Dalla pagina di Jpegmafia di Piero Scaruffi
Il
rapper di Baltimora JpegMafia, pseudonimo di Barrington Hendricks, fece quattro
anni di militare e visse per qualche tempo in Giappone. Cominciò la sua
carriera rilasciando cassette di stampo sociopolitico (in particolare sul
razzismo) come Communist Slow Jams (2015) e Darkskin
Manson (2015).
La cassetta Black Ben Carson (2016) è
diviso in due lati. Il lato "Nigger" è quello politico, rabbioso e
terrorista. Si apre con due manifesti esistenzialisti: Drake Era (recitazione
informale e colloquiale avvolta in elettronica horror cinematografica) e Jpegmafia
All Caps No Spaces, (ritmo spastico immerso in un'atmosfera industriale a
livello dei Nine Inch Nails). L'incubo diventa
ancora più oscuro con la nevrosi abrasiva di Digital Blackface,
trafitta da un rumore che sembra un ammasso di rottami metallici che cadono sul
pavimento. L'assalto psicologico continua con i paesaggi sonori vorticosi
di Cuckold e You Think You Know, e con un tono minaccioso
ed intimidatorio che rasenta il criminale. Dopo la musica si disintegra nelle
texture sparse, tese e gracchianti di Motor Mouth e
soprattutto di Black Ben Carson, la colonna sonora della malattia
mentale. Dall'altro lato, il ritmo isterico metronomico di Black Steve
Austin rivela una febbre da moribondo. Il lato "Peggy" è
quello introspettivo, confessionale, diaristico. Comincia con la trance noir,
desolata di I Just Killed A Cop Now I'm Horny, e dopo la musica
cerca un equilibrio tra drammatico e traumatico attraverso canzoni come Plastic,
un ibrido tra danza tribale e musica concreta, Boi, un collage
psichedelico chill ambient, LL Cool J, un folle tributo in un
ospedale psichiatrico, Face Down Ass Up, un teatro di elettronica e
voce distorte, e Try Me, la convergenza più straziante di beats
apocalittici, elettronica sci-fi e recitazione chirurgica. Inevitabilmente,
questo secondo lato tende ad essere più parlato e meno musicale. L'album
straripa di idee originali, e la produzione convulsa, abrasiva funziona come
dinamite che fa esplodere queste idee.
L'album Veteran (Deathbomb Arc, 2018)
(di 19 canzoni) è tanto vario quanto inconsistente, e si dipana in un vasto
spettro di collage aurali, ma la maggior parte di questi appena scalfiti.
Viaggiamo dalla lounge muzak di 1539 N. Calvert all'isteria
demente di Real Nega, dal gioioso carillon I Cannot Fucking
Wait Til Morrissey Dies alla manipolazione vocale a raffica di Baby
I'm Bleeding, dal vuoto in espansione di Williamsburg (forse
il pezzo più disorientante) alla lenta grottesca fanfara zombie di Rainbow
Six. La sua idea di una canzone soul è il canto androide su percussione
caotica di Thug Tears. Alcuni arrangiamenti sfiorano la musica
concreta, come i riverberi acquatici deformati di Rock N Roll Is Dead.
I beats di DD Form 214 e Libtard Anthem sembrano
field recordings manipolati al computer.
All My Heroes Are Cornballs (2019) (di diciotto
canzoni) diluì ulteriormente l'impatto della sua tecnica di produzione.
L'atmosfera new-age di Grimy Waifu difficilmente eguaglia
il caotico assalto vocale di Jesus Forgive Me I Am a Thot.
Hendricks opta per un formato più accessibile: il soul-hop di Rap Grow
Old & Die x No Child Left Behind e Free the Frail.
L'esuberante creatività di Black Ben Carson si riconosce solo
nel magma ribollente di Prone. Di nuovo, molti di questi pezzi
corti sono a malapena tentati. L'esperienza, inevitabilmente, sembra
frammentata e gran parte di quest'album sembra riempitivo. (feels/fills)
EP (2020) contiene un esempio primo del suo
glitch-hop deformato, Bald, più il baccanale tribale Covered
in Money, l'acrobatico boom-bap beat di Cutie Pie, lo scomposto
jazzato The Bends, e la ballata neosoul ibrida Living
Single.
EP2 (2021) fa un'offerta più banale. Solo Panic
Room restituisce l'umore deviante dell'EP precedente.
L'LP (2021) di venti canzoni rappresenta un altro picco della tecnica di
composizione scrupolosamente non ortodossa di Hendricks. La strategia
minimalista delle vivaci Trust e Nemo indirettamente
enfatizza i loro arrangiamenti dadaisti. Il ritmo meccanico disorientante
di Dirty ed il collage vorticante Hazard Duty Pay sono
lo zenith di questo processo creativo. Il suo decostruttivismo a volte dà vita
a canzoni totalmente squilibrate come Tired Nervous & Broke (tra
rumore cosmico/industriale e chiacchierata informale), ma il più delle volte a
vignette sorprendentemente coese. L'incalzante e pomposa End
Credits è complementare alla caotica e sommessa Are U Happy.
Nonostante il suo flow non sia il migliore del mondo, risalta in Rebound e BMT.