Afghan Whigs


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Big Top Halloween, 6.5/10
Up In It, 6.5/10
Congregation, 6/10
Gentlemen, 7/10
Black Love, 5/10
1965, 6/10
Twilight Singers: Twilight , 5/10
Twilight Singers: Plays Blackberry Belle (2004), 5.5/10
Twilight Singers: Powder Burns (2006), 5/10
Do to the Beast (2014), 5/10
In Spades (2017), 4.5/10
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Summary.
In Ohio, Greg Dulli's Afghan Whigs, who had begun as punks with Big Top Halloween (1988) and pseudo-grunge rockers with Up In It (1990), an abrasive blend of Replacements and Dinosaur Jr, rediscovered soul music and the rhythm'n'blues ballad on Congregation (1992), a calmer and catchier collection. Despite the sell-out, Gentlemen (1993) was not only meticulously well-crafted but also Dulli's most sinister and disturbing confession.
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Formati nel 1986 a Cincinnati, nell'Ohio, dal giovane Greg Dulli, un cantante che vanta un registro e un portamento canori assai simili a quelli di Paul Westerberg, con in piu` qualche inflessione da arcaico shouter del rhythm and blues, gli Afghan Whigs emersero prepotentemente con il primo album, Big Top Halloween (Ultrasuede, 1988), una raccolta di tornado armonici che sintetizzano tutta la violenza repressa del rock dell'Ohio. Il singolo I Am The Sticks comincio` invece ad attenuare l'impeto del loro sound e a mettere in luce le tinte soul.

Fu quella la direttrice di Up In It (SubPop, 1990). Se a tratti gli Afghan Whigs suonano ancora come un incrocio di Replacements e Dinosaur Jr precipitato in una soluzione di acido solforico (Hated, forse il capolavoro), se indugiano senza pieta` nei loro infernali rock and roll (Southpaw), il nuovo modus vivendi e` all'insegna di un rumore piu` controllato. Cio` non toglie che, come dimostrano Retarded e I Know Your Little Secret, le loro ballate siano ancora le piu` elettriche e disperate.
Titolari di un bestiale "voodoo-grunge" (Amphetamines And Coffee), gli Afghan Whigs riescono ad esprimersi con altrettanta feroce disinvoltura in White Trash Party, che e` una sorta di freneticissimo funk, e nel blues "beefheartiano" di Son Of The South. Che nel loro sound si annidi ancora una violenza animalesca e` dimostrato anche dal singolo Sister Brother e dal relativo video (censurato).

Congregation (SubPop, 1992), paga pero` lo scotto della conversione al soul bianco. L'album, al confronto dei precedenti, e` sterile e banale. Elegie come Turn On The Water aggiornano il verbo di Mascis alla maturita` di Westerberg, ma con troppo poco nerbo. Le confessioni autobiografiche di brani come l'accorata Conjure Me e Dedicate It costituiscono certamente un ritratto inquietante della personalita` contorta di Dulli, ma hanno poco di originale, situandosi a meta` strada fra diversi generi di ballata confessionale. I'm Her Slave e Miles Iz Ded, i brani piu` sperimentali, sono per adesso degli episodi periferici.

Sembra stonare l'EP Uptown Avondale (Subpop, 1993), dedicato a cover di classici della soul music.

E` quello invece il nuovo corso di Dulli, come dimostra Gentlemen (Elektra, 1993), semplicemente meglio arrangiato (coristi, mellotron, violoncello), fino all'apice barocco rappresentato dallo strumentale Brother Woodrow. Be Sweet, Debonair (con forte strimpellio funky di chitarra), e la desolata My Curse (cantata da Marcy Mays degli Scrawl) hanno in effetti un potere suggestivo che trascende le classi sociali, il sesso e le eta'; ma l'attrazione maggiore sembrano essere le fantasie masochiste del giovane dandy di Cincinnati.
La frenetica Now You Know trabocca di astio ("now I can pimp what's left of this wreck on you"), e in Fountain And Fairfax viene a galla il Dulli sardonico e pervertito, l'imbonitore che nella title-track declama ai quattro venti il suo fatale destino, quello che delira nel crescendo di What Jail Is Like fino a strillare con un'intensita` da opera.
E` l'album piu` cupo di Dulli, quasi un'antitesi di tutto cio` che il rock and roll epitomizza. La chitarra di Rick McCollum sta diventando il suo alter ego.

La formula si ripete stancamente su Black Love (Elektra, 1996), altra parata di parabole di fallimento, rimpianto e catarsi, ora urlate con la forza di un agonizzante (Crime Scene Part One, My Enemy) ora scandite con la rabbia di un teppista di strada (Honky's Ladder). Going To Town e Blame Etc impiegano stereotipi funky e soul, fino a suonare come gli Stones demoniaci di Play With Fire. Tutte le canzoni sono bruttine uguali. Non raffazzonate, semplicemente prive di ispirazione e di contenuti. Il disco si apre sulle ultime note di Gentlemen, a indicare una specie di continuita`, invece la traiettoria e` completamente diversa. Il proverbiale equilibrio fra soul e grunge e` crollato, a favore del secondo. "A lie the truth... which one should I use": forse sarebbe ora che si decidesse.

Dopo due album tanto sinceri ma anche tetri, in pratica due atti di autoflagellazione, Dulli viene ricoverato a New Orleans per sua depressione nervosa. Quando ne esce e gli Afghan Whigs si riformano, alla batteria e` subentrato Michael Horrigan. 1965 (Columbia, 1998) saluta il rinato Dulli con una profusione di fiati, tastiere e archi e le liriche piu` libertine della sua carriera. Libidinosi gli arrangiamenti e libidinose le liriche: Something Hot, un soul lascivo quasi alla Prince, Uptown Again, una rumorosa power-ballad, sono degli scherzi da liceale confrontati con le aspersioni di Gentleman.
Dulli-Lucifero il perverso corruttore si immerge nelle atmosfere sensuali e malvage di 66 e nell'incubo freudiano di Omerta, sottolineato da fiati quasi free jazz.
Nel disco risuonano infiniti echi del rhythm and blues degli anni '60: Crazy ripete un riff "drogato" alla Jimi Hendrix e si arrampica su un pastiche di violini alla Satanic Majesties (Rolling Stones). John The Baptist erige un'armonia demoniaca sovrapponendo un canto da predicatore delle piantagioni (una specie di Nick Cave in versione sacrilega), un ossessivo tribalismo funky, una stridula fanfara di fiati e un coro gospel (e una coda strumentale quasi bebop). Sono brani articolati e complessi, che esaltano le qualita` di architetto del suono di Dulli. Si tratta dell'ennesimo trasformazione di questo singolare personaggio, prima shouter del grunge, poi autore maudit e adesso produttore raffinato. Lo strumentale conclusivo, The Vampire Lanois, una baraonda free jazz dai toni gotici, fa pensare che il suo futuro potrebbe benissimo essere alla testa di un ensemble strumentale.

Greg Dulli aveva la possibilita` di diventare uno dei cantautori piu` delicati e intelligenti della sua generazione, ma sta invece cercando la strada alla "superstardom" tramite un sound violento e grossolano che rischia di farne una specie di Bruce Springsteen dell'heavymetal melodico.

Destinato a un roseo futuro di cantautore soul, Dulli e` capitato nella scena sbagliata, quella dell'hardcore prima e del grunge dopo, anche se nel momento giusto.

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Greg Dulli's first project after Afghan Whigs was the Twilight Singers, and it revolved around the form of the rhythm'n'blues ballad. Twilight (Columbia, 2000) was recorded (mainly in 1997) with the help of several friends, including Screaming Trees' Barrett Martin, Satchel's Shawn Smith and the duo Fila Brazillia. Dulli sounds like an elderly soul singer who has discovered modern dance rhythms (Twilite Kid, That's Just How That Bird Sings). Greg Dulli uncovers his soul in a more sincere way on Plays Blackberry Belle (One Little Indian, 2004 - Birdman, 2005), whose orchestral arrangements do not detract from the passion and self-flagellation (Number Nine). The Twilight Singers' third album, She Loves You (One Little Indian, 2004), was a terrible collection of covers. Greg Dulli's Amber Headlights (Infernal, 2005) actually contains unreleased music of the Twilight Singers. Powder Burns (2006) was the proper release of the band, a rather uneventful one. The EP A Stitch In Time (Little Indian, 2007) contains a duet with Mark Lanegan, Flashback.

Greg Dulli's other project is the Gutter Twins with Mark Lanegan.

The Twilight Singers' Dynamite Steps (Sub Pop, 2011) sounded like an album built around two collaborations: Be Invited with Mark Lanegan and Blackbird And The Fox with Ani DiFranco; with the rest being mere filler.

The Afghan Wigs returned with Do to the Beast (2014), that contains songs like Algiers and These Sticks worthy of Dulli's solo albums if not of the band's classics, followed by the mediocre In Spades (2017).

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