Julian Cope


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World Shut Your Mouth , 8/10
Fried , 7.5/10
Saint Julian , 6.5/10
My Nation Underground , 6.5/10
Skellington , 5/10
Peggy Suicide , 7/10
Jehovahkill , 6.5/10
Skellington , 5/10
Rite , 5.5/10
Queen Elizabeth , 6/10
Autogeddon , 6/10
20 Mothers , 6.5/10
Interpreter , 6/10
Odin (1999), 6/10
An Audience With the Cope (2000), 5/10
L.A.M.F.'s Ambient Metal (2001), 5/10
Brain Donor: Love, Peace, and Fuck (2001), 4/10
Rite Now (2002), 4/10
Rome Wasn't Burned In A Day (2003), 4.5/10
Citizen Cain'd (2005) , 6/10
Dark Orgasm (2005), 5/10
You Gotta Problem With Me (2007), 4.5/10
Revolutionary Suicide (2013), 6/10
Drunken Songs (2017), 6/10
Skellington 3 (2018), 4/10
John Balance Enters Valhalla (2019), 6.5/10
Self Civil War (2020), 4.5/10
England Expectorates (2022), 4/10
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Summary.
The greatest of the British songwriters of the 1980s was probably Julian Cope (ex Teardrop Explodes), one of the craziest and most creative minds of his generation. World Shut Your Mouth (1984) introduced an eclectic and oneiric bard devoted to kitschy melodies, majestic tempos and psychedelic arrangements (enhanced with electronic keyboards). His eccentric vision was fully captured on Fried (1984). His songs had the same classic quality of the Doors' melodramas, although his insane lyricism was probably a closer relative of Syd Barrett's. Saint Julian (1987) and My Nation Underground (1988) focused on his tremendous melodic gift, abandoning the odder edges of the first two albums. A stunning ability to craft impeccable songs led him to more ambitious endeavors: the socio-political concept Peggy Suicide (1991) and Jehovahkill (1992), so imbued with cryptic symbols to resemble a medieval bestiary. A world expert in German rock of the 1970s, Cope also recorded avantgarde pieces such as Rite (1993). He continued to refine his synthesis of Doors, Syd Barrett and Popol Vuh on Autogeddon (1994) but failed to fully capitalize on his unique talent.
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Julian Cope, l'ex cantante dei Teardrop Explodes e` stato protagonista di una delle carriere piu` geniali e sregolate della musica rock.

World Shut Your Mouth (Mercury, 1984), il primo album solista, lasciava soltanto intravedere la personalita` di un bardo eclettico e trasognato, capace di intonare melodie enfatiche nell'ambito del rock psichedelico. Quest'opera poetica che prendeva lo spunto dall'acidrock del vecchio gruppo, lo tingeva di melodie e arrangiamenti kitsch, di magniloquenza e melodramma Doors, di aromi latini e tzigani, e in tal modo cesellava una sequenza mozzafiato di ritornelli ballabili, formalmente impeccabili, di grande presa emotiva, nella piu` fiera tradizione psichedelica. Nelle travolgenti progressioni melodiche di canzoni come Bandy's First Jump si sublimano tre decenni di armonie vocali pop. Ballate solenni e distorte come Strasbourg incrociano la trenodia dei Velvet Underground, i boogie perversi degli Stooges e le atmosfere oniriche dei Doors. In litanie come Lunatic And Fire Cope mutua il suo crooning tragico dallo shout del rhythm and blues, dal declamato del musichall e dagli inni dei cori anglicani.
L'album trovava soprattutto un equilibrio miracoloso fra tre elementi apparentemente inconciliabili: un melodismo leggero degno di Tin Pan Alley, cadenze maestose degne di cerimoniali sacri, e arrangiamenti elettronici di grande effetto. Le tastiere sono in effetti la seconda voce del disco, capaci di spaziare dalla piccola cacofonia da camera alla frase dilatata della psichedelia, dal maestoso accordo da chiesa al boogie martellante. Nascono cosi` la commossa elegia di An Elegant Chaos, che scorre fluida ed eterea su celestiali gorgheggi a incastro delle tastiere, e l'epico ritornello in crescendo di Quizmaster, che precipita a rotta di collo in spirali di riff duri e di salmodiare liturgico.
Ma Cope e` anche, e forse soprattutto, un abile manipolatore di ritmi: il raga marziale di Kolly Kibber's Birthday viene trasfigurato in una cadenza martellante di chitarre e falciato da trilli tragici di tastiere, mentre un ritmo sintetico bombarda in sottofondo con le sue sincopi. Il vaudeville camaleontico di Metranil Vavin (con tracce di Kinks e di Zappa), la pirotecnica epilessi di Sunshine Playroom (con intermezzo sinfonico), la serenata folle di Greatness And Perfection (con un frenetico twang da film western) sono gag costruite artificialmente rendendo demenziale una innocua filastrocca per bambini.

Forse succube del mito di Syd Barrett, Cope abbandono` quasi subito quel superbo melodismo, per rifugiarsi nel clima crepuscolare di Fried (Mercury, 1984), oscillando fra atmosfere lisergiche (Laughing Boy, Torpedo) e pastorali (Bill Drummond Said, Search Party). Gli episodi migliori sono quelli che riciclano i suoi trucchi spettacolari di ritmi violenti, chitarre distorte, organi spaziali e melodie ipnotiche (Reynard The Fox e Holy Love). Lo squilibrio mentale gli giova e gli nuoce al tempo stesso nei numeri piu` bizzarri, che potrebbero far pensare al musichall della Bonzo Band (O King Of Chaos, Sunspots, Bloody Assizes).

Saint Julian (Island, 1987) torno` invece al fresco melodismo degli esordi, in particolare nei singoli Trampolene e World Shut Your Mouth, ma il sound era nervoso e concitato, condizionato dagli stili di produzione dell'heavymetal (Shot Down, Spacehopper), dell'hip hop (Planet Ride) e della world-music (lo ska Eve's Volcano), lontano dalle atmosfere incantate del primo disco anche nelle ballad piu` melodiche (Saint Julian), nei ritmi piu` eccentrici (Pulsar) e nelle tessiture piu` psichedeliche (A Crack In The Clouds).

Con questi dischi Cope riusciva di fatto a fondere l'innata vocazione per il pop piu` sontuoso con le sue nevrosi di eroinomane accanito.

Accompagnato dai fidi Donald Ross Skinner (tastiere) e Roosert Cosby (percussioni), Cope si tuffo` poi nel sound estroverso di My Nation Underground (Island, 1988). L'album si apre con 5 O'Clock, un'ouverture degna del Frank Zappa piu` comico ed orchestrale, ma con un ritornello degno di Petula Clark. Non meno trascinante e orecchiabile e` lo ska di The Great White Hoax, mentre combustibile powerpop (Someone Like Me) e garage-rock (Easter Everywhere) propellono le altre melodie.
La title-track e` uno dei suoi capolavori di arrangiamento, capace di riciclare e stratificare un ritmo da danza caraibica, stacchetti da discomusic orchestrale, un coro magniloquente da musical di Broadway, roventi assoli di armonica blues e tribalismi voodoo. Anche i brani piu` palesemente commerciali hanno una loro dignita`: il sintetizzatore di Charlotte Anne rifa` il verso al flauto di un saltarello medievale e il "lento" di China Doll rivede in chiave creativa il "crooning" degli anni '50. Album disunito e incostante, non trova ne` il filo di un discorso ne' l'illuminazione di una visione.

Sempre imprevedibile e incostante, Cope si concesse poi la pausa di una raccolta di folk acustico, Skellington (Zippo, 1989). Pochi mesi dopi usci` anche un suo album sperimentale, sotto falso nome, Droolian (MoFoCo, 1990).

La sua personalita` irrequieta ed eternamente insoddisfatta raggiunse un temporaneo apice con il doppio Peggy Suicide (Island, 1991), una raccolta di canzoni di protesta, un concept ambizioso che funge un po' da reportage globale sui mali del secolo e da metafora per la decadenza fisica e morale del Pianeta.
Cope e` determinato nei suoi "je accuse", ma non meno allucinato del solito: Pristeen lo immerge nei climi piu` fiabeschi dei Velvet Underground, con il piano elettrico che fa le veci della viola; Jim Morrison avrebbe potuto cantare la tenebrosa ballata organistica di Drive She Said; e non e` chiaro quante dosi di eroina servirebbero per portare la nevrosi chitarristica di Neil Young ai livelli della lunga Safesurfer. Cope non ha neppure paura di omaggiare le sonorita` di moda, dal "Mad-chester sound" (East Easy Rider), ma con un tenore desolato da bluesman, al boogie "retro'" dei Cult (Double Vegetation e Hanging Out And Hung Up On The Line), ma con il piglio epico di un Warren Zevon. Non manca neppure il brano da ballo, Beautiful Love, un incrocio fra country e calypso con tanto di fanfara di tromba. Finalmente coerente e robusto, questo disco consacra Cope nei panni di un cantastorie agitato e apocalittico.

A testimonianza dello stato di grazia attraversato dal musicista, Jehovahkill (Island, 1992) e` un altro disco monumentale. L'opera e` anche troppo concettuale, gravata di simbolismi fino a sembrare un trattato medievale. L'umore apocalittico di Cope diventa grido allucinato di un profeta nel deserto, o semplicemente delirio di un demente nella sua cella di manicomio. Gli arrangiamenti delle canzoni sembrano quasi casuali, improvvisati sul momento, giusto per suonare qualcosa. Le armonie sono in effetti piu` free-form che razionali, piu` d'istinto che composte a tavolino. Soul Desert, Upwards At 45 Degrees, la lunga The Tower esprimono il metafisico confronto con il soprannaturale che e` il destino di tutti i poeti simbolisti ma le loro strutture aprono il doppio delle porte che chiudono (vedi l'incalzante riff di hardrock suonato alla chitarra acustica sul primo, il grido che rimane quasi solitario per tre minuti sul secondo, il calderone di pathos del terzo).
Cope finisce per fare la parodia di se stesso quando intona nel registro epico di un tenore la cupa parabola di No Hard Shoulder To Cry On, accompagnata in modo quasi comico da sintetizzatore, chitarra ed effetti vocali; o quando in Akhenaten una visione fiabesca viene contrappuntata da una fanfara di sassofono e da elettronica dell'orrore; o quando gigioneggia nella filastrocca di Fa-Fa-Fa-Fine. Sembra prendere in giro la propria stessa depressione.
Le musiche alla fine sembrano contare poco o nulla. Poco conta che i due strumentali (Necropolis, a meta` strada fra Who e Todd Rundgren; e The Subtle Energies Commission, jam incandescente alla Hawkwind) sperimentino sonorita` piu` robuste; o che Poet Is Priest indovini una fusione spettacolare di Suicide, new age, soul e techno; il disco appartiene a vezzi come Julian H. Cope, un trascinante blues acustico degno del primo Taj Mahal. Il disco trabocca di idee che la mente "malata" di Cope riesce soltanto a pensare per pochi secondi, ma non a ghermire e plasmare in un linguaggio comprensibile. Fear Loves This Place, una ballata marziale degna del rock proletario americano che e` l'unica canzone normale, sembra un sopravvissuto in mezzo alle rovine. Forse troppo indulgente per essere anche musicale, Jehovahkill e` pero` abbastanza universale da essere comunque grande Arte.

Prolifico fino al delirio, Cope da` alle stampe la seconda parte di Skellington (Zippo, 1993), il suo flusso di coscienza e alter-ego musicale, e due album d'avanguardia psichedelica, Rite (Zippo, 1993), una raccolta di quattro lunghe suite di acidrock alla Amon Duul II (a cui fara` seguito Rite 2 nel 1997, forse il suo tributo piu` esplicito al rock tedesco degli anni '70, contenente le quattro lunghe suite Var, Hill of Odin, D.c.o.m.p.o.s.e.r., The Ringed Hills of Var), e Queen Elizabeth (Echo, 1994), una collaborazione con Thighpaulsandra a cui fara` seguito Elizabeth Vagina (Head Heritage, 1997).

Cope pubblica anche due libri dedicati ai complessi tedeschi che lo hanno influenzato. Il suo atteggiamento sembra essere sempre piu` insofferente nei confronti dell'industria discografica, del pubblico, del mondo, della vita.

Autogeddon (American, 1994) e` quantomeno schizofrenico: da un lato lo presenta nei panni del folksinger arrabbiato, logica continuazione delle esternazioni polemiche del disco precedente; ma dall'altro recupera ed esagera la sua passione per i grandi complessi tedeschi degli anni '70. Autogeddon Blues prende la forma ballad di Dylan e la porta all'esasperazione, finendo per strillare come un ossesso (un po' sullo stile di Patti Smith). I Gotta Walk ricorre alla forma della novelty per sfogare il suo sarcasmo. Madmax prende in prestito il baritono profetico di Cohen, Don't Call Me Mark Chapman il registro fiabesco di Donovan. Il bardo piu` lunatico dell'universo si cimenta persino nella miniopera in tre parti (blues dimesso, motivetto da musichall e hardrock psichedelico) di Paranormal In The West Country e si lascia invischiare negli undici minuti di jamming strumentale di s.t.a.r.c.a.r. Il disco completa la trilogia "ambientalista" di Peggy Suicide e Jehovahkill, ma fallisce sotto tutti i punti di vista.

Il Cope filosofo che si nasconde dietro le mille metamorfosi del Cope giullare balza in primo piano con 20 Mothers (Echo, 1995), un lavoro meno apocalittico e piu` "umano", sempre estroso e bizzarro, ma anche domestico e pubblico. Wheelbarrow Man e` un inno degno dei Grateful Dead, mentre I Wandered Lonely As A Cloud e` un'aria classicheggiante (contrappunti di violini e violoncello). Il talento melodico di Cope s'impenna soprattutto nel ritornello orecchiabile e nel chitarrismo incalzante di Try Try Try. Highway To The Sun fa le fusa alle armonie eccentriche della prima psichedelia dei Pink Floyd; Just Like Pooh Bear praticamente tracopia il synthpop dei Dead Or Alive; Road Of Dreams scodella persino un kitsch orchestrale, un incrocio fra la Yesterday dei Beatles e una serenata messicana; 1995 traspone il soul progressivo dei Traffic in Medioriente. Cope si congeda, appropriatamente, con il de profundis di When I Walk Through The Land Of Fear, con tanto di coro e organo a canne. E` uno spettacolare ritorno alla sua forma migliore, anche se forse 20 canzoni sono troppe per un balzano imprevedibile come lui.

Interpreter (Echo, 1996) mette a frutto gli esperimenti degli album sperimentali in dense atmosfere di tastiere elettroniche per canzoncine come Planetary Sit-In (la piu` orecchiabile), I've Got My TV and My Pills e Since I Lost My Head It's Awl-Right. Ma il resto del disco e` ancora all'insegna della follia incontenibile di questo giullare del rock psichedelico, dalla medievale Maid Of Constant Sorrow alla futurista Cheap New-Age Fix, dal cabaret di The Loveboat all'operetta di Space Rock With Me.

Virtualmente inesauribile, Cope mette in moto valanghe di idee che straripano di spunti folk, soul, gospel, rhythm and blues. Chiuso nella sua impenetrabile torre d'avorio, stringendo al petto il suo bagaglio di fierezza, lo smisurato poeta canta le miserie del mondo esterno, impietosa voce narrante di questo romanzo senza storia che e` l'avventura umana. Proprio nell'impadronirsi di ogni singolo genere della nostra civilta` musicale, Cope esprime il suo totale rifiuto di quelle tradizioni.

Eccentrico fino alla pazzia, Cope ha dalla sua una straordinaria facilita` di "affabulazione" musicale, che rende piacevole e profonda qualunque sua canzone. Se non sempre e` riuscito a sfruttare questo talento per trascenderlo, Cope e` pero` riuscito nell'arco della sua movimentata carriera a ritagliarsi una nicchia di pessimismo romantico che, lungi dal collocarlo in ambito decadente, lo affratellano semmai a poeti come Leopardi, Keats e soprattutto Holderlin.

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Unfortunately, at the turn of the century Cope discovered that it was easy and cheap to self-produce and distribute albums, and began to release all sorts of inferior-quality music. Odin (1999), his most experimental album, is one 73-minute composition, Breath of Odin, that lays a sinister mantra over an electronic soundscape Ten minutes would have been plenty.

A number of albums marked a sudden passion for old-fashioned hard-rock and punk-rock: An Audience With the Cope (2000), and L.A.M.F.'s Ambient Metal (2001), including two embarrassing jams, the 23-minute The Death of the Motherculture at Mona Mam Gymru and the 17-minute The Neolithic Goddess. Brain Donor was a collaboration with Thighpaulsandra and members of Spiritualized devoted to raw and primal psyched-out garage-rock a` la Stooges that released Love, Peace, and Fuck (2001), including the 13-minute Odin's Gift To His Mother, Too Freud To Rock'n'roll Too Jung To Die (2003) and Drain'd Boner (Invada, 2006). Their first two albums were compiled on Brain Donor (Mister E, 2005).

Rite Now (2002) was the third installment in the tedious Rite saga. Rome Wasn't Burned In A Day (2003) is his worst collection of melodic songs. Rite Bastard (2006) closed the Rite saga, perhaps the worst of the series.

The double-disc (but only 72-minute long) Citizen Cain'd (Lain, 2005) is, surprisingly, his most coherent album in a while and, surprisingly, in a very unlikely style: the Stooges are the main influence on songs such as Hell Is Wicked (basically a rewrite of I Wanna Be Your Dog) and Living In The Room They Found Saddam In, while the lighter melodies, such as the 12-minute Feels Like A Crying Shame, Homeless Strangers and Stomping Dionysus, straddle the border between Neil Young and early Julian Cope (the ruthless folk storyteller meets the exuberant melodramatic tunesmith). The emphatic finale of Edge Of Death mixes the good news (a renewed focus on meaning) and the bad news (the same annoying self-indulgence of the free-form experiments). This markedly superior album of the new century helps view 15 years of Cope's career as an utter failure: the last truly accomplished album that he released was Peggy Suicide, which at the time didn't even look that interesting but 15 years later looks like a milestone in his discography. From a composer of Cope's caliber one would have expected Peggy Suicide to be merely a transitional work, not his swan song.

Dark Orgasm (2005) is a bit too erratic, even by his standards, and relies too much on quoting his favorite artists from the past.

The double-disc You Gotta Problem With Me (2007) was another sprawling, redundant and amateurish collection that rarely offers interesting music. The nine-minute Doctor Know sounds like David Bowie fronting the Stooges on an under-produced bootleg.

Julian Cope's Black Sheep debuted with the double-disc Black Sheep (2008), that was still credited only to him, and officially with the double-disc Kiss My Sweet Apocalypse (Invada, 2009), a collection of lengthy jams of Marxist-agitprop tribal shamanic psychedelia.

Julian Cope continued to flood the market with double-discs of dubious artistic value such as Psychedelic Revolution (Head Heritage, 2012) and Revolutionary Suicide (Head Heritage, 2013), containing the 16-minute The Armenian Genocide and the eleven-minute Destroy Religion.

The double-disc Revolutionary Suicide (2013) contains the 16-minute The Armenian Genocide, a somber recited shuffle, the eleven-minute Indian-esque chant Destroy Religion, and a bunch of faceless folk-ish songs that are hardly musical. Drunken Songs (2017) is ostensibly a concept about alcoholism that ends with the rambling 19-minute On the Road to Tralee.

Skellington 3 (Head Heritage, 2018) was another collection of awful leftovers.

John Balance Enters Valhalla (Head Heritage, 2019) contains two lengthy quasi-orchestral instrumentals: the 14-minute cacophonous sound collage Positive Drug Test and the 15-minute bombastic military dance John Balance Enters Valhalla. Despite the filler, it's Cope's best album in a while.

Self Civil War (Head Heritage, 2020) is mostly devoted to regular songs, except for two lengthy pieces. The theatrical recitation over loose jamming of Requiem For A Dead Horse sounds like a tribute to both prog-rock of the 1970s and to Jim Morrison of the Doors. The closer, A Victory Dance, is just self-indulgent musical doodling.

England Expectorates (2022) is a collection of political songs and assorted rants (Cunts Can Fuck Off). The hippy has finally become a grumpy old man.

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