I Rosa Mota sposarono il revival psichedelico in corso in Gran Bretagna negli
anni '90 al noise-rock Americano degli stessi anni, ottenendo un ibrido
quantomeno unico.
Formati da Ian Bishop (ex Ultra Vivid Scene)
e Julie Rumsey, i Rosa Mota facevano leva su
un triplo assalto chitarristico per le loro viscerali,
traumatiche partiture strumentali, reminescenti di
Sonic Youth e Flaming Lips.
La loro gavetta comincia nel 1993 e passa attraverso il minialbum Drag For
A Drag (Placebo), con Baby Flower e Riverblind, l'EP Seven Inch Sulk,
con Stop/Start e l'EP Spanish Fly Club (Flower Shop).
La definitiva affermazione arriva con Wishful Sinking (Mute, 1995),
ricco di brani movimentati e imprevedibili, che alternano lunghe improvvisazioni strumentali a
riff di hardrock ad armonie vocali psichedeliche. L'Egoiste prende forma in un labirinto di
citazioni, dal jazzrock di Canterbury al jamming dimesso dei Galaxie 500, dal raga minimalista dei
Velvet Underground ai rintocchi-suspense dei Sonic Youth. Little White Horse sembra una
parodia di canzone, con quel ritmo che incespica di continuo e una fanfara sbilenca di fiati che fa
periodicamente cilecca. Il tribalismo vertiginoso di Hopey viene spezzato infinite volte da trance
eroinomani.
Il crescendo psichedelico alla White Rabbit (Jefferson Airplane)
di Smack Crash e il
riff ruvido e trascinante da boogie di Asbestos Frenzy danno la misura dell'eclettismo del gruppo,
che per buona misura scodella anche un ritornello demenziale come Unrequited Love Song e
un'orgia cacofonica come Big Fat Arms. Il tallone d'achille del gruppo sono le parti vocali, quasi
sempre approssimative e scoordinate. Ma l'effetto d'assieme e` indubbiamente allucinogeno come
desiderato.
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