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Il tedesco Sven Vath fece scalpore nelle discoteche di Francoforte come
disc jockey fin dall'età di diciassette anni.
Nel frattempo suonava negli Off, che ebbero un paio di hit e pubblicarono
due album (nel 1988 e 1989), e poi nei Mosaic.
Vath apri` un'era importante nella storia del techno tedesco quando apri`
(fisicamente) il club "Omen". Tre anni dopo, per far fronte alla crescente
domanda di dischi, formo` anche la propria etichetta, la Eye Q.
Vath invento` la "progressive-house" con la raccolta
di brani ambientali Accident In Paradise (Eye Q, 1993), frutto della
collaborazione con Ralf Hildenbeutel (di formazione classica,
il quale ha a sua volta un proprio progetto, Earth Nation).
Ritual Of Life (un lungo crescendo tribale di sitar e tabla), Caravan
Of Emotions (stasi spaziale, assenza totale di ritmo, elettronica stilizzata da thriller, lente figure che
si ripetono all'infinito, un pulviscolo di rumori in sottofondo),
L'Esperanza (suo massimo hit, un
ritornello che si fa luce da una cadenza discreta e soffi eterei), Mellow Illusion (lunga suite di
borboglii sintetici in un festival di drum-machine e sequencer), e Sleeping Juvenlion (canzona
rinascimentale per soprano, flauto e clavicembalo con sottofondo di fornaci infernali) traducono
(rispettivamente) la world-music tecnologica di Peter Gabriel, la musica cosmica di Klaus Schulze, la new
age elettronica, il ballabile robotico dei Kraftwerk, e persino il madrigale rinascimentale, per la
generazione dei rave.
Bisogna aspettare la title-track per ascoltare una sfrenata baraonda elettro-
ritmica per discoteca. Vath sceglie di inquadrare gli splendori occulti del patrimonio musicale (rock e
non) attraverso la lente deformante della musica da ballo, e finisce per mettere a fuoco il rapporto fra
individuo e storia dalla prospettiva inusuale di disc-jockey. Il suo montaggio storico abbandona la sfera
religioso-rituale di tanta musica da trance e abbraccia invece quella laico-mondana, coerentemente con il
tema della scomparsa dell'introspezione che sottende tanto techno.
Vath continua a sperimentare la sua fusion di techno, trance e house su
The Harlequin The Robot And The Ballet Dancer (Eye Q, 1994). L'album
e` molto piu` ballereccio e ancor più esotico:
Harlequin Plays Bells e`
impostato su un frenetico battito gamelan delle percussioni etniche;
Harlequin The Beauty And The Beast su un ancor piu` frenetico battito
afro-brasiliano;
The Birth of Robby su un samba-reggae che verso la fine acquista
un accento dub.
Le variazioni sono pero` minime e ciascun brano si protrae un po' troppo
a lungo.
Finalmente,
Robot prescinde dalle velleita` etniche e sfodera semplicemente un
balletto meccanico di grande efficacia.
Ballet - Romance raddoppia il ritmo e poi lo accelera di nuovo,
accostandolo a sospiri sinfonici.
Il Vath ambientale si rifa` vedere in
Harlequin's Meditation. Questa suite di tredici minuti si apre con
bollicine di elettronica futurista alla Gong e sbuffi di flauto, e lascia
trasparire poco alla volta una melodia angelica immersa in nuvole di suoni
celestiali.
Ballet Dancer e` il pezzo piu` sofisticato, una sonata
classicheggiante per pianoforte e violini. Peccato che sia soltanto un'appendice
e non il cuore del disco.
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