- Dalla pagina su Funeral Mist di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

Funeral Mist, il progetto del chitarrista e cantante svedese Arioch (Hans Daniel Rosten), che ha anche cantato in alcuni album dei Marduk (camuffato sotto il moniker Mortuus), ha debuttato con l'EP Devilry (Shadow, 1998) ed è riuscito a raggiungere sia una velocità estremamente violenta sia una pesantezza estremamente densa in Salvation (Norma Evangelium Diaboli, 2003), un album black-metal per eccellenza. Il ringhio di Agnus Dei è sommerso da una massa contorta di riff degenerati e blastbeat. Perdition's Light seppellisce la declamazione sotto strati di sonorità gratuita. Bread To Stone (l'unica canzone sotto i tre minuti) non fa altro che accumulare caos. Per bilanciare lo spessore del rumore, Funeral Mist introduce instabilità e varietà. Meglio ancora, Sun Of Hope cambia ritmo più volte, iniziando in modalità Ramones e procedendo attraverso una sezione di vaudeville stomp per poi terminare con un baccanale satanico (pieno di coro exoterico). Across The Qliphoth va avanti e indietro dal galoppo insensato alla balbuzie agonizzante. Ciò nonostante, l'ordine e persino una progressione melodica emergono dal vortice frenetico di Breathing Wounds, una tiritera canticchiabile emerge dal ritmo isterico di schiaffi di Realm Of Plagues, e la pompa midtempo erutta dalla massa distorta di Holy Poison, l'album include due lunghi pezzi: Circle Of Eyes da 13 minuti, che vanta la voce più gotica del batch e un banchetto uniforme di colpi e graffi dall'inizio alla fine, e In Manus Tuas di 12 minuti, una faticosa danza mortale con una sonnolenta coda strumentale di musica da camera.

Erano in programma esperimenti ancora più non ortodossi. Maranatha (Ajna, 2009) si apre con una contraddizione: il continuo assalto infernale di Sword Of Faith seguito dal lento melodrammatico White Stone. Gli otto minuti di Jesus Saves si orientano verso quest'ultimo, evitando l'attacco frontale per una dinamica virulenta ma intelligente, che ricorda l'hard rock progressivo degli anni '70. Quella contraddizione ha generato le anime torturate di Living Temples e soprattutto di Anathema Maranatha, divise tra un rumore stridente estremo e folli esplosioni emotive. Blessed Curse, di 12 minuti, è costruito attorno alla recitazione di un predicatore e la voce non fa altro che urlare mentre la batteria mantiene un ritmo costante: il peso della canzone è sulle spalle dell'antemica e distorta chitarra. Ironicamente finisce per suonare come una versione più veloce e stravagante di una parodia rock'n'roll dei Cramps. I sette minuti di Anti-Flesh Nimbus, l'apice gotico dell'album, sono una lenta marcia verso una luce accecante. Un coro celebra l'apoteosi del male. Maranatha ha utilizzato le basi gettate da Salvation per trascendere i generi e mettere in scena un dramma universale.

Passano quasi dieci anni prima del lavoro successivo, il suo terzo album in studio, Hekatomb (Norma Evangelium Diaboli, 2018), con Lars B alla batteria.


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