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La fase piu` musicale degli Half Japanese continuo` con l'album
Music To Strip By (50 Skidillion Watts, 1987).
La presenza di Kramer accanto
a Jad Fair (il fratello David e` assente) si fa sentire pesantemente: il
sound diventa piu` professionale e al tempo stesso si avvicina al garage-rock
degli anni '60, con Stripping For Cash, My Sordid Past, Salt And Pepper
e soprattutto Colleen ad imitare i 13th Floor Elevator e gli Amboy Dukes
(rubando riff a Baby Please Don't Go e How Many More Times).
Ma il forte di Fair diventa la ballata country, quella solenne e marziale
(Big Mistake, The Last Straw),
cantata e suonata in un tono a meta` fra il serio e il faceto, fino a
diventare un vero e proprio inno nel singolo U.S. Teens Are Spoiled Bums.
The Price Was Right, un blues "scoppiettante" alla Magic Band,
e Diary, un jazz depresso da cocktail lounge, sono gli episodi
centrifughi. Per certi versi e` questa l'opera classica di Fair, quella in
cui culmina la ricerca iniziata con 1/2 Gentlemen.
Da li` ha inizio una rincorsa un po' goffa all'ascoltabilita`. David Fair e
Don Fleming aiutano Jad su Charmed Life (50 Skidillion Watts, 1988),
disco che, gia` registrato nel 1985, si
e` ormai lasciato alle spalle la cacofonia primitivista degli esordi e che
tenta testardamente la carta della "canzone" (riuscendoci almeno in
Penny In The Fountain, Miracles Happen Every Day, e soprattutto nel
trittico Charmed Life, Red Dress, One Million Kisses).
Perde del tutto fascino e mordente The Band That Would Be King
(50 Skidillion Watts, 1989),
che e` al tempo stesso l'opera piu` ambiziosa e la
meno curata della carriera di Fair,
nonostante gli interventi stellari dei tradizionali
aiutanti (l'arrangiatore Kramer e il chitarrista Don Fleming).
Some Things Last A Long Time e Postcard From Far Away sono gli ultimi
classici (minori) di una "testata" che ha scritto alcune delle pagine piu`
bislacche della storia del rock.
Quella degli Half Japanese e` una specie rara di "free music" infantilista,
un capriccio eterogeneo che nello spirito ricorda i primevi di Canterbury
e nella pratica i Velvet Underground regrediti allo stato infantile.
Nasce dall'incrocio fra la cultura dell'aforismo dada-jazz di Trout Mask
Replica e Weasels Ripped My Flesh, il primitivismo da manicomio di un
Wild Man Fisher e l'iper-alienazione dei Teenage Jesus.
Attorno al gruppo si forma un club esclusivo di avanguardisti goliardi
e pasticcioni che amano ricombinarsi in tutte le forme possibili, fra cui
i ballerecci Orthotonics e il super-gruppo dei Between Meals, titolare
di Oh No I Just Knocked Over A Cup Of Coffee
(Iridescence, 1983).
L'EP di Real Cool Time/ What Can I Do/ Monopoly (Overzealous, 1989)
chiude degnamente questa stagione.
Nel frattempo la carriera solista di Jad Fair, paroliere e cantante e vera
mente dell'operazione, che in realta` era iniziata nel 1980 con l'EP
The Zombies Of Mora-Tau (Press), ha riservato maggiori emozioni.
A rivelare l'alter-ego dadaista dell'"half japanese" era stato nel 1983 l'album
Everyone Knew... But Me (Press, 1983), una sorta di rock opera autobiografica
sui propri problemi amorosi. In questa raccolta di 29 piece
dell'assurdo, di cantilene infantili e rumori casuali alla Wild Man Fisher,
culmina il suo esibizionismo amatoriale.
Come sempre in questi casi di estremo pudore ed estrema sincerita`, ne viene
fuori un'opera tenera e fragile, che rivela un personaggio smarrito ed insicuro
quando canta singhiozzando la ballata di Amy, o sgolato come un ubriaco in
Walking With Cindy, accorato in I'm Gonna Come Back To You e
stonato in All My Love e Mil Mascaras. Fuori da quell'umore di soliloquio
affranto si situano sketch da marionette e cartoni animati
(Fish Can Talk), Monster Island, Snake On My Head).
Migliore dal punto di vista strettamente musicale e` Best Wishes
(Incandescence, 1987), registrato fra il 1982 e il 1985, il suo capolavoro
strumentale, con ben 42 aforismi elettronici che spaziano su tutto lo scibile
musicale dal minimalismo all'industriale, dal jazz all'ambientale. Fair
vi infonde il suo humour eccentrico ed eterodosso ricorrendo spesso alla forma
della fanfara. Nell'immenso e immane campionario di timbri, ritmi e trovate
armoniche non si trova un solo brano compiuto, ma si trova una filosofia
di far musica con pochi mezzi e nessuna ambizione, che e` poi il senso ultimo
di tutta l'arte di Fair.
Jad Fair registra con Kramer Roll Out The Barrel (Shimmy Disc, 1988), che, grazie
al controllo del partner (e agli accompagnatori che si porta dietro, da
Fleming a Licht), torna a uno stile di compromesso.
Se Cheerleader Wild Weekend e California sono le composizioni piu`
accessibili,
le soluzioni piu` interessanti sono forse quelle dei soliloqui di Fair:
Fair recita come il Woody Allen piu` alienato in Double For Me,
Den Of Angels, Blind Hope, Best Left Unsaid, contornato da effetti
che riescono a costruire una canzone dove sarebbe tecnicamente impossibile.
Il disco e` limitato soltanto dal fatto che per meta` e` composto di cover.
I due registreranno due anni dopo anche il meno riuscito
The Sound Of Music (Shimmy Disc, 1990), sul quale le musiche sono
tutte di Kramer.
Con Johnston il genio registra invece nel 1989 un'opera senza titolo (per la
50 Skidillion Watts) che unisce i due solipsisti per antonomasia del rock
alternativo in una duplice regressione infantile. Johnston lascia l'impronta
sulle scarne e stralunate narrazioni di I Met Roky Erickson,
I Did Acid With Caroline e What I've Seen.
Al senso di introversione ed insicurezza di Everybody Knew riporta invece
la cantilena infantile di Summertime, scritta da Fair e nel suo mondo di
cartoni animati vive la comica Frankenstein Conquers The World.
I due cantastorie meno titolati del folk moderno fanno molta confusione
e producono poca musica.
E` lui il guru incontrastato del dada-punk, il piu` grande erede dei mentecatti
di strada che cantano accompagnandosi ad una chitarra scordata nel mezzo di
piazze deserte.
La formazione degli ultimi Half Japanese si riunisce attorno a David Fair
sotto lo pseudonimo di Coo Coo Rockin Time e registra nel 1990 l'album
Coo Coo Party Time, dedicato alle musiche del passato.
Jad Fair ritorna all'album completamente solista con
I Like It When You Smile (Paperhouse, 1992)
e poi si lancia in una collaborazione
con i Pastels per i quali si trasforma in crooner vecchio stile.
Fair sembra comunque aver ormai dato il meglio di se'.
Greater Expectations (Bad Alchemy, 1991), forte di ben 45 canzoni,
e` l'appendice a questo programma di radicale "minimalita`".
Fair e` al tempo stesso l'erede dei menestrelli di strada
(Hillbillies) e l'erede degli avanguardisti del futurismo
(nei balletti strumentali che si ispirano alla musica industriale).
Ma il piglio demenziale lo fa spesso prevaricare, finendo per comporre
immondi bailamme (Pajamas e i tanti rap dissonanti) che peraltro
contiene secondo l'ethos punk nell'arco di uno o due minuti.
Quando vuole, Fair sa in realta` scrivere canzoni orecchiabili e cadenzate:
Tracks Of My Tears e` davvero ridotta all'osso, ma a
Outlaw Blues, uno dei suoi capolavori, basta l'accompagnamento
di tamburello e armonia (nella gloriosa tradizione di David Peel).
L'album contiene anche deliziose gag vocali, fra cui la parodia di cantante
francese ubriaco Eiffel Tower.
L'album annovera un grosso bestiario che ossequia elefanti, balene,
leoni, serpenti, nonche' una galleria di brani culinari.
(Nota: le tracce elencate sul CD sono tutte sbagliate).
Degli Half Japanese erano intanto usciti l'album (mediocre)
We Are They Who Ache With Amorous Love (Ralph, 1990), zeppo di cover,
il singolo T For Texas/ Go Go Go Go (Xxoo Fan
Club, 1990), il singolo Twang 1 (Seminal Twang, 1991), la cassetta
4 Four Kids (Ralph, 1991), e finalmente l'album Fire In The Sky
(Paperhouse, 1992), raccolta molto piu` curata e ordinata, anche per il
contributo di Don Fleming, Jason Willett e Gilles Rieder.
I tredici minuti di
Always riassumono i temi sottoculturali delle sue liriche,
dagli UFO al punk-rock.
Drum Straight e il singolo Eye Of The Hurricane sono due
delle sue composizioni piu` buffe.
Gli Half Japanese sembrano morire con il singolo Postcard (Earl, 1993)
e il Greatest Hits (Safe House, 1995),
perche' ormai Fair e` sempre piu` indaffarato su altri fronti.
Jad Fair si nasconde anche dietro lo pseudonimo Jad & Nao, titolare di
Half RObot (Paperhouse, 1993), una raccolta di 75 brevissimi pezzi
che rimanda al disco d'esordio degli Half Japanese.
Willett e Rieder saranno anche co-titolari con Jad Fair di
un album senza titolo (Magaphone, 1995) contenente brevi strumentali
dedicati per lo piu` a film.
A suo nome esce invece un EP 7", Short Songs (Smells Like, 1993)
contenente ben dieci pezzi, naturalmente di una brevita` che piu` lapidaria
non potrebbe essere. E` l'apoteosi del suo infantilismo.
Con i Mosquito (alla batteria Steve Shelley dei Sonic Youth, alla chitarra
Tom Foljahn) registra
un EP con Down, uno split single con Where's Tim, il mini-album
Oh No Not Another Mosquito (Psycho Acoustic Sounds, 1993) e gli album
Time Was (ERL, 1993) e UFO Catcher (Timebomb, 1993).
Su Oh No il genio
non lesina altri paradossi canori (Lost Bird, Why Don't I), ben coadiuvato
da un complesso "progressivo" (Bumpy House Boogie).
Con il fratello David pubblica Best Friends (Vesuvius, 1996), trenta tracce
registrate a casa con le chitarre scordate.
Con Jason Willett suona It's All Good (Megaphone, 1996), non meno
selvativo e astruso.
Per Hot (Safe House, 1995) Jad Fair rispolvera la sigla Half Japanese
e mette in piedi un vero e proprio complesso rock, forse il primo della sua
carriera.
Non solo: sono loro, non Fair, a comporre tutte le musiche. Fair si limita a
scrivere le liriche e a cantarle. Il sound e` cosi` improntato al piu`
selvatico garage-rock, con tinte di Velvet Underground e di new wave.
Il disco si apre anzi con Drum Straight, una scorreria indemoniata a ritmo
epilettico nello stile caotico dei Chrome. Sfrecciano poi
il rock and roll grondante riff epici di Well e Black Fruit, nonche'
il pow-wow intergalattico di Dark Night. Fair cincischia con il
grand guignol di Vampire, ma il complesso lo riporta continuamente sulla
retta via. E` l'album piu` musicale della sua carriera, ma forse anche quello
che meno gli appartiene.
Fair pubblica con gli Shadowy Men il singolo In A Haunted House (Derivative),
altra caricatura dell'horror, e con Steve Shelley dei Sonic Youth il quarto
album della serie Mosquito, Cupid's Fist (Red Note, 1994).
all'insegna di blues e country del principio del secolo.
Anche su Bone Head (Alternative Tentacles, 1997) Fair rispolvera la sigla
Half Japanese ma in realta` si limita a recitare le sue storie sulle musiche
di John Sluggett e Gilles Rieder. Le musiche sono peraltro di prima qualita`,
oscillando fra il boogie sudista di Monkey Hand e la disco-music dissonante di
Sometimes. Fair blatera al vento imitando Lou Reed nel fatalismo di
A Night Like This e Patti Smith nel delirio di Zombie Eye. Eccelle forse
nella canzone piu` improbabile, l'ode amorosa di Song Of Joy.
Visto che Fair non e` un gran che` come poeta, il progetto si rivela del tutto
inutile, ma come i trenta album che l'hanno preceduto.
Come sempre, molti brani sono minuscoli (ventuno in totale) e qualcuno non
si capisce bene cosa dovesse essere.
Fair e` un genio approssimativo, ma pur sempre un genio.
Nonostante la serieta` con cui persegue il nuovo corso degli Half Japanese,
Fair e` ancora intento a tremila collaborazioni. Con DQE (alias Grace Braun)
incide un album (Dark Beloved Cloud, 1996), forte di gaffe come Alice Friday,
e con Shapir-O'Rama registra We Are The Rage (Avant, 1997), una delle
opere piu` sperimentali di questo periodo.
Ben 64 dei 73 minuti di Heaven Sent
(Emperor Jones, 1997) sono accreditati al primo brano,
la title-track, che diventa pertanto ufficialmente la piu` lunga canzone rock
di tutti i tempi. Jad Fair la recita con nonchalance alla Lou Reed, su un
leggero accompagnamento strumentale del suo gruppo (titolare pertanto delle
musiche, come sui due dischi precedenti).
Il tour de force vocale di Fair si protrae
senza grandi eventi di rilievo: una distorsione di chitarra in lenta ma costante
metamorfosi, un ritmo dinoccolato di basso e batteria e ogni tanto un sussulto
di voci e rumori "trovati" (forse a mo' di coro) o un soffio di elettronica.
E` il paesaggio ideale per mettere in scena questo folle soliloquio e per
esaltare al massimo il tono disincantato di Fair. A venti minuti dalla fine
il jamming prende corpo e negli ultimi quindici minuti si concede qualche
licenza poetica. Il risultato e` davvero sorprendente: Fair non ha mai
un attimo di cedimento e quel progressivo coagularsi dell'improvvisazione
strumentale ha un suo fascino che complementa perfettamente la storia.
Il disco rifonda il genere di "spoken word".
Le altre nove tracce? Non fatevi illusioni: sono altrettanti remix (di un
minuto circa ciascuno) della stessa canzone. Era difficile riuscirci, ma
Fair e` riuscito a superare se stesso in fatto di bizzarria.
##### Fra i loro classici King Kong, Movin' On Up, Firecracker
Love At First Sight
Horseshoes
That Could Be The Night
Le opere di Fair basterebbero a tener impegnato a tempo pieno un critico
musicale e vengono assorbite con una certa lentezza dall'ambiente, ma spesso
sono state influenti, oltre che innovative.
Erede dei mentecatti di strada che cantano accompagnandosi ad una chitarra
scordata nel mezzo di piazze deserte, Jad Fair, il genio isolato del Maryland,
e` il piu` autentico
esponente dello spirito "do it yourself" che emerse con la new wave e
simboleggia un po' la bandiera del rock alternativo. Il suo registro
(una sorta di Gordon Gano senza cognizioni musicali o di Jonathan Richman senza
la parodia) e` una registro di panico, che esprime il terrore di vivere
dell'adolescente medio della sua generazione.
Sing Your Little Babies To Sleep (Ubik, 1998)
e` un disco per bambini composto dai due fratelli Fair: 26 tracce intitolate
con altrettante lettere dell'alfabeto e dedicate ad altrettanti mostri.
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