- Dalla pagina sugli Half Japanese di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

Dopo la parentesi di gotico al vetriolo dell'EP Horrible (Press, 1983), in particolare Thing With A Hook, la cassetta dal vivo 100000000000 Watts (Calypso Now, 1984), la band pubblicò un disco radicale, dedicato ai Velvet Underground ma reso ancor più psichedelico da devastanti spartiti per chitarra e sax, Our Solar System (Iridescence, 1984 - Drag City, 2000).
Ogni brano è interpretato da una formazione diversa, dal classico trio rock fino a piccole formazioni da camera. La musica è ancora frammentata e suonata con disinvoltura, ma mostra progressi verso la sanità mentale. La martellante strumentale voodoobilly Dance When I Say Dance è il pezzo forte, ma David Fair contribuisce con una copia di Bo Diddley (Girl Athletes), una copia dei Rolling Stones (Fire To Burn) e la sognante e dissonante ESP. Questo è principalmente l'album di David.

Sing No Evil (Iridescenza, 1985 - Drag City, 2000) è la loro seconda pietra miliare, un album infinitamente più musicale dei precedenti, suonato da 13 musicisti professionisti e che vanta melodie, ritmi e arrangiamenti autentici. Firecracker Firecracker è uno di quei temi mostruosi dei Fleshtones, insieme al boogie di Jonh Lee Hooker, una banda musicale di New Orleans e un pow-wow indiano. Il martellante White Light White Heat dei Velvet Underground costituisce la base di On The One Hand, mentre i fiati free-jazz ne impreziosiscono la superficie. Nicole Told Me è garage-rock spinto da una linea di basso killer su strimpellate e percussioni a fuoco rapido e un baccanale demenziale di fiati. Le epiche melodie sax dei Fleshtones permeano molte altre tracce, in particolare Too Bad About Elizabeth. Queste canzoni si collocano tra i capolavori di Jad Fair. Mostrano il suo genio folle e spiritoso meglio di qualsiasi sinfonia.
Fair non può resistere alla tentazione di diffondersi con Acupuncture, una copia dei Rolling Stones dell'era di Exile, e Sing No Evil, un fumetto d'avanguardia sketch e Double Trouble, un ritorno alla frenesia amatoriale degli esordi. Ma nel complesso Jad Fair è in ottima forma e, tanto per cambiare, non ha paura di suonare.


(Testo originale in italiano di Piero Scaruffi)

La fase piu` musicale degli Half Japanese continuo` con l'album Music To Strip By (50 Skidillion Watts, 1987). La presenza di Kramer accanto a Jad Fair (il fratello David e` assente) si fa sentire pesantemente: il sound diventa piu` professionale e al tempo stesso si avvicina al garage-rock degli anni '60, con Stripping For Cash, My Sordid Past, Salt And Pepper e soprattutto Colleen ad imitare i 13th Floor Elevator e gli Amboy Dukes (rubando riff a Baby Please Don't Go e How Many More Times). Ma il forte di Fair diventa la ballata country, quella solenne e marziale (Big Mistake, The Last Straw), cantata e suonata in un tono a meta` fra il serio e il faceto, fino a diventare un vero e proprio inno nel singolo U.S. Teens Are Spoiled Bums. The Price Was Right, un blues "scoppiettante" alla Magic Band, e Diary, un jazz depresso da cocktail lounge, sono gli episodi centrifughi. Per certi versi e` questa l'opera classica di Fair, quella in cui culmina la ricerca iniziata con 1/2 Gentlemen.

Da li` ha inizio una rincorsa un po' goffa all'ascoltabilita`. David Fair e Don Fleming aiutano Jad su Charmed Life (50 Skidillion Watts, 1988), disco che, gia` registrato nel 1985, si e` ormai lasciato alle spalle la cacofonia primitivista degli esordi e che tenta testardamente la carta della "canzone" (riuscendoci almeno in Penny In The Fountain, Miracles Happen Every Day, e soprattutto nel trittico Charmed Life, Red Dress, One Million Kisses).

Perde del tutto fascino e mordente The Band That Would Be King (50 Skidillion Watts, 1989), che e` al tempo stesso l'opera piu` ambiziosa e la meno curata della carriera di Fair, nonostante gli interventi stellari dei tradizionali aiutanti (l'arrangiatore Kramer e il chitarrista Don Fleming). Some Things Last A Long Time e Postcard From Far Away sono gli ultimi classici (minori) di una "testata" che ha scritto alcune delle pagine piu` bislacche della storia del rock.

Quella degli Half Japanese e` una specie rara di "free music" infantilista, un capriccio eterogeneo che nello spirito ricorda i primevi di Canterbury e nella pratica i Velvet Underground regrediti allo stato infantile. Nasce dall'incrocio fra la cultura dell'aforismo dada-jazz di Trout Mask Replica e Weasels Ripped My Flesh, il primitivismo da manicomio di un Wild Man Fisher e l'iper-alienazione dei Teenage Jesus.

Attorno al gruppo si forma un club esclusivo di avanguardisti goliardi e pasticcioni che amano ricombinarsi in tutte le forme possibili, fra cui i ballerecci Orthotonics e il super-gruppo dei Between Meals, titolare di Oh No I Just Knocked Over A Cup Of Coffee (Iridescence, 1983). L'EP di Real Cool Time/ What Can I Do/ Monopoly (Overzealous, 1989) chiude degnamente questa stagione.

Nel frattempo la carriera solista di Jad Fair, paroliere e cantante e vera mente dell'operazione, che in realta` era iniziata nel 1980 con l'EP The Zombies Of Mora-Tau (Press), ha riservato maggiori emozioni. A rivelare l'alter-ego dadaista dell'"half japanese" era stato nel 1983 l'album Everyone Knew... But Me (Press, 1983), una sorta di rock opera autobiografica sui propri problemi amorosi. In questa raccolta di 29 piece dell'assurdo, di cantilene infantili e rumori casuali alla Wild Man Fisher, culmina il suo esibizionismo amatoriale. Come sempre in questi casi di estremo pudore ed estrema sincerita`, ne viene fuori un'opera tenera e fragile, che rivela un personaggio smarrito ed insicuro quando canta singhiozzando la ballata di Amy, o sgolato come un ubriaco in Walking With Cindy, accorato in I'm Gonna Come Back To You e stonato in All My Love e Mil Mascaras. Fuori da quell'umore di soliloquio affranto si situano sketch da marionette e cartoni animati (Fish Can Talk), Monster Island, Snake On My Head).

Migliore dal punto di vista strettamente musicale e` Best Wishes (Incandescence, 1987), registrato fra il 1982 e il 1985, il suo capolavoro strumentale, con ben 42 aforismi elettronici che spaziano su tutto lo scibile musicale dal minimalismo all'industriale, dal jazz all'ambientale. Fair vi infonde il suo humour eccentrico ed eterodosso ricorrendo spesso alla forma della fanfara. Nell'immenso e immane campionario di timbri, ritmi e trovate armoniche non si trova un solo brano compiuto, ma si trova una filosofia di far musica con pochi mezzi e nessuna ambizione, che e` poi il senso ultimo di tutta l'arte di Fair.

Jad Fair registra con Kramer Roll Out The Barrel (Shimmy Disc, 1988), che, grazie al controllo del partner (e agli accompagnatori che si porta dietro, da Fleming a Licht), torna a uno stile di compromesso. Se Cheerleader Wild Weekend e California sono le composizioni piu` accessibili, le soluzioni piu` interessanti sono forse quelle dei soliloqui di Fair: Fair recita come il Woody Allen piu` alienato in Double For Me, Den Of Angels, Blind Hope, Best Left Unsaid, contornato da effetti che riescono a costruire una canzone dove sarebbe tecnicamente impossibile. Il disco e` limitato soltanto dal fatto che per meta` e` composto di cover.

I due registreranno due anni dopo anche il meno riuscito The Sound Of Music (Shimmy Disc, 1990), sul quale le musiche sono tutte di Kramer.

Con Johnston il genio registra invece nel 1989 un'opera senza titolo (per la 50 Skidillion Watts) che unisce i due solipsisti per antonomasia del rock alternativo in una duplice regressione infantile. Johnston lascia l'impronta sulle scarne e stralunate narrazioni di I Met Roky Erickson, I Did Acid With Caroline e What I've Seen. Al senso di introversione ed insicurezza di Everybody Knew riporta invece la cantilena infantile di Summertime, scritta da Fair e nel suo mondo di cartoni animati vive la comica Frankenstein Conquers The World. I due cantastorie meno titolati del folk moderno fanno molta confusione e producono poca musica.

E` lui il guru incontrastato del dada-punk, il piu` grande erede dei mentecatti di strada che cantano accompagnandosi ad una chitarra scordata nel mezzo di piazze deserte.

La formazione degli ultimi Half Japanese si riunisce attorno a David Fair sotto lo pseudonimo di Coo Coo Rockin Time e registra nel 1990 l'album Coo Coo Party Time, dedicato alle musiche del passato.

Jad Fair ritorna all'album completamente solista con I Like It When You Smile (Paperhouse, 1992) e poi si lancia in una collaborazione con i Pastels per i quali si trasforma in crooner vecchio stile. Fair sembra comunque aver ormai dato il meglio di se'.

Greater Expectations (Bad Alchemy, 1991), forte di ben 45 canzoni, e` l'appendice a questo programma di radicale "minimalita`". Fair e` al tempo stesso l'erede dei menestrelli di strada (Hillbillies) e l'erede degli avanguardisti del futurismo (nei balletti strumentali che si ispirano alla musica industriale). Ma il piglio demenziale lo fa spesso prevaricare, finendo per comporre immondi bailamme (Pajamas e i tanti rap dissonanti) che peraltro contiene secondo l'ethos punk nell'arco di uno o due minuti. Quando vuole, Fair sa in realta` scrivere canzoni orecchiabili e cadenzate: Tracks Of My Tears e` davvero ridotta all'osso, ma a Outlaw Blues, uno dei suoi capolavori, basta l'accompagnamento di tamburello e armonia (nella gloriosa tradizione di David Peel). L'album contiene anche deliziose gag vocali, fra cui la parodia di cantante francese ubriaco Eiffel Tower. L'album annovera un grosso bestiario che ossequia elefanti, balene, leoni, serpenti, nonche' una galleria di brani culinari. (Nota: le tracce elencate sul CD sono tutte sbagliate).

Degli Half Japanese erano intanto usciti l'album (mediocre) We Are They Who Ache With Amorous Love (Ralph, 1990), zeppo di cover, il singolo T For Texas/ Go Go Go Go (Xxoo Fan Club, 1990), il singolo Twang 1 (Seminal Twang, 1991), la cassetta 4 Four Kids (Ralph, 1991), e finalmente l'album Fire In The Sky (Paperhouse, 1992), raccolta molto piu` curata e ordinata, anche per il contributo di Don Fleming, Jason Willett e Gilles Rieder. I tredici minuti di Always riassumono i temi sottoculturali delle sue liriche, dagli UFO al punk-rock. Drum Straight e il singolo Eye Of The Hurricane sono due delle sue composizioni piu` buffe. Gli Half Japanese sembrano morire con il singolo Postcard (Earl, 1993) e il Greatest Hits (Safe House, 1995), perche' ormai Fair e` sempre piu` indaffarato su altri fronti.

Jad Fair si nasconde anche dietro lo pseudonimo Jad & Nao, titolare di Half RObot (Paperhouse, 1993), una raccolta di 75 brevissimi pezzi che rimanda al disco d'esordio degli Half Japanese.

Willett e Rieder saranno anche co-titolari con Jad Fair di un album senza titolo (Magaphone, 1995) contenente brevi strumentali dedicati per lo piu` a film.

A suo nome esce invece un EP 7", Short Songs (Smells Like, 1993) contenente ben dieci pezzi, naturalmente di una brevita` che piu` lapidaria non potrebbe essere. E` l'apoteosi del suo infantilismo.

Con i Mosquito (alla batteria Steve Shelley dei Sonic Youth, alla chitarra Tom Foljahn) registra un EP con Down, uno split single con Where's Tim, il mini-album Oh No Not Another Mosquito (Psycho Acoustic Sounds, 1993) e gli album Time Was (ERL, 1993) e UFO Catcher (Timebomb, 1993). Su Oh No il genio non lesina altri paradossi canori (Lost Bird, Why Don't I), ben coadiuvato da un complesso "progressivo" (Bumpy House Boogie).

Con il fratello David pubblica Best Friends (Vesuvius, 1996), trenta tracce registrate a casa con le chitarre scordate. Con Jason Willett suona It's All Good (Megaphone, 1996), non meno selvativo e astruso.

Per Hot (Safe House, 1995) Jad Fair rispolvera la sigla Half Japanese e mette in piedi un vero e proprio complesso rock, forse il primo della sua carriera. Non solo: sono loro, non Fair, a comporre tutte le musiche. Fair si limita a scrivere le liriche e a cantarle. Il sound e` cosi` improntato al piu` selvatico garage-rock, con tinte di Velvet Underground e di new wave. Il disco si apre anzi con Drum Straight, una scorreria indemoniata a ritmo epilettico nello stile caotico dei Chrome. Sfrecciano poi il rock and roll grondante riff epici di Well e Black Fruit, nonche' il pow-wow intergalattico di Dark Night. Fair cincischia con il grand guignol di Vampire, ma il complesso lo riporta continuamente sulla retta via. E` l'album piu` musicale della sua carriera, ma forse anche quello che meno gli appartiene.

Fair pubblica con gli Shadowy Men il singolo In A Haunted House (Derivative), altra caricatura dell'horror, e con Steve Shelley dei Sonic Youth il quarto album della serie Mosquito, Cupid's Fist (Red Note, 1994). all'insegna di blues e country del principio del secolo.

Anche su Bone Head (Alternative Tentacles, 1997) Fair rispolvera la sigla Half Japanese ma in realta` si limita a recitare le sue storie sulle musiche di John Sluggett e Gilles Rieder. Le musiche sono peraltro di prima qualita`, oscillando fra il boogie sudista di Monkey Hand e la disco-music dissonante di Sometimes. Fair blatera al vento imitando Lou Reed nel fatalismo di A Night Like This e Patti Smith nel delirio di Zombie Eye. Eccelle forse nella canzone piu` improbabile, l'ode amorosa di Song Of Joy. Visto che Fair non e` un gran che` come poeta, il progetto si rivela del tutto inutile, ma come i trenta album che l'hanno preceduto. Come sempre, molti brani sono minuscoli (ventuno in totale) e qualcuno non si capisce bene cosa dovesse essere. Fair e` un genio approssimativo, ma pur sempre un genio.

Nonostante la serieta` con cui persegue il nuovo corso degli Half Japanese, Fair e` ancora intento a tremila collaborazioni. Con DQE (alias Grace Braun) incide un album (Dark Beloved Cloud, 1996), forte di gaffe come Alice Friday, e con Shapir-O'Rama registra We Are The Rage (Avant, 1997), una delle opere piu` sperimentali di questo periodo.

Ben 64 dei 73 minuti di Heaven Sent (Emperor Jones, 1997) sono accreditati al primo brano, la title-track, che diventa pertanto ufficialmente la piu` lunga canzone rock di tutti i tempi. Jad Fair la recita con nonchalance alla Lou Reed, su un leggero accompagnamento strumentale del suo gruppo (titolare pertanto delle musiche, come sui due dischi precedenti). Il tour de force vocale di Fair si protrae senza grandi eventi di rilievo: una distorsione di chitarra in lenta ma costante metamorfosi, un ritmo dinoccolato di basso e batteria e ogni tanto un sussulto di voci e rumori "trovati" (forse a mo' di coro) o un soffio di elettronica. E` il paesaggio ideale per mettere in scena questo folle soliloquio e per esaltare al massimo il tono disincantato di Fair. A venti minuti dalla fine il jamming prende corpo e negli ultimi quindici minuti si concede qualche licenza poetica. Il risultato e` davvero sorprendente: Fair non ha mai un attimo di cedimento e quel progressivo coagularsi dell'improvvisazione strumentale ha un suo fascino che complementa perfettamente la storia. Il disco rifonda il genere di "spoken word". Le altre nove tracce? Non fatevi illusioni: sono altrettanti remix (di un minuto circa ciascuno) della stessa canzone. Era difficile riuscirci, ma Fair e` riuscito a superare se stesso in fatto di bizzarria.

Le opere di Fair basterebbero a tener impegnato a tempo pieno un critico musicale e vengono assorbite con una certa lentezza dall'ambiente, ma spesso sono state influenti, oltre che innovative.
Erede dei mentecatti di strada che cantano accompagnandosi ad una chitarra scordata nel mezzo di piazze deserte, Jad Fair, il genio isolato del Maryland, e` il piu` autentico esponente dello spirito "do it yourself" che emerse con la new wave e simboleggia un po' la bandiera del rock alternativo. Il suo registro (una sorta di Gordon Gano senza cognizioni musicali o di Jonathan Richman senza la parodia) e` una registro di panico, che esprime il terrore di vivere dell'adolescente medio della sua generazione.

Sing Your Little Babies To Sleep (Ubik, 1998) e` un disco per bambini composto dai due fratelli Fair: 26 tracce intitolate con altrettante lettere dell'alfabeto e dedicate ad altrettanti mostri.


(Tradotto da Stefano Iardella)

Strange But True (Matador, 1999), registrato con Yo La Tengo, contiene 22 brevi aforismi ispirati ad assurdi titoli scandalistici. Non è insolito che Jad Fair dia il meglio di sé quando è più frivolo.

Enjoyable Songs (Alternative Tentacles, 1999) è una collaborazione con il batterista e tastierista Jason Willett che unisce la musica più artistica e rumorosa di Jad Fair con le sue produzione magggiormente orientata al formato canzone.
L'album è un degno seguito di It's All Good del 1996.

D'altra parte, Hello (Alternative Tentacles, 2001) degli Half Japanese è un'enorme delusione. Jad Fair ora suona pop lo-fi sulla scia dei Guided By Voices ma intriso degli ipnotici raga dei Velvet Underground. Le sue canzoni sono favole innocue che difficilmente possiedono la frenesia demoniaca dei suoi primi lavori.

The Lucky Sperms (Jagjaguwar, 2001) è una nuova collaborazione con Daniel Johnston.

Words of Wisdom (Alternative Tentacles, 2002) è una collaborazione con i Teenage Fanclub.

The Monarchs è un super-gruppo con Jad Fair e amici principalmente dei Birdsongs Of Mesozoic (i tastieristi Erik Lindgren e Rock Scott, i chitarristi Roger Miller, Glenn Jones e Martin Swope, ecc.).

Honey Bee (registrato tra il 1995 e il 1997) e The Mighty Hypnotic Eye sono collaborazioni lo-fi tra Jad Fair e Jason Willett.

Superfine (Public Eyesore, 2003) è la terza collaborazione tra Jad Fair e Jason Willett, ma Fair è soltanto il cantante delle canzoni di Willett. Ed è una raccolta di 155 canzoni.
Tuttavia quantità non vuol dire qualità: è uno dei peggiori mai assemblati.


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