Original Sins' bizarre leader, John Terlesky, created one of the most irrational corpus of music ever recorded under the moniker Brother J.T.. Albums such as Vibrolux (1994) and Music For The Other Head (1996) conceived composition as an utter mess. Mostly, his "songs" were a hysterical rambling over cacophonous imitations of rock'n'roll. The longer tracks sounded like hippie music of the Sixties sucked, chewed and defecated by a psychedelic black-hole. It was a (hazy, incoherent, deranged) mental state, not an art.
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John Terlesky (l'uomo che si nasconde dietro la sigla Brother JT) e` diventato
un'istituzione della psichedelia della Pennsylvania. La fama se l'e` conquistata
con gli Original Sins, ma negli ultimi anni ha
concentrato la sua attivita` sui dischi solisti.
Dopo le cassette Descent (Twisted Village, 1991),
contenente due lunghe suite per chitarra e canto
(Descent e Kaballaha),
e Meshes Of The Afternoon (Twisted Village, 1992),
album di canzoni psichedeliche suonato con tastiere, batteria e sassofono,
Terlesky ha registrato messa occulta, Vibrolux (Bedlam, 1994), che occupa
quasi per intero la seconda facciata dell'album omonimo (sul quale figura
anche il delirio apocrifo di Little Wonder Cave),
ispirata dai rituali sessuali di una setta paleocristiana.
Holy Ghost Stories (Bedlam, 1995) e` quasi un album di "spoken word"
piuttosto che di musica.
Poi a nome Brother JT & Vibrolux escono altri
due album, Music For The Other Head (Siltbreeze, 1996) e
Doomsday Rock (Siltbreeze, 1996).
Music For The Other Head
contiene soltanto quattro canzoni ma dura quaranta minuti. Terlesky
applica la prassi dei Melvins al garage-rock degli Original Sins, amplificando
a dismisura i "gesti" sonori del genere. Comet (venti minuti) e`
l'esasperazione di quest'idea: sia il cantante sia il gruppo cincischiano
in modo sgraziato e sguaiato attorno allo stesso tema, senza mai decollare
o esplodere, piu` simili (nello spirito) alle jam "acide" dei Grateful Dead
che alle jam "spaziali" degli Hawkwind. Music For The Other Head
comincia nello stesso sornione registro country-rock, ma e` tutt'altra cosa:
ma le distorsioni delle chitarre si fanno presto stratosferiche e l'anarchia
canora tocca livelli da manicomio.
Blur esplode la melodia della Fortune Teller dei
Rolling Stones con poderosi riff alla Deep Purple.
Mind e` una jam folle alla Red Crayola.
Il limite del disco e` l'estrema confusione del gruppo, che talvolta tarda
minuti a imbastire una canzone.
Doomsday Rock e` un calderone eccentrico di
improvvisazioni free-form e quadretti acustici, divagazioni spaziali e
canzoni sub-amatoriali. Rispetto al precedente, conserva se non altro
l'aspetto di un album di musica rock: quattordici brani, fra i quali
prevalgono quelli di cinque e sei minuti. Nei pochi momenti di lucidita`
il complesso riesce a mettere insieme il boogie cacofonico
di Comin Out e In Her Space, ma per lo piu` regna il caos
assoluto. Le ballate di Terlesky si disgregano fino a lasciare soltanto
una traccia confusa di parole e di accordi. Le radici del suo rock psichedelico
trapelano qua e la` (i Velvet Underground in Never Never, il garage-rock
degli anni Sessanta in Metempsychosis), ma ormai tutto e` stato
rigurgitato dal suo ego devastato, una sorta di buco nero psichedelico.
I suoi brani sono diventati cosi` astratti che hanno poco di musicale.
Con Rainy Day Fun (Drunken Fish, 1996) Brother JT si e` definitivamente
convertito al formato della canzone pop. Le varie Oh Mother, Rider Rider,
This Is The Life, Hi, Rainy Day Fun si trascinano
con andamento pigro e insinuante.
Come On Down (Drunken Fish, 1997)
contiene praticamente i brani che erano stati esclusi dal
precedente. La filosofia di lavoro e` la stessa: una voce, una chitarra e
qualche idea divertente. Terlesky predilige ballate spaziali come
Try Not To Try e Come On Down,
ma il suo talento si manifesta meglio nei piccoli intermezzi surreali,
una Do Less Be More appena canticchiata,
una Thank You St Jude tutta cacofonica,
una A Little More Nothing interamente strumentale.
Terlesky scodella persino un'orecchiabile Red Cathedral in puro stile
anni '60. Il tutto senza praticamente accompagnamento.
Ogni secondo di questa musica (ogni nota di chitarra, ogni sillaba di canto)
e` avvolto nelle nebbie piu` allucinogene che si possano immaginare.
Lo stato mentale di Terlesky e` ormai indefinibile.
Il live Dosed And Confused (Bedlam, 1998) celebra questa degradazione
da ricovero con versioni un po' appannate dei loro classici.
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Terlesky's albums are getting a little tedious because they tend to endlessly
repeat the same program. To his credit, few people have stuck to a program
so faithfully and stubbornly.
Way To Go (Drag City, 1999) leverages on much improved production,
which makes it the most professional of his solo albums, and on contributions
from a solid rhythm section. Throughout Ur and Way To Go, the
songs rooted in rock's classic format, Terlesky displays his indisputable
melodic craft and his even more indisputable stoned attitude.
The album flows smoothly and uneventful until
Little Did I Know's demonic voodoobilly kicks off, its viciousness
doubled by a couple of Helios-Creed-grade guitar solos and Iggy-Pop-grade
moans. Then Floating ups the adrenaline dose with (finally)
a driving rhythm and piercing riffs.
And Cloud Ten crowns this uneven collection with a
guitar-driven free-jazz freak out (somewhere in the neighborhood of
Jimi Hendrix's 1983) which makes us forgive him even his most languid tones.
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(Translation by Cinzia Russi/ Tradotto da Cinzia Russi)
I dischi di Terlesky si fanno sempre piu` tediosi. Al personaggio bisogna
riconoscere soltanto la testardaggine nel portare avanti il suo discorso
psichedelico. Way To Go (Drag City, 1999)
fa leva su di una produzione decisamente
migliorata, il che lo rende il piu’ professionale dei suoi album da
solista, ma anche su di una solida sezione ritmica. Per tutta la durata di
Ur e Way To Go, due canzoni di stampo rock classico, Terlesky
mette in mostra la sua incontestabile creativita’ melodica e il suo ancor
piu’ incontestabile atteggiamento stoned. L’album scorre liscio e
monotono
fino a quando non irrompe il voodoobilly demoniaco di Little Did I
Know, che raddoppia in malvagita’ grazie ad un paio di assoli di
chitarra alla Helios-Creed e lamenti alla Iggy-Pop. Floating fa poi
aumentare la dose di adrenalina con (finalmente) un ritmo cadenzato e riffs
penetranti. Cloud Ten corona questa raccolta disarmonica con
un’allucinazione free-jazz che rende perdonabili perfino i toni piu’
languidi di Terlesky.
Forse Terlesky abusa dello studio di registrazione, entrandoci ogni qualvolta
gli viene un'idea brillante, anche se quell'idea non dura lo spazio di
un album. Merita il rispetto dei fieri individualisti, ma i suoi dischi sono
sempre meno interessanti.
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Maybe We Should Take Some More? (Birdman, 2001) is another acid
freak-out and musical nonsense, but the material is not up to his standards
(Whatcha Gonna Do).
Within the odd career of this odd musician,
Spirituals (Drag City, 2002) is one of his oddest albums: not because
it increases the level of noise and bacchanalia, but precisely
because it decreases them.
It opens with a spiritual (the guy is serious about his album titles) and
then delves into catchy folk-rock with Be With Us
Brother JT being the deranged mind he is, Praise Be ends up sounding
like Pink Floyd's Careful With That Axe with additional synthesizer
noises and Lord You Are The Wine sounds like a combination of
Mick Jagger singing She's So Hot and Good Son-period Nick Cave.
The Terlesky who leads a regular rock'n'roll band on Hang In There Baby (Drag City, 2003) harks back to his (garage) roots, but is clearly older and wiser.
The self-referential shuffle Brother Brother, the heart-felt closer Move On, and the epically-paced rant of Head Business come through as more soothing than anthemic.
While there are echoes of the Original Sins and of early Brother JT music,
the (eight) songs here are long and well crafted. And calmer.
He takes his time to unfold his best Bob Dylan imitation (Gettin' There) and the usual dose of the Seeds/Stones (the propulsive and catchy Shine Like Me).
More than anything else, it sounds like Terlesky has got something to say,
and is eager to say it. He has enough experience and class to say "it" in
a way that evokes more ghosts than he would ever like to admit of knowing.
Off Blue (Birdman, 2005) is a work for voice and acoustic guitar that
harks back to Syd Barrett's and Skip Spencer's solo albums. It boasts some
memorable melodies, but it is too fragile to stand on its own.
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(Translation by/ Tradotto da Paolo Latini)
Maybe We Should Take Some More? (Birdman, 2001)
è un altro nonsense musicale sotto forma di freak-out acido, ma
che racchiude materiale non all'altezza dei suoi classici (Whatcha Gonna
Do).
Entro la strana carriera di questo strano musicista, Spirituals
(Drag City, 2002) è uno dei suoi album più strani: non perché
sono accresciuti i livelli di rumore e baccanali, ma proprio perché
quei livelli sono stati attenuati. Il disco inizia con uno spiritual (l'autore
non ha mentito col titolo dell'album) per poi aprirsi in un orecchiabile
folk-rock con Be With Us e tutto ciò mostra che razza di
mente malata sia Brother JT; il finale di Praise Be ricorda i Pink
Floyd di Careful With That Axe con l'aggiunta di rumori di sintetizzatori
e Lord You Are The Wine pare un incrocio tra il modo di cantare
di Mick Jagger di She's So Hot e il Nick Cave di Good Son.
Su Hang In There Baby (Drag City, 2003) suona una vera e propria
rock'n'roll band, che riporta Brother Jt alle sue radici (garage), ma ora
è chiaramente più vecchio e più saggio. L'autoreferenziale
Brother Brother, il finale accorato Move On, e la predica
epica Head Business alla fine sono più pulsanti che anthemiche.
Ci sono eco degli Original Sins e della prima musica di Brother JT, le
(otto) canzoni sono lunghe e ben confezionate. E più calme. Si impegna
per rivelare la sua migliore imitazione di Bob Dylan (Gettin' There)
e la solita dose di Seeds/Stones (la propulsica ed orecchiabile Shine
Like Me). Più che mai questo disco sembra mostrarer che Terlesky
ha qualcosa da dire, e che sia abbastanza cresciuto da poterlo dire. Ha
abbastanza esperienza e classe per dirLo in un modo che mostra più
scheletri nell'armadio di quanto egli stesso sia disposto a riconoscere.
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