- Dalla pagina sui Shogun Kunitoki di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

Le rapsodie d'organo, scarne, esuberanti e propulsive, scatenate dal quartetto finlandese Shogun Kunitoki sull'album interamente strumentale Tasankokaiku (Fonal, 2006) occupavano una nicchia a metà strada tra il ritmo "motorik" dei Neu e i pattern ripetitivi della musica minimalista. I sottili loop metallici di tastiera di Montezuma evocano il minimalismo spirituale di Persian Surgery Dervishes di Terry Riley. C'è anche una inquietante qualità nostalgica nella loro musica: l'organo intona un coro bubblegum in Leivonen, e Tropikin Kuuma Huuma imita la musica da spiaggia e orchestrale degli anni '60. La pulsazione è protagonista delle mutazioni di Daniel, dal boogie leggero al martellante galoppo industriale sferzato da sintetizzatori galattici. Verso la fine la band esaurisce le idee e la qualità cala significativamente (il trippy e robotico Tucevaisuus - Menneisyys=1, il rockeggiante 1918-1926) con i droni senza meta di Piste che abbandonano persino il ritmo.

Vinonaamakasio (Fonal, 2009) ripete l'impresa con gli stessi strumenti e più energia. Quindi Mulberg risulta quasi viscerale rispetto alla vena spirituale e infantile del primo album. Riddarholmen si avvolge a spirale in modo circolare a metà strada tra una fuga di Bach e una jam dei Velvet Underground. Allo stesso tempo, le loro radici sono più evidenti. La frenetica propulsione di Svileto sembra ispirata alle danze popolari suonate con la fisarmonica, così come il flusso di coscienza di Holvikirkko sembra ispirato ai canti popolari nordici. Giocano con nuovi concetti nel raga discordante di Fuzzabeth Crackleby e nel bolero vorticoso di Nebulus. Nel complesso, la musica suona meno spontanea e toccante rispetto al debutto.


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