King Snake Roost
(Copyright © 1999 Piero Scaruffi | Legal restrictions - Termini d'uso )
From Barbarism To Christian Manhood, 6.5/10
Things That Play Themselves, 8/10
Ground Into The Dirt , 7/10
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Insieme alle opere coeve di gruppi americani come Killdozer, Die Kreuzen e Big Black, gli australiani King Snake Roost posero le basi per superare l'hardcore in potenza e disperazione con un sound mediato dal blues e dal garage-rock.

Il gruppo si formo` a Sydney a meta` degli anni '80 sulle ceneri dei Grong Grong, un complesso di selvatico punkrock alla Birthday Party immortalato su un album omonimo (Alternative Tentacles, 1985).

From Barbarism To Christian Manhood (Aberrant, 1987), il primo album, e` un fantastico affresco dell'universo punk, un denso aggregato di suoni oscuri che rende le canzoni uniformemente ispide. Era un suono ben piu` complesso della minimale furia del punk-rock. La dizione ruggente e pochissimo melodica di Peter Hill, le evoluzioni jazz della chitarra di Charlie Tolnay, le ripetizioni ossessivamente funky del basso di Michael Raymond, la batteria fumante di Bill Bostle, ricordano i Minutemen e persino Sonny Sharrock. Il gruppo sfoggiava una propensione a deformare il blues (come nella loro sigla, il jump blues di King Snake Roost, e nel boogie sferzante di Fat City) e a eccedere in tribalismi (a fine gotico, come in Godzilla, o apocalittico, come in Napalm Factory, o sarcastico, come nel voodoobilly sgangherato di Buffalo Bob, uno dei vertici del disco). Le due forme base trovavano un temporaneo punto di raccordo nel paradossale assolo di armonica a passo di pow-wow di Medusa's Leer, un brano soltanto strumentale. Nevrotico fino a rasentare i Contortions (Dead All Over) e brutale fino a rasentare i Birthday Party (Lonely Hearts Club), il disco apriva nuove prospettive al rock australiano.

L'opera era comunque quasi interamente composta da Raymond, che dopo quell'album lascio` il complesso, rimpiazzato da David Quinn.

I King Snake Roost dovettero pertanto ricostruirsi un'identita` sul successivo Things That Play Themselves (Aberrant, 1988), e ci riuscirono facendo perno sui loro assi: l'accoppiata di tribalismo sfrenato e chitarrismo creativo (Worm's Eye View), il jazz deragliante di Tolnay (il capolavoro strumentale D.T.'s, con sassofono freejazz, seconda chitarra, cadenza omicida e i feedback piu` acuti della loro carriera, e il non meno glorioso Fried, un bebop anni '50 orrendamente stravolto), il blues rivisto in senso punk (il boogie viscerale di The Ledge Does Vegas, una versione piu` swingante degli ZZ Top, o il boogie ipercinetico di Shunting Yard, una versione piu` amfetaminica degli ZZ Top). Non che siano venute meno le dissonanze (anche di pianoforte, oltre che di chitarra, su Everything Falls Apart), le concitazioni funky (Hammerhead), i tribalismi caotici (Acid Heart), che anzi trionfano (tutti insieme) nelle pareti rocciose alla MC5 di Gutterbreath, ma semplicemente adesso c'e` del metodo anche nella loro follia. Persa la monodimensionalita` funk, il sound acquista in compattezza e versatilita`. Il disco e` il piu` accessibile della trilogia.
Disco tutt'altro che facile, Things accomuna tanto la difficolta` insita in un discorso molto complicato quanto l'ostilita` di un idioma dalla pronuncia sgradevole, avendo sposato l'innovazione piu` audace allo stile piu` ruvido.

Ground Into The Dirt (Aberrant, 1990) si spinse ancor piu` in territori sperimentali alla Minutemen. A rubare la scena e` soprattutto Tolnay (You Are The Night, bebop dissonante alla Lounge Lizards, o i virtuosismi post-"hendrixiani" di Adrenitude). I soliti tribalismi (esemplare quello di Top Shelf, uno dei brani piu` lineari) vengono pertanto sposati a figure (a)melodiche piu` audaci e prominenti della chitarra. Ne scaturiscono partiture vorticose e minacciose come Crowbar, minimaliste alla Sonic Youth come Can Of Worms, quando non palesemente cacofoniche (Pressure Cooker), che sembrano voler coniare un grunge caotico e dissonante (Sledge). In quelle forme convulse e tenebrose possono allora compenetrarsi grugniti alla Beefheart e fendenti di chitarra alla Jimmy Page (Travel Was A Meat Thing). Possono emergere sovratoni da tragedia brechtiana (Cannonfodder) o da film dell'orrore (I Am Hog).

King Snake Roost crafted a masterpiece of casual aberration, Things That Play Themselves (1988), as dark and hot as hell itself. Their hardcore was mixed with raw, primitive, clumsy blues and jazz, enhanced by Charlie Tolnay's scorching guitar, and, under the apparent artlessness, referenced a multitude of styles, from Minutemen to Sonny Sharrock. Ground Into The Dirt (1990) lost some of the intensity, but was even more experimental.
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