte per
l'Estremo Oriente, e vi ritornera` altre due volte in quegli anni.
Nel 1992 le sue condizioni di salute sembrano permettergli un ritorno in
grande stile. L'album Ramblin (Triple X, 1992), a suo nome, e` pero` semplicemente
un omaggio al blues, anche se a svettare sono due brani originali:
Strange In My Heart e soprattutto Go Tell The Mountain, uno dei suoi
capolavori. Il blues sembra avere una funzione catartica sulla sua mente,
gli e` necessario come una medicina.
Lucky Jim (Triple X, 1993), a nome Gun Club, ma senza Congo Powers, e`
un ancor piu` triste e rassegnato lamento di solitudine e incomprensione
(indicativi la title-track, l'Idiot Waltz e l'Anger Blues),
che non bastano il soul Cry To Me e l'"hendrixiana" Ride a redimere.
Anche Powers lo ha lasciato, per formare i Congo Norvell, e adesso Pierce
ha preso in mano la chitarra solista, ripartendo da B.B. King, come un anziano
analfabeta che finalmente decida di terminare le elementari.
Romi Mori al basso e Nick Sanderson
alla batteria costituiscono la sua sezione ritmica preferita, ma anche loro,
svogliati e prevedibili, sembrano la copia sbiadita di quelli di un tempo.
E Bart Van Poppel all'organo Hammond fa, francamente, un po' poco per meritarsi
il titolo di quarto membro del complesso.
Pierce aveva progressivamente perduto la capacita' di scrivere e suonare buona
musica e si era adagiato in un umore di auto-compatimento, che era poi una forma
di auto-idolatrazione.
Mori` di emorragia cerebrale il 31 marzo 1996.
L'album che aveva in programma avrebbe segnato la sua conversione all'hip hop.
Pierce, texano di El Paso corrotto da Los Angeles, maledetto dal blues,
si e` prima perso e poi spento nelle strade di quell'America cinica e
maledetta che aveva cantato con tanta struggente amarezza.
La malvagia incantevole miscela di culture blues, rockabilly, rurale e
punk, avvolta nei tormentati messaggi criptici di Pierce, segna un importante
punto di passaggio dal veemente disgusto dei primi punk a una piu` matura
depressione esistenziale, soprattutto perche' procede nell'esplorazione
dei punti di contatto fra il ritualismo metropolitano e il tribalismo
primitivo, uno dei temi chiave degli anni Ottanta.
I capolavori dei Gun Club, siano ancora reminescenti delle epilessi hardcore
(Sex Beat, She`s Like Heroin, Ghost On The Highway,
Fire Spirit, Thunder, Lie, Come Back Jim,
Moonlight Hotel) o siano blues epici (Black Train, House On
Highland Avenue, Carry Home, Devil In The Woods) o ancora
danse macabre (Death Party, Give Up The Sun, Watermelon Man),
delimitano chiaramente un'epoca dall'altra.
I Gun Club demonizzano il blues cosi` come i Cramps avevano demonizzato il
rockabilly. Allo spirito goliardico dei Cramps si contrappone pero` il
cupo e tragico spleen di Pierce, che fa sul serio cio` che Interior fa per
finta. Il Faust del punk ha davvero venduto l'anima al demonio.
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