- Dalla pagina sui Lycus di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
Dopo la demo Demo MMXI (2011), i Lycus, formati nella Bay Area di San Francisco dal batterista Trevor DeSchryver e dal chitarrista Jackson Heath, aggiunsero il secondo chitarrista Dylan Burton e debuttarono con il doom metal di Tempest (20 Buck Spin, 2013), contenente tre lunghi pezzi. Coma Burn, di undici minuti, mostra tutti gli elementi del doom classico: un ritmo funereo, un ringhio più che morto, una melodia di chitarra sconsolata che alla fine si trasforma in un inno solenne (ma anche una breve esplosione di energia dopo sette minuti). Engravings, di dieci minuti, si apre con un'aria operistica ma subisce diverse mutazioni, dal quasi-black metal al quasi-pop metal. Tempest, di venti minuti, esala tristezza fin dalle prime note di chitarra, ancor prima che il maestoso lamento disperato si levi come l'"om" di uno zombie. I blastbeat che scuotono le fondamenta della canzone dopo cinque minuti sono accolti da urla sovrumane che aggiungono solamente più dolore al dolore. Il problema è che gli alti e bassi di questa mini-opera prog-rock suonano un po' scollegati l'uno dall'altro; ma gli ultimi cinque droni di chitarra ondulati aumentano la malinconia con una sorta di desiderio spirituale. Il limite dei Lycus è che tutto suona troppo elegante e user-friendly, "carta da parati doom" che può essere consumata senza un vero coinvolgimento.
Chasms (Relapse, 2016) si apre con la composizione più teatrale, Solar Chamber (10:41), un catalogo dei loro trucchi distintivi, dal break black-metal alla febbrile distorsione della chitarra, ma il flusso sembra artificiale, come se diverse sezioni fossero state composte in momenti diversi. Allo stesso modo, ma meglio progettato, Chasms (13:06) cambia umore e stile un paio di volte, dall'inizio tranquillo al motivo di chitarra pop al minuto sei, dal coro apocalittico galoppante alla marcia ipnotica di distorsioni e grugniti che porta a un decadimento sonnolento cullato da un violoncello (Jackie Perez Gratz). Ognuno dei quattro pezzi vanta melodie memorabili e Mirage (7:27) è emblematico di come sappiano usare il violoncello per esaltarle. Infatti, per gli standard del doom-metal, Obsidian Eyes (12:23) è una ballata pop, con un assolo di chitarra (a sei minuti dall'inizio della canzone) che "canta" un ritornello pieno di sentimento e un contrappunto romantico di violoncello per le sezioni più rumorose. La band suona più coesa, soprattutto nel modo in cui le due chitarre si bilanciano a vicenda, nel modo in cui intrecciano la forte distorsione dell'una con i toni sentimentali dell'altra; e anche nel modo in cui interagiscono i due cantanti, con quello ringhiante che incombe su quello "pulito", senza mai annientarlo del tutto.
- Torna alla pagina sui Lycus di Piero Scaruffi -