- Dalla pagina sui The Body di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

The Body, un duo del Rhode Island, ha mescolato post-rock e doom-metal su The Body (Moganono, 2004). Ci vuole un'eternità perché il primo pezzo, Untitled, esca dalla sua apatica ripetizione ampollosa, un esercizio di trance gotica. Il fervore disperato di The City Of The Magnificent Jewel e la frenesia stregata di Culture Destroyer sembrano antitetici al lento e calmo viaggio psichico di Falling. I 14 minuti di Final Words ritornano ai toni enfatici del primo pezzo, tranne per il fatto che c'è molta isteria e dolore sotto il malvagio e massiccio muro sonoro vorticoso e qualcuno sta urlando a dirotto. Purtroppo il secondo tempo allenta la tensione e muore semplicemente di inedia.

Il duo ha fatto seguito a quell'album con due EP, Copkiller (2005) e Even The Saints Knew Their Hour Of Failure And Loss (2006), ma poco altro.

Finalmente, All the Waters of the Earth Turn to Blood (At A Loss, 2010) ha segnato un impressionante passo avanti in tutte le direzioni. La musica ispirata al doom è intrisa di effetti sonori di ogni tipo. Per otto minuti un coro di 13 voci intona lo statico madrigale a cappella di A Body prima che i tamburi rimbombanti, la chitarra a forma di sirena e le urla infernali si levino da un'esplosione vulcanica. Empty Hearth è costruito attorno a un effetto vocale creato trattando elettronicamente un campione vocale mentre un ritmo lento e stridente e accordi di basso ronzanti accompagnano un ululato sciamanico. Le canzoni sono precedute e permeate di interferenze estranee. Quando non ci sono effetti che deviino il significato della cerimonia, c'è una ripetizione fedele, per esempio in Ruiner, come era nel loro primo album.
Raramente si avverte il pieno impatto del loro doom rock. A Curse inizia con l'improbabile connubio tra gli schemi ritmici intelligenti dei This Heat e la cupa pesantezza dei vintage Swans prima di erigere un terrificante tsunami di suoni attorno alle consuete vampate di grida distorte. I 14 minuti di Lathspell I Name You sono un tour de force ritmico (con il batterista Lee Buford affiancato da otto batteristi ospiti) intrecciato con lamenti di violino e voci angeliche. Dopo un confuso intermezzo, il pezzo diventa un semplice rituale di autoflagellazione da parte di un lupo mannaro suicida.

Nothing Passes (At A Loss, 2011) documenta le performance con Braveyoung.

Anthology (Corleone, 2011) raccoglie brani non contenuti negli album.

Haxan Cloak ha prodotto il quarto album dei Body I Shall Die Here (2014), che contiene sei canzoni più lunghe: To Carry The Seeds of Death Within Me (6:30), Alone All The Way (5:22), The Night Knows No Dawn (7:38), Hail to Thee, Everlasting Pain (5:58), Our Souls Were Clean (5:23), Darkness Surrounds Us (9:11).


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