Summary.
The greatest of the British songwriters of the 1980s was probably
Julian Cope (ex Teardrop Explodes), one of the
craziest and most creative minds of his generation.
World Shut Your Mouth (1984) introduced an eclectic and oneiric bard
devoted to kitschy melodies, majestic tempos and psychedelic arrangements
(enhanced with electronic keyboards). His eccentric vision
was fully captured on Fried (1984).
His songs had the same classic quality of the Doors' melodramas, although his
insane lyricism was probably a closer relative of Syd Barrett's.
Saint Julian (1987) and My Nation Underground (1988) focused on
his tremendous melodic gift, abandoning the odder edges of the first two
albums.
A stunning ability to craft impeccable songs led him to more ambitious
endeavors: the socio-political concept Peggy Suicide (1991) and
Jehovahkill (1992), so imbued with cryptic symbols to resemble a
medieval bestiary. A world expert in German rock of the 1970s, Cope
also recorded avantgarde pieces such as Rite (1993).
He continued to refine his synthesis of Doors, Syd Barrett and Popol Vuh on
Autogeddon (1994) but failed to fully capitalize on his unique talent.
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Julian Cope, l'ex cantante dei
Teardrop Explodes e` stato protagonista di
una delle carriere piu` geniali e sregolate della musica rock.
World Shut Your Mouth (Mercury, 1984), il primo album solista, lasciava
soltanto intravedere la personalita` di un bardo eclettico e trasognato, capace
di intonare melodie enfatiche nell'ambito del rock psichedelico.
Quest'opera poetica che prendeva lo spunto dall'acidrock del vecchio gruppo, lo
tingeva di melodie e arrangiamenti kitsch, di magniloquenza e melodramma Doors,
di aromi latini e tzigani, e in
tal modo cesellava una sequenza mozzafiato di ritornelli ballabili, formalmente impeccabili, di grande
presa emotiva, nella piu` fiera tradizione psichedelica.
Nelle travolgenti progressioni melodiche di
canzoni come Bandy's First Jump si sublimano tre decenni di armonie vocali pop. Ballate solenni
e distorte come Strasbourg incrociano la trenodia dei Velvet Underground, i boogie perversi degli
Stooges e le atmosfere oniriche dei Doors. In litanie come Lunatic And Fire Cope mutua il suo
crooning tragico dallo shout del rhythm and blues, dal declamato del musichall e dagli inni dei cori
anglicani.
L'album trovava soprattutto un equilibrio miracoloso fra tre elementi
apparentemente inconciliabili: un
melodismo leggero degno di Tin Pan Alley, cadenze maestose degne di cerimoniali sacri, e arrangiamenti
elettronici di grande effetto. Le tastiere sono in effetti la seconda voce del disco, capaci di spaziare dalla
piccola cacofonia da camera alla frase dilatata della psichedelia, dal maestoso accordo da chiesa al boogie
martellante. Nascono cosi` la commossa elegia di An Elegant Chaos, che scorre fluida ed eterea
su celestiali gorgheggi a incastro delle tastiere, e l'epico ritornello in crescendo di Quizmaster, che
precipita a rotta di collo in spirali di riff duri e di salmodiare liturgico.
Ma Cope e` anche, e forse soprattutto, un abile manipolatore di ritmi: il raga
marziale di Kolly Kibber's Birthday viene trasfigurato in una cadenza martellante di chitarre e
falciato da trilli tragici di tastiere, mentre un ritmo sintetico bombarda in sottofondo con le sue sincopi. Il
vaudeville camaleontico di Metranil Vavin (con tracce di Kinks e di Zappa), la pirotecnica
epilessi di Sunshine Playroom (con intermezzo sinfonico), la serenata folle di Greatness And
Perfection (con un frenetico twang da film western) sono gag costruite artificialmente rendendo
demenziale una innocua filastrocca per bambini.
Forse succube del mito di Syd Barrett, Cope abbandono` quasi subito quel
superbo melodismo, per rifugiarsi nel clima crepuscolare di
Fried (Mercury, 1984), oscillando fra
atmosfere lisergiche (Laughing Boy, Torpedo) e pastorali (Bill Drummond
Said, Search Party). Gli episodi migliori sono quelli che riciclano i suoi trucchi spettacolari di
ritmi violenti, chitarre distorte, organi spaziali e melodie ipnotiche (Reynard The Fox e Holy
Love). Lo squilibrio mentale gli giova e gli nuoce al tempo stesso nei numeri piu` bizzarri, che
potrebbero far pensare al musichall della Bonzo Band (O King Of Chaos, Sunspots,
Bloody Assizes).
Saint Julian (Island, 1987) torno` invece al fresco melodismo degli
esordi,
in particolare nei singoli Trampolene e World Shut Your Mouth,
ma il sound era
nervoso e concitato, condizionato dagli stili di produzione dell'heavymetal (Shot
Down, Spacehopper), dell'hip hop (Planet Ride) e della world-music (lo ska Eve's
Volcano), lontano dalle atmosfere incantate del primo disco anche nelle ballad piu` melodiche
(Saint Julian), nei ritmi piu` eccentrici (Pulsar) e nelle tessiture piu` psichedeliche (A
Crack In The Clouds).
Con questi dischi Cope riusciva di fatto a fondere l'innata vocazione per il pop piu`
sontuoso con le sue nevrosi di eroinomane accanito.
Accompagnato dai fidi Donald Ross
Skinner (tastiere) e Roosert Cosby (percussioni),
Cope si tuffo` poi nel sound estroverso di
My Nation Underground (Island, 1988).
L'album si apre con 5 O'Clock, un'ouverture degna del Frank Zappa
piu` comico ed orchestrale, ma con un ritornello degno di Petula Clark.
Non meno trascinante e
orecchiabile e` lo ska di The Great White Hoax, mentre combustibile powerpop (Someone
Like Me) e garage-rock (Easter Everywhere) propellono le altre melodie.
La title-track e` uno dei suoi capolavori di arrangiamento, capace di riciclare e
stratificare un ritmo da danza caraibica, stacchetti da discomusic orchestrale, un coro magniloquente da
musical di Broadway, roventi assoli di armonica blues e tribalismi voodoo. Anche i brani piu`
palesemente commerciali hanno una loro dignita`: il sintetizzatore di Charlotte Anne rifa` il verso
al flauto di un saltarello medievale e il "lento" di China Doll rivede in chiave creativa il
"crooning" degli anni '50. Album disunito e incostante, non trova ne` il filo di un discorso ne'
l'illuminazione di una visione.
Sempre imprevedibile e incostante, Cope si concesse poi la pausa di una
raccolta di folk acustico, Skellington (Zippo, 1989).
Pochi mesi dopi usci` anche un suo
album sperimentale, sotto falso nome, Droolian (MoFoCo, 1990).
La sua personalita` irrequieta ed eternamente insoddisfatta raggiunse un
temporaneo apice con il
doppio Peggy Suicide (Island, 1991), una raccolta di canzoni di protesta, un concept ambizioso che
funge un po' da reportage globale sui mali del secolo e da metafora per la decadenza fisica e morale del
Pianeta.
Cope e` determinato nei suoi "je accuse", ma non meno allucinato del solito:
Pristeen lo immerge nei climi piu` fiabeschi dei Velvet Underground, con il piano elettrico che fa
le veci della viola; Jim Morrison avrebbe potuto cantare la tenebrosa ballata organistica di Drive She
Said; e non e` chiaro quante dosi di eroina servirebbero per portare la nevrosi chitarristica di Neil
Young ai livelli della lunga Safesurfer. Cope non ha neppure paura di omaggiare le sonorita` di
moda, dal "Mad-chester sound" (East Easy Rider), ma con un tenore desolato da bluesman, al
boogie "retro'" dei Cult (Double Vegetation e Hanging Out And Hung Up On The Line),
ma con il piglio epico di un Warren Zevon. Non manca neppure il brano da ballo, Beautiful Love,
un incrocio fra country e calypso con tanto di fanfara di tromba. Finalmente coerente e robusto, questo
disco consacra Cope nei panni di un cantastorie agitato e apocalittico.
A testimonianza dello stato di grazia attraversato dal musicista,
Jehovahkill (Island, 1992) e` un altro disco monumentale.
L'opera e` anche troppo concettuale,
gravata di simbolismi fino a sembrare un trattato medievale. L'umore apocalittico di Cope diventa grido
allucinato di un profeta nel deserto, o semplicemente delirio di un demente nella sua cella di manicomio.
Gli arrangiamenti delle canzoni sembrano quasi casuali, improvvisati sul momento, giusto per suonare
qualcosa. Le armonie sono in effetti piu` free-form che razionali, piu` d'istinto che composte a
tavolino. Soul Desert, Upwards At 45 Degrees, la lunga The Tower esprimono il
metafisico confronto con il soprannaturale che e` il destino di tutti i poeti simbolisti ma le loro strutture
aprono il doppio delle porte che chiudono (vedi l'incalzante riff di hardrock suonato alla chitarra acustica
sul primo, il grido che rimane quasi solitario per tre minuti sul secondo, il calderone di pathos del
terzo).
Cope finisce per fare la parodia di se stesso quando intona nel registro epico di
un tenore la cupa parabola di No Hard Shoulder To Cry On, accompagnata in modo quasi comico
da sintetizzatore, chitarra ed effetti vocali; o quando in Akhenaten una visione fiabesca viene
contrappuntata da una fanfara di sassofono e da elettronica dell'orrore; o quando gigioneggia nella
filastrocca di Fa-Fa-Fa-Fine. Sembra prendere in giro la propria stessa depressione.
Le musiche alla fine sembrano contare poco o nulla. Poco conta che i due
strumentali (Necropolis, a meta` strada fra Who e Todd Rundgren; e The Subtle Energies
Commission, jam incandescente alla Hawkwind) sperimentino sonorita` piu` robuste; o che Poet
Is Priest indovini una fusione spettacolare di Suicide, new age, soul e techno; il disco appartiene a
vezzi come Julian H. Cope, un trascinante blues acustico degno del primo Taj Mahal. Il
disco trabocca di idee che la mente "malata" di Cope riesce soltanto a pensare per pochi secondi, ma non a
ghermire e plasmare in un linguaggio comprensibile. Fear Loves This Place, una ballata marziale
degna del rock proletario americano che e` l'unica canzone normale, sembra un sopravvissuto in mezzo
alle rovine. Forse troppo indulgente per essere anche musicale, Jehovahkill e` pero` abbastanza
universale da essere comunque grande Arte.
Prolifico fino al delirio,
Cope da` alle stampe la seconda parte di Skellington (Zippo, 1993),
il suo flusso di coscienza e alter-ego musicale, e due album d'avanguardia
psichedelica, Rite (Zippo, 1993), una raccolta di quattro lunghe suite
di acidrock alla Amon Duul II (a cui fara` seguito Rite 2 nel 1997,
forse il suo tributo piu` esplicito al rock tedesco degli anni '70,
contenente le quattro lunghe suite
Var, Hill of Odin, D.c.o.m.p.o.s.e.r., The Ringed Hills of Var),
e Queen Elizabeth (Echo, 1994), una collaborazione con
Thighpaulsandra a cui fara` seguito
Elizabeth Vagina (Head Heritage, 1997).
Cope pubblica anche due libri dedicati ai complessi tedeschi che lo hanno
influenzato.
Il suo atteggiamento sembra essere sempre piu` insofferente nei confronti
dell'industria discografica, del pubblico, del mondo, della vita.
Autogeddon (American, 1994) e` quantomeno schizofrenico:
da un lato lo presenta
nei panni del folksinger arrabbiato, logica continuazione delle esternazioni
polemiche del disco precedente; ma dall'altro recupera ed esagera la sua
passione per i grandi complessi tedeschi degli anni '70.
Autogeddon Blues prende la forma ballad di Dylan e la porta all'esasperazione,
finendo per strillare come un ossesso (un po' sullo stile di Patti Smith). I Gotta Walk ricorre alla
forma della novelty per sfogare il suo sarcasmo. Madmax prende in prestito il baritono profetico
di Cohen, Don't Call Me Mark Chapman il registro fiabesco di Donovan. Il bardo piu` lunatico
dell'universo si cimenta persino nella miniopera in tre parti (blues dimesso, motivetto da musichall e
hardrock psichedelico) di Paranormal In The West Country e si lascia invischiare negli undici
minuti di jamming strumentale di s.t.a.r.c.a.r. Il
disco completa la trilogia "ambientalista" di Peggy Suicide e
Jehovahkill, ma fallisce
sotto tutti i punti di vista.
Il Cope filosofo che si nasconde dietro le mille metamorfosi del Cope giullare
balza in primo piano con 20 Mothers (Echo, 1995), un lavoro
meno apocalittico e piu` "umano", sempre estroso e bizzarro, ma anche domestico
e pubblico.
Wheelbarrow Man e` un inno degno dei Grateful Dead, mentre
I Wandered Lonely As A Cloud e` un'aria classicheggiante
(contrappunti di violini e violoncello).
Il talento melodico di Cope s'impenna soprattutto nel ritornello orecchiabile e
nel chitarrismo incalzante di Try Try Try.
Highway To The Sun fa le fusa alle
armonie eccentriche della prima psichedelia dei Pink Floyd; Just Like Pooh Bear praticamente
tracopia il synthpop dei Dead Or Alive; Road Of Dreams scodella persino un kitsch orchestrale,
un incrocio fra la Yesterday dei Beatles e una serenata messicana; 1995 traspone il soul
progressivo dei Traffic in Medioriente. Cope si congeda, appropriatamente, con il de profundis di
When I Walk Through The Land Of Fear, con tanto di coro e organo a canne. E` uno spettacolare
ritorno alla sua forma migliore, anche se forse 20 canzoni sono troppe per un balzano imprevedibile come
lui.
Interpreter (Echo, 1996) mette a frutto gli esperimenti degli album
sperimentali in dense atmosfere di tastiere elettroniche per canzoncine come
Planetary Sit-In (la piu` orecchiabile),
I've Got My TV and My Pills e
Since I Lost My Head It's Awl-Right.
Ma il resto del disco e` ancora all'insegna della follia incontenibile di
questo giullare del rock psichedelico, dalla medievale
Maid Of Constant Sorrow alla futurista Cheap New-Age Fix,
dal cabaret di The Loveboat all'operetta di Space Rock With Me.
Virtualmente inesauribile, Cope mette in moto valanghe di idee che straripano di
spunti folk, soul, gospel, rhythm and blues. Chiuso nella sua impenetrabile torre d'avorio, stringendo al
petto il suo bagaglio di fierezza, lo smisurato poeta canta le miserie del mondo esterno, impietosa voce
narrante di questo romanzo senza storia che e` l'avventura umana. Proprio nell'impadronirsi di ogni
singolo genere della nostra civilta` musicale, Cope esprime il suo totale rifiuto di quelle tradizioni.
Eccentrico fino alla pazzia, Cope ha dalla sua una straordinaria facilita` di
"affabulazione" musicale, che rende piacevole e profonda qualunque sua canzone. Se non sempre e`
riuscito a sfruttare questo talento per trascenderlo, Cope e` pero` riuscito nell'arco della sua movimentata
carriera a ritagliarsi una nicchia di pessimismo romantico che, lungi dal collocarlo in ambito decadente,
lo affratellano semmai a poeti come Leopardi, Keats e soprattutto Holderlin.
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