Il bassista Dan Lilker, che aveva inventato lo speedmetal con gli
Anthrax a il grindcore con i
Nuclear Assault, non esito` a spingersi verso un
sound ancor piu` estremita con una una nuova formazione, i Brutal Truth.
Il loro album d'esordio, Extreme Conditions Demand Extreme Responses
(Earache, 1992) defini` un nuovo standard di riferimento per l'intera nazione
"grind".
In brani come Birth Of Ignorance
il grugnito alieno di Kevin Sharp, le urla campionate da Lilker, le pareti di
distorsione di Brant McCarty, le epilessi tracotanti di Scott Lewis ritraggono
esseri privi di vita, calati in scenari opprimenti di assoluta debilitazione.
Da quelle premesse prendono l'abbrivo le pantomime atroci di Denial Of
Existence e Time, in cui a dominare non sono la foga e la determinazione,
bensi` le incertezze e le pause, come a negare proprio gli assunti del genere.
Alla fine la lunga Unjust Compromise, dilaniata da un senso del dolore che
e` l'antitesi del senso di potenza, trasforma il genere anti-filosofico per
eccellenza in un saggio esistenzialista.
Collateral Damage, Ill Neglect e Walking Corpse rimasero fra i classici
del loro repertorio.
Dopo la pausa "techno" del singolo Perpetual Conversion (1993),
Need To Control (1994), affresco altrettanto agghiacciante
del primo. Il disco e` idealmente diviso in due
parti, ciascuna iniziata da un brano (Collapse e Ordinary Madness) il cui
passo lento e goffo fa pensare agli zombie di "Night Of The Living Dead"; ma
qui gli zombie urlano, dilaniati dal dolore piu` che dalla disperazione.
La follia dei Brutal Truth esplode selvaggia e spasmodica in
Black Door Mine (protagonista Sharp) e I See Red (protagonista Lilker),
brani che vivono soltanto di emozioni estreme.
Una delle scene piu` raccapriccianti e` quella del dialogo fra il rauco boia e
lo stridulo agonizzante in Brain Trust, proiettati dalla sezione ritmica in
una vertigine da cento giri al minuto. Sul terrore brado si leva
il senso di smarrimento di Judgement e Displacement, o di
Godplayer, un piu` tradizionale misto di urla libere e passo di carica.
La devastazione e` completata dai borboglii melmosi, dai tonfi metallurgici e
dai ronzii abrasivi di Ironlung e Crawlspace, in piena
sperimentazione elettronica.
Alla fine rimane il senso di aver assistito a qualcosa di terribile, ma
di non aver capito cosa, e soprattutto di aver sbadigliato, senza accorgersene,
per gran parte del tempo.
Un trucco che Kevin Sharp ha imparato da John
Zorn e` che ad essere prolifici si confondono anche i critici piu` testardi.
Dopo l'EP Machine Parts (1995)
e il mini-album Kill Trend Suicide (Relapse, 1996),
esce cosi` subito Sounds Of The Animal Kingdom (Relapse, 1997).
Il gracidio di Sharp non inganna comunque piu` nessuno. Le cose piu`
interessanti le fa Danny Lilker, la cui chitarra e` diventata infinitamente
piu` duttile della media grindcore. Benche' tutti attendano le novita`
"sperimentali" del disco, Sharp apre con una Dementia che e` un tributo alla
loro carriera. Nel solito fitto polverone di brani minuscoli, non e` facile
discernere quelli su cui riposano le nuove ambizioni del duo: la complessita`
di Jemenez Cricket e Sympathy Kiss, il campionamento di suoni naturali,
voci ed elettronica di Blue World, il gotico futurista di Machine Parts
e il loop di venti minuti di Prey abbandonano gli sterili stereotipi del
genere, ma non vanno molto lontano. Diamo atto pero` che anche le epilessi piu`
virulente manifestano qualche segno di rinnovamento (Average People su tutte).
Detto cio`, alla fine prevale il tedio.
Bisogna rendere atto a gruppi come questo di riuscire a far sbadigliare
anche producendo tanto rumore con tanta frenesia.
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