Raybeats


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Guitar Beat (1981), 7/10
Harris & Quine: Escape (1981), 7/10
It's Only A Movie (1983), 6.5/10
It Happened One Night (1982), 6/10
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Summary
A phenomenal post-modernist attack to the tradition was carried out by the Raybeats, formed by former members of the Contortions and possibly the least conventional of all revival bands. The brilliant musicians gave new meaning to the classic sounds of rockabilly guitar, Farfisa organ and "yakety" saxophone. The tracks on Guitar Beat (1981) were lattices of atonal, tribal and discordant sounds that simulated conventional Sixties songs. An erudite appendix to that skewed program was Escape (1981), recorded by Raybeats' guitarist Jody Harris and Richard Hell's guitarist Robert Quine.
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Il chitarrista Jody Harris batte i locali metropolitani dell'avanguardia rock fin dalla meta` degli anni '70, quando comanda un manipolo di disperati, fra cui l'imberbe James Chance, raccolti sotto il nome di Screws. Passato come Contortions (con il bassista George Scott e il batterista Don Christensen) per i trionfi del No New York, e dopo aver assistito l'isterico sassofonista per un altro paio d'anni, ha l'idea di fondare un complesso di rock strumentale sui generis.

Nel frattempo (1980) Scott (alias Jack Ruby) aveva aiutato Lydia Lunch a registrare Queen Of Siam, con Pat Irwin al sax (praticamente co-autore del disco) e Robert Quine alla chitarra (l'ex chitarrista di Richard Hell che era stato anche produttore per i Teenage Jesus). Harris raccoglie questa manica di paladini (Scott, Irwin e Christensen) e insieme registrano con il nome di Raybeats un disco puramente strumentale che vale sia come manifesto personale di Harris sul nuovo chitarrismo negativo (che rivede nell'ottica delle avanguardie i twang secolari di Link Wray, Hank Marvin e Duan Eddy) sia come geniale rivisitazione della civilta` del surf.

La musica di Guitar Beat (Don't Fall Off The Mountain, 1981) costituisce uno dei vertici della generazione "no". Christensen impone continui cambiamenti di ritmo alla chitarra volante di Harris, veloce e impeccabile nei suoi interventi-contorsioni. I ritmi ossessivamente dejavu, sostenuti da un Farfisa rilucente e da un "yakety sax" ridanciano, sono guastati da dosati intercalare di dissonanze e minimalismi. E' una pratica narcissistica di mini-collage che, dal rhythm and blues torrido e tribale di Tight Turn al crescendo distruttivo del samba International Operator, passando per i duetti di Searching fra una chitarra surf-fiammeggiante e una chitarra stridente atonale, dipinge a tinte surreali la gloriosa civilta` del fun che fu. I barriti di Irwin trasudano accorata nostalgia, ma le tempeste percussive di Christensen e le iterazioni meccaniche straniano il programma riportandolo nell'ambito della nevrosi piu` acuta.
Alle chiare riprese di stereotipi (il surf epico alla Morricone di Guitar Beat e il rilassato easy listening di Holiday In Spain), culminanti nei ghirigori psichedelici di Big Black Sneakers e nel suo struggente volo organistico, fanno eco illuminanti contorsionismi come Tone Zone, marziana e frenetica petulanza di elettronica al ritmo di un tribalismo glaciale, e Piranha Salad, incubo surreale in cui si trasmigra dall'Arabia alla discoteca, incantando serpenti e stordendo teenager, attraverso assoli sovrapposti di sax, brusche accelerazioni di batteria accoppiate a pulsazioni elettroniche, feedback chitarristici, "obbligati" infuocati alla Shepp e ritmi caraibici.

Su It's Only A Movie (Shanachie, 1983) David Hofstra al basso (subentrato dopo la morte di Scott) imprime una pulsazione funk, Christensen amplia l'arsenale percussivo in chiave "disco", Irwin si cimenta al synth. Il rockabilly alienato di Sad Little Caper e il jazz-blues sgangherato di Buddy Lonesome coesistono cosi` con la monocorde disco-cibernetica di Instant Twist e l'eccentrica disco-psichedelia di Doin' The Dishes. Il sound si assesta su binari piu` "creativi", in una sorta di jam sperimentale di musica funk (The Big Country), e rivela tutta la malinconia e il pessimismo di fondo del loro revival. Prosciugati i riff epidermici e le melodie da spiaggia, quel che rimane e` un sound anemico.

I farnetici stridenti delle chitarre, quando le vetriolate dell'una collidono contro il sordo viscerale riff ostentato dall'altra, vomitano qualcosa che non e` psichedelia, non e` revival, non e` avanguardia, ma e` al tempo stesso memore di tutto.

Harris mette anche su con Robert Quine un duo chitarristico (Stratocaster) che, servendosi opportunamente delle percussioni elettroniche, divaga magistralmente in materia di elettro-disco. Escape (Lust, 1981) e` suddiviso in cinque lunghi brani strumentali che formulano teoria e prassi del virtuosismo chitarristico in epoca "disco". Flagpole Jitters e` il tour de force del duo, un baccanale di scordature metalliche e trilli maniacali, vibrazioni a velocita` supersonica e iterazioni minimaliste, miagolii para-violinistici e strimpelli da sitar. Il campionario comprende anche muzak tropicale (Don't Throw That Knife ) e acid-rock liofilizzato (Up In Daisy's Penthouse). A dominare il disco sono pero` i riff industriali di Termites Of 1938, deliziosa piece surreale di una chitarra che mima le mandibole di un esercito di termiti, mentre l'altra vibra stoccate e fendenti a casaccio, e l'effervescente rockabilly di Pardon My Clutch, gli ultimi volteggi mozzafiato della chitarra aguzza e deliziosamente "antiquata" di Harris e di quella piatta irreversibilmente introversa di Quine (un mugugno vibrato basso, quasi da fisarmonica o da sitar, che ripete al ralenti le stornellate della partner), un nostalgico flash sulle sale da ballo di vent'anni prima. Il trucco di registrare le chitarre e poi riprodurle a velocita` doppia in modo da stravolgerne le qualita` ritmiche, e la tecnica dell'eseguire senza variare la parte armonica consentono di sviluppare a ruota libera una quantita` sorprendente di idee musicali.

Escape, nella sua insistita forma di musica da camera per due chitarre, basso e batteria elettronica, risulta un grottesco summa di stili, da Hendrix a Garcia, da Santana al jazz-rock, dall'heavy metal all'atonale, un defile` di travestimenti dello strumento, da mandolino, da organo, da violino, da fisarmonica, uno special per comico e spalla, durante il quale si parodiano i numeri classici del varieta` rock.

Lo stesso gioco di sovrapposizioni da` origine a It Happened One Night (Press, 1982) dei Raybeats, dove Harris e` contornato da un batterista (Christensen) e un bassista (Hofstra), e il suo virtuosismo si giova del contrappunto timbricamente deforme di un'altra chitarra (pre-registrata). L'intreccio fluente e swingante, l'eleganza formale dei cammini paralleli, l'impeccabile tocco "sixties", arrischiano a questo punto il manierismo. Il pop da spiaggia della title-track, sferzato da feedback "hendrixiani", lo swing concitato di Fairly Modern, farcito di dissonanze, il rockabilly di After Hours, con attacchi alla Chuck Berry, il rhythm and blues strascicato di You Better Read This, e le due composizioni piu` lunghe, la jam psichedelica My Uncle Bill e lo stralunato jazz-rock per glissando di Coal Black Mamas hanno ormai l'aria di divertimenti passeggeri, per quanto impeccabili.

Figlio del suo secolo nelle convulsioni nevrotiche che affliggono ogni suo accordo, Harris e` il piu` geniale re-inventore del sound chitarristico dei Sixties. La sua arte sara` purtroppo oscurata dai tanti complessi oleografici del revival psichedelico.

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