- Dalla pagina su Streets di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
Streets è un progetto di Mike Skinner (Birmingham, 1979), un rapper bianco inglese che è saltato sul carro delle ultime mode dance ("garage" e "two steps") trasformandole in strumenti per costruire inni generazionali, come il suo singolo di debutto Has It Come to This (On, 2001).
Pur essendo spesso tedioso e monotono, Original Pirate Material (Atlantic, 2002) ha trasformato The Streets nell’equivalente inglese di Eminem.
Almeno Turn the Page e It’s Too Late meritano questo onore, grazie alla loro arte documentaristica e al ritmo coinvolgente. Ma la musica è per lo più prevedibile e banale, per metà rappata e per metà cantata.
A Grand Don’t Come For Free (Atlantic, 2004) è una specie di hip-hop opera, le cui canzoni sono tutte in qualche modo collegate dalla storia di una certa quantità di denaro andato perso. È solo un pretesto per un’analisi in stile Kinks e una diagnosi della società Britannica di fine secolo. La musica si rivela di gran lunga più avventurosa rispetto a quella dell'esordio (Blinded by the Lights, Could Well Be In, It Was Supposed to Be So Easy, Empty Cans) nonostante il messaggio sia un po' meno vivace.
Il terzo album di Mike Skinner come The Streets, l'autobiografico The Hardest Way To Make An Easy Living (Vice, 2006), più che un documentario è stato piuttosto autoindulgente ed esibizionista. Il risultato è stato di gran lunga inferiore a quello dei primi due album.
Everything Is Borrowed (2008) è una raccolta mediocre di rap prevedibili.
Computers & Blues (2011), annunciato come l'ultimo album a nome The Streets, riproponeva pigramente vecchie idee, alcune delle quali leggermente ballabili (Trust Me, Without Thinking ) mentre altre erano semplicemente senza uno scopo.
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