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I Fastbacks, una banda di punk scapestrati che ricalca le orme di Ramones e
Buzzcocks, sono essenzialmente la creatura di Kurt Bloch, strepitoso
chitarrista e compositore di Seattle. Pochi musicisti hanno composto tante
canzoni orecchiabili del livello di qualita` dei Fastbacks.
Il primo singolo e' In The Summer (con Duff McKagan
alla batteria, futuro Guns And Roses). Quello e i successivi
Don't Eat That It's Poison (1980) e Someone Else's Room (1981) sono suonati
all'insegna di un garage-rock tanto entusiasta quanto approssimativo.
Sull'EP dell'estate del 1982,
Play Five Of Their Favorites (No Threes, 1982), lo stile
migliora un po', e il gruppo ne approfitta per registrare una canzone di
portata quasi epica (per il loro genere) come In America.
Il lento romantico di I Never Knew (1982) apri' nuove frontiere,
esplorate
qualche anno dopo (1985) dalla ballata in crescendo di Three Boxes:
i Fastbacks stavano imparando a moderare la loro verve e calcolare meglio le
mosse melodiche.
Nel frattempo era stato pubblicato anche
Every Day Is Saturday (No Threes, 1984), mediocre EP dell'estate 1984.
Un po' per i propri difetti un po' per sfortuna il gruppo rimase nell'anonimato
per molti anni. A resuscitarne la carriera fu la spavalda It Came To Me In A
Dream (singolo del 1986). L'anno dopo vide infatti la luce il primo album,
And His Orchestra (PopLlama, 1987), che passo' peraltro del
inosservato. Eppure il disco sfoggiava gia' un buon numero di canzoncine
costruite su ritornelli immediati e armonie scoppiettanti (Seven Days e
Wrong Wrong Wrong su tutti); sublimi concentrati melodici che sfrecciano
rapidissimi, incalzati da una ritmica che e' ancora hardcore. Il "thrash pop"
dei Fastbacks anticipava di fatto il popcore degli anni '90.
Pezzi come If You Tried sfoderano anche parti strumentali fra le piu' mature
ed eccitanti di tutto il punkrock post-Ramones. Bloch vi si rivela compositore
di grande caratura, capace di pescare con naturalezza dal folk slavo
(Don't Cry For Me) e dalle filastrocche per bambini (K Street).
Nell'indifferenza generale nel 1988 usci' il loro primo capolavoro,
Everything I Don't Need, frizzante ed orecchiabile come quelli delle
ragazzine ye-ye dei primi anni '60.
Ancorato fra il sound di Phil Spector e i girl-group,
il successivo Very Very Powerful Motor (PopLlama, 1990)
non sbaglia un colpo.
Forti di una perfetta combinazione di voci (la cantante e bassista Kim Warnick
nei panni di un incrocio fra Joan Jett e Tracey Tracey, l'altra chitarrista
Lulu Gargiulo nei panni della punkette) e di musiche da cartone animato
(Bloch tappa i buchi degli arrangiamenti con riff sempre piu' laceranti,
Nate Johnson scandisce i tempi nel modo piu' elementare possibile,
canzoncine come In The Summer
riesumano la quintessenza di quei motivetti da collegiali degli anni '50
con lo stesso fanatismo maniacale di un vampiro (ma un vampiro con tanto
sense of humour).
Lo spirito ribelle viene invece a galla nei brucianti controtempi di
Always Tomorrow, e le due facce del loro revival (quello sentimentale e quello
cinico) convivono nei contrappunti di Trouble Sleeping.
Le Ramones in gonnella di Apologies hanno inventato un rock di accorgimenti,
che evita la volgarita' del generico con una vertigine di auto-compiacimento.
Una sequenza di squisiti singoli
(My Letters e Impatience del 1991, nei panni dell'adolescente timida,
innamorata e pudibonda;
Run No More e Really del 1992 nei panni della punkette scalmanata)
non basta pero' a risollevare le sorti del quartetto.
The Question Is No (SubPop, 1992) raccoglie parecchi di questi singoli,
e alcune rarita` risalenti ai primi anni '80.
Ridotti a un trio (alla batteria si alternano Nate Johnson, Rusty Willoughby e
Richard Stuverud), con il leader condiviso con gli Young Fresh Fellows e il
boom di Seattle ad incoraggiare critici e case discografiche, i (o le) Fastbacks
registrano Zucker (SubPop, 1993), che li catapulta finalmente in prima
fila.
Dal girotondo mutante di Believe Me Never
al ritornello spensierato di Hung On A Bad Peg
(quattordici canzoni in poco piu' di mezz'ora)
questo disco non contiene nulla che i Fastbacks non avessero gia' ripetuto
decine di volte, ma questa volta il mondo li sta ad ascoltare.
Semmai e' incredibile che riescano ancora a suonare cosi' freschi ed entusiasti
dopo tredici anni.
La galoppante Never Heard Of Him,
la tenera When I'm Old e la
potente Bill Challenger non sono certo fra i loro capolavori, ma
dimostrano ampie vedute.
La popolarita' giunge tardiva, ma non immeritata, e
Answer The Phone Dummy (SubPop, 1994)
e` ancora all'altezza della loro fama underground.
Il trio (che e' completato dalle due cantanti, la
bassista Kim Warnick e la seconda, temibilissima, chitarrista
Lulu Gargiulo, mentre alla batteria si alternano Nate Johnson, Rusty Willoughby
dei Flop, Dan Peters dei Mudhoney, Jason Finn dei Love Battery, Mike Musburger
dei Posies, insomma mezzo Olimpo percussivo di Seattle) si e' dato una
rassettata, decidendo una volta di andarsi a leggere il manuale d'armonia,
ma senza rinunciare alla filosofia punk (brevita', concisione, frenesia).
Capita pero' che il ritornello sbarazzino di Waste Of Time venga cantato in
un tono annoiato, degno quasi di Lydia Lunch, o che Bloch indovini un
motivetto di chitarra memorabile come quello di In The Observatory, o che
la cantata barocca di
Trumpets Are Loud venga interrotta da una jam jazzata per chitarra e basso.
Ma dove i Fastbacks trionfano, da sempre, e' nelle canzoni che sono costruite
su festosi girotondi da bambini: On The Wall l'avrebbero potuta comporre
infinite scolaresche del pianeta, e forse proprio per questo e' un capolavoro
assoluto.
In queste canzoni magistrali, e in particolare in I'm Cold,
si compie una fusione naturale di cantilene da chiesa accelerate al massimo e
di filastrocche per balli campestri, una fusione
storica di cultura popolare della provincia. Ascoltando con attenzione qua e
la' per il disco si scoprono la quadriglia a perdifiato di Went For A Swim o
l'inizio da chierichetto di Meet The Author.
In effetti, contrariamente alle apparenze, questi signori hanno pochissimo a
che vedere con il revival.
Canzoni come And You e Back To Nowhere impiegano tutto l'arsenale di
melodie leggiadre, organetti surf e cori estatici, ma
facendo il minimo sforzo possibile per ricostruire le armonie d'epoca,
limitandosi invece a recuperandone in pieno l'atmosfera giocosa e spensierata.
In questo vorticoso playback di ragazzine ye-ye e di teen idols, di
girl-group e di Spector sound, in questo documentario frenetico dei primi
anni '60 cio' che manca, paradossalmente, sono proprio gli anni '60.
New Mansions In Sound (SubPop, 1996)
non delude le attese: Kim Warnick e Lulu Gargiulo
si alternano come sempre al canto e al coro in queste orecchiabili
escursioni nel fun adolescenziale. Fortune`s Misery, No Information,
giu` fino al ritornello infantile di 555 si aggiungono al catalogo
dei motivi memorabili. Qualche novita` si intravede negli arrangiamenti:
I Know e Is It Familiar indulgono in sonorita` hard-rock al limite dei
Deep Purple e Stay at Home supera i sei minuti.
Di punk e` ormai rimasto ben poco,
e sul mini-album Win Lose Or Both (Popllama, 1998)
a brillare sono soltanto le arie memorabili di No Music
Played (cantata quasi a cappella) e Used To Belong, canzoni a cuore aperto
che esplorano l'aspetto piu` romantico della loro arte.
So Wrong ha ancora il piglio del 1977, urlata a squarciagola con coro "oi".
Book Of Revelation ritorna al loro piatto prediletto, il girotondo scipito e
sbarazzino da girl-group.
Le altre nove canzoni sono dei bonus dal vivo, registrazioni probabilmente
di qualche anno fa. Per gli amanti del garage-rock dovrebbe trattarsi di
miele. I Fastbacks sfoderano l'incedere rozzo dei Blue Cheer,
l'accelerazione degli MC5, le cariche degli Who, gli assoli
indemoniati dei Ten Years After, in un'orgia di buone vibrazioni che ha
poco a che vedere con la loro produzione ufficiale.
Tutti i loro album sono stati accolti con favore dalla critica, e sono
deliziosi da ascoltare, ma per ragioni misteriose i Fastbacks sono rimasti
dietro le quinte del punk-pop.
I Fastbacks sono uno dei gruppi piu` gioviali del punkrock melodico.
Kurt Bloch ha pennellato gemme degne dei migliori anni '60.
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