- Dalla pagina su Tamaryn di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

La cantautrice neozelandese Tamaryn Sitha Brown (1982), che si era trasferita prima a New York e poi a San Francisco, ha lanciato il suo progetto “solista” con l'aiuto del chitarrista Rex John Shelverton dei Vue.
L'EP di debutto autoprodotto Led Astray, Washed Ashore (2008) prometteva di rivoluzionare gli stereotipi del dream-pop e dello shoegaze-pop.

Il suo sussurro sensuale domina, ma anche limita, The Waves (Mexican Summer, 2010), a tal punto che Shelverton ha bisogno di aggiungere strati di arrangiamenti roboanti alle canzoni. The Waves rilancia il vecchio idioma dello slo-core, come praticato da Galaxie 500 e Mazzy Star, soltanto con un sacco di clangore di chitarra in più. Il ritmo, tuttavia, degrada a un esagerato strisciare in Choirs Of Winter, sebbene l'altrettanto lento Coral Flower riesca a evocare una sana dose di cosmica trance e il ritmo quasi scompare dall'ultraleggero Haze Interior. Le canzoni più vivaci se la cavano molto meglio, che si tratti di Love Fade, ossessionata da una chitarra stridente, o della tribale e acida Sandstone, che evoca una più calma Siouxsie Sioux. Lo spettro della più austera Nico, tuttavia, è molto più difficile da evocare, come dimostra la solenne e desolata Dawning. Il problema più serio dell'album è la cronica carenza di buone melodie per accompagnare l'impostazione atmosferica, qualcosa che viene parzialmente rimediato soltanto con la vicina Mild Confusion.

Una produzione all'avanguardia e sfumature dark-punk alla moda mascherano la fondamentale carenza di ispirazione su Tender New Signs (Mexican Summer, 2012). Tamaryn brilla quando trova un improbabile equilibrio tra l'ingenuità dei gruppi femminili e la decadenza del trip-hop, come nella vertiginosa Heavenly Bodies.


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