Joseph Conrad



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Joseph Conrad (Poland, 1857)

"Almayer's Folly" (1895)

Almayer è l’unico bianco in una zona del Borneo. Giuntovi in cerca di fortuna e protetto da uno dei più ricchi mercanti, era rimasto intrappolato nelle trame politiche delle colonie olandesi e nelle faide tribali dei vari rajah. Ridotto ad un mediocre commercio, vive per la figlia Nina, mulatta ma cresciuta in un collegio bianco, la quale ha però scelto di tornare con lui nella giungla piuttosto che vivere discriminata per il colore della sua pelle. Almayer ha un solo amico, Dain, e sarà proprio lui, ricercato dalle autorità bianche per certi suoi complotti, a far innamorare Nina. Almayer fa di tutto per strappare la figlia a un destino di donna malese, ma alla fine deve sottomettersi. I suoi sogni di ricchezza e di potere si sono frantumati e non gli resta che morire.

"An Outcast of the Islands" (1896)

Lingard è il mercante bianco che ha conquistato una zona del Borneo. Suoi protetti sono Almayer e Willens, che si odiano. Willens è sposato alla figlia illegittima del ricco Hudig, che lo scaccia all’ennesima malefatta. Willens se ne va, e s’innamora d’Aissa, la figlia del vecchio pirata cieco Omar. Lakamba, mercante malay, si lascia convincere dal subdolo Babalatchi a tramare un’insurrezione contro il rajah Patalolo, e ad usare la passione di Willens; in cambio d’Aissa lo costringerà a tradire i suoi. Il piano riesce e Lingard, e con lui Almayer, è rovinato. Willens è divorato dal rimorso e non sopporta più la vista d’Aissa. Almayer compie la sua vendetta mandando Joanna da Willens; nell’apprendere che lui è sposato, Aissa gli spara. La degradazione di Willens.

"The Nigger of Narcissus" (1898) +

Baker, il secondo della Narcissus, fa l’appello della ciurma nel porto di Bombay: uno per uno sfilano i marinai, ciascuno con i suoi tratti caratteristici, dal vecchio Singleton (un bambino di sessant’anni) al lavativo Donkin; all’ultimo momento arriva Jim Wait, un negro alto e scostante.

Durante il viaggio Donkin si isola dagli altri, guadagnandosi la loro antipatia; da parte sua invidia i loro abiti caldi, perché lui, fuggito a precipizio da una nave americana dopo aver esagerato nel reclamare i suoi diritti, non possiede nulla. Jim si dichiara malato, ma fra i marinai serpeggia lo scetticismo, non fugato dalle sue plateali sceneggiate: gli uomini sono contesi fra l’idea che stia simulando (e, quindi, sia un vile bugiardo che si sta facendo beffe di loro) e l’idea che stia morendo (e debba, quindi, essere esentato dai lavori di bordo).

Richiesto d’un parere, il vecchio Singleton risponde: "morirà, certo che morirà!", ma Donkin gli fa notare che, prima o poi, tutti moriranno. Baker nota il nervosismo che si sta diffondendo fra la ciurma, e fa allestire una cabina separata per il malato (o presunto tale).

Quando la nave s’appresta a doppiare il Capo, si scatena una violenta tempesta; i marinai, in un clima polare, lottano per la vita, e, ad un certo punto, si rendono conto che Jim è rimasto intrappolato nella sua cabina: accorrono e cominciano a darsi spasmodicamente da fare per tirarlo fuori, rischiando la propria vita per salvare la sua. Lui si agita e strilla, come se la paura di morire gli conferisse nuova vita.

Passato il peggio, i marinai fanno l’inventario degli oggetti persi. Donkin smaschera la loro tragica esistenza: rischiano la vita per un tozzo di pane, e Jim, tutt’altro che grato, rinfaccia loro d’averlo quasi lasciato morire; quando, però, Donkin va a trovarlo, Jim scherza con lui sulla credulità dei camerati e gli confida d’essere già ricorso altre volte a quel trucco, ridendo di coloro che sgobbavano per tutto il viaggio, mentre lui se la godeva comodamente a letto, assistito da tutti, e , alla fine, intascava la paga come gli altri. Si strizzano l’occhio, Donkin tollerando la finzione nell’ottica "rivendicatrice" dei suoi principi; ma, mentre gli mormora di star bene, Jim ha veramente l’aspetto d’uno che sta male.

Il cuoco è convinto che lui stia recitando, e, essendo molto religioso, cerca di convincerlo a pentirsi ed a pregare con lui; il suo fervore quasi fanatico riesce soltanto a mettere il negro in imbarazzo; ma poco dopo il capitano Allistoms l’accusa pubblicamente di simulazione, e gli ordina di continuare a simulare, anche se ora pretende di stare meglio e vorrebbe tornare al lavoro; sembra che ora Jim cerchi di convincere sé stesso di star bene, come prima cercava di convincere gli altri che stava male.

In alcuni la presa di posizione del capitano suscita sdegno, in altri trionfo: si scatena una zuffa, e qualcuno scaglia un uncino contro il capitano, mancandolo di poco; divisa fra i due opposti pareri (quello cinico di Donkin e quello patetico di Belfast, il ragazzo che, come un fratello, accudisce Jim) la ciurma chiede invano a Singleton di pronunciarsi: il vecchio divaga, racconta di quando i negri viaggiavano schiavi e morivano a bizzeffe.

Individuato in Donkin il colpevole, il capitano non esita ad umiliarlo davanti alla ciurma, ordinandogli senza preamboli di rimettere a posto l’oggetto. Donkin tenta invano di scatenare la rivolta: affascinati dalla calma e dal coraggio del capitano, i marinai non si muovono, e Donkin deve sottomettersi; l’incidente è chiuso.

Le condizioni di Jim peggiorano al punto che tutti ormai capiscono la verità; Singleton dice che morirà quando la nave sarà vicino a terra, perché tutti muoiono così. Donkin va a trovarlo: gli grida in faccia che sta morendo e Jim tenta invano, penosamente, di atteggiarsi a furbo simulatore; Donkin gli dimostra che non può difendersi neppure da lui. Donkin prova un forte risentimento verso gli altri marinai, che non sono capaci di rendersi conto delle loro condizioni, che si comportano come pecore davanti al capitano e si fanno in quattro per un essere inutile come quel negro, che ha passato la vita a truffare il prossimo, mentre nessuno s’è mai preso cura di lui, Donkin, che s’è battuto per i loro diritti, che è l’unico altruista a bordo, l’unico che non sia semplicemente un manichino pieno di superstizioni e paura di morire, l’unico vero uomo, e, anzi, lo trattano come un verme e non lo considerano un vero uomo perché lavora di cervello e non di braccia.

Per vendicarsi di loro ha deciso di rubare il denaro di Jim, che rappresenta un po’ tutti loro; è un po’ come rubare un idolo sacro, commettere un sacrilegio per vendetta; lo fa sotto gli occhi del morente, che spira mentre Donkin esce inosservato dalla cabina.

La Narcissus arriva nel porto di Londra e i marinai, scesi a terra, si ritrovano al momento di ritirare la paga; fra essi Donkin è il meglio vestito; li insulta sprezzante: "work and starve!" ed annuncia di voler abbandonare la vita di mare, ma a terra continuerà a vivere d’espedienti e a blaterare sui suoi diritti. Il cuore di Conrad va con la ciurma, che riprenderà il largo per un’altra avventura.

Conrad conduce un doppio studio psicologico: l’effetto demoralizzante che l’agonia di Jim ha sulla ciurma ed il rifiuto della morte da parte di Jim stesso. La paura di morire domina il racconto da un capo all’altro; la scena dell’uragano è il faro della vicenda: gli uomini lottano per non morire e per non far morire Jim.

Il racconto intreccia tre drammi psicologici: quello del negro che sa di morire e, per nascondere a sé stesso questa verità, fa credere d’essere un genio che simula; quella di coloro che, come il capitano, l’hanno capito e fingono di credere nella malattia come se lui li avesse gabbati, mentre lo vogliono soltanto tenere a letto; e quello degli altri, divorati dal dubbio se si tratti d’un povero marinaio come loro alla fine della propria vita o d’un disonesto che, fingendo la malattia, vive gratis sulla nave, e perciò divorati dai due opposti sentimenti d’amore per l’uomo che ha dedicato la vita al mare, o d’odio per l’uomo che rifugge dagli obblighi cui tutti loro sono soggetti.

Gli uomini si riconoscono nella sua paura di morire, e la simpatia per l’uomo morente aumenta il loro disprezzo per il presunto millantatore: squartata da sentimenti così opposti, la situazione rischia di precipitare; si verifica un mezzo ammutinamento, effetto della demoralizzazione e della tensione dovute a quella presenza incompresa; ma con la morte del negro la nave può terminare in pace il suo viaggio, come se l’unico scopo di quel viaggio fosse stato di consentire al negro condannato a morte di fingersi attore e di credere inesistente la malattia mortale che lo consuma.

Il gioco delle finzioni lascia i marinai esterrefatti e senza fiato, la … che, pur nelle sue individualità, costituisce un pianeta a sé stante; il mistero della morte li affascina e li spaventa: la morte è l’unica certezza della loro vita.

"Lord Jim" (1900) +

Il giovane Jim, cresciuto in una missione, s’imbarca come secondo sulla "Patna", una nave che porta un gruppo di pellegrini, stipati nel suo ventre come bestie, alla Mecca. Durante una tempesta crede che la nave stia per affondare e l’abbandona; invece la nave riesce a raggiungere un porto. Viene aperta un’inchiesta e Jim finisce in tribunale; il capitano Marlowe racconta ai presenti la successiva storia di Jim, dal periodo del processo durante il quale Jim ricostruisce minutamente i momenti di terrore a bordo della nave impazzita e nel marasma dei corpi, fino alla radiazione ed alla fine d’un processo che lo disonora per il resto dei suoi anni. Per quanto Marlowe cerchi di sistemarlo presso conoscenti con varie mansioni, da questo momento Jim viene perseguitato dalla brutta fama di quest’episodio; la sua è una continua fuga per tutto l’Estremo Oriente, finché un mercante di nome Stein, amico di Marlowe, lo sistema in uno sperduto angolo della Malaysia, un’isoletta chiamata Patusan, dove riesce a ricostruirsi una vita ed a conquistarsi la stima degli indigeni. Prende il posto d’un portoghese, che, sposata un’indigena ora defunta ed avuta una figlia, era stato per anni l’agente di Stein in Patusan.

I personaggi più in vista del villaggio sono: il rajah Allang, zio del sultano, feroce aguzzino, Doramin, capo spirituale, e suo figlio Dain Waris, il primo combattente, che ha combattuto con Jim contro lo sceriffo Alì, e Jewel, la figlia di Cornelius, che custodisce uno smeraldo sacro e che va a vivere con Jim in seguito al suo trionfo su Alì. Tempo dopo riesce anche a sventare un tentativo di furto da parte di tre uomini dello sceriffo.

Quando ormai ha raggiunto i vertici del prestigio popolare (adesso Marlowe non racconta più a voce, ma tramite una lettera da lui spedita ad uno degli ascoltatori), Patusan viene travolta da una scorreria di Brown, una specie di pirata che ripara sull’isola con i resti dell’imbarcazione e della ciurma. Mentre, in assenza di Jim, Dain Waris organizza la resistenza, il perfido rajah ed il vile Cornelius contrattano con il pirata, proponendogli, in cambio d’un congruo compenso, d’uccidere Jim e consegnare l’isola nelle loro mani: infatti credono che Brown disponga d’una nave e di decine d’uomini armati; ma Brown li sta truffando, mira soltanto a saccheggiare l’isola. Quando Jim arriva, Brown chiede di parlamentare con lui e gli si presenta come un reietto che vuole avere ancora una possibilità di riabilitarsi, e perciò gli chiede di lasciarli partire. Memore del proprio passato, Jim non se la sente di condannare senz’appello quell’uomo: torna da Doramin e chiede ai vertici dei capi la libertà per quei bianchi; promette che essi non faranno alcun male ed offre in pegno la propria vita.

Invece Brown approfitta della nebbia per sorprendere gli isolani e compiere la sua razzia; dietro di sé lascia decine di morti, fra cui Dain Wari, ed un implorante Cornelius, che lo stregone ammazza con le proprie mani (dopo un naufragio che ucciderà i suoi cinque compari, Brown finirà sulla nave sulla quale Marlowe ascolterà la sua confessione, che trascriverà in questa lettera); a Jim non resta che offrirsi alla vendetta di Doramin, prostrato davanti al cadavere di suo figlio: un colpo di pistola trafigge il petto di Jim, compiendo il suo destino.

Storia "classica" dell’uomo che ha sbagliato una volta e invano cerca di riabilitarsi, del conflitto fra due civiltà. Al centro il tema più caro a Conrad: un uomo che vuole dare uno scopo alla propria vita.

"Heart of Darkness" (1902)

A Londra, Charlie Marlow racconta a tre amici una sua avventura da incubo, avvenuta quando decise d’affrontare, di ritorno da un viaggio in Oriente, un angolo sconosciuto del mondo, che l’affascinava fin dall’infanzia.

Recatosi, dietro raccomandazione d’una zia, alla Compagnia di Navigazione, che ha sede in una "città tomba", un "sepolcro bianco" (Bruxelles); l’imponente edifico è il simbolo dell’imperialismo europeo che sfrutta le terre vergini africane (in questo caso il Congo), indifferente alla sorte degli uomini che vi vivono e di quelli che vi manda a lavorare; il medico gli confessa che desidererebbe capire cosa cambia nella mente degli uomini che vanno a lavorare laggiù.

Il viaggio verso il fiume battuto dalla Compagnia è opprimente e costellato di foschi presagi. Alla stazione centrale conosce l’infido direttore e suo zio, capo d’una carovana diretta nell’interno, e sente parlare di Kurtz, l’agente della stazione interna, famoso per essersi ambientato a meraviglia e che periodicamente fa avere ingenti carichi d’avorio.

Dopo aver casualmente ascoltato una conversazione fra zio e nipote, da cui trapela la loro ostilità nei confronti di Kurtz, Marlow viene incaricato di guidare (in compagnia del direttore, d’un gruppo di pellegrini e d’una ciurma indigena) la spedizione attraverso una foresta inumana verso la stazione interna con lo scopo di riportare indietro Kurtz, malato e screditato agli occhi della compagnia: proprio Marlow è destinato a prenderne il posto.

Comincia la navigazione sul grande fiume: è il viaggio verso il cuore dell’oscurità, quella specie di buco nero in cui è scomparso Kurtz e da cui sgorga il prezioso avorio. Il viaggio trasporta Marlow indietro nel tempo, nelle ere preistoriche, a contatto con un genere d’esistenza primitivo; Marlow è mentalmente affascinato dal misterioso Kurtz, e non vede l’ora di vederlo da vicino. A cinquanta miglia dalla stazione interna, dentro un capanno abbandonato, trova un opuscolo, scritto da un ignoto Towson, e se lo porta dietro.

Nei pressi della stazione Marlow deve fronteggiare un doppio pericolo: quello dei tronchi che rischiano d’affondare la nave e quello d’una torma di cannibali urlanti che si nascondono lungo la riva cespugliosa; presi dal panico, i pellegrini sparano all’impazzata, ma è il fischio della nave ad incutere timore negli indigeni e disperderli, non prima però che una lancia abbia trafitto il timoniere negro; Marlow non può far altro che gettare il cadavere in acqua.

Alla stazione incontra un russo, fanatico di Kurtz fino al masochismo, che si rivela essere il proprietario del libro di Towson. È quest’uomo a rivelare che per i selvaggi Kurtz è ormai diventato un idolo vivente, e che né essi né lui vogliono che lui sia sostituito, che partecipa alle loro macabre cerimonie e che è stato proprio lui ad ordinare quella dimostrazione lungo le rive del fiume, come un monito.

Kurtz è molto malato, comunque non vuole abbandonare quella terra, e litiga con il direttore; ha dei grandi progetti: anni prima scrisse un libello retorico che terminava con "sterminare tutti i bruti!", ed ora ne ha scritto un altro che non vuole far finire nelle mani del direttore. Tenta di fuggire di notte, ma Marlow lo raggiunge e lo riporta indietro.

Alla partenza i selvaggi rumoreggiano, ma il fischio del battello li disperde, mentre i pellegrini danno sfoggio del loro coraggio ipocrita sparando nel mucchio. Kurtz spira durante il viaggio; le sue ultime parole sono: "l’orrore! l’orrore!"; affida a Marlow delle lettere ed una fotografia, mentre il direttore s’impossessa del nuovo libello. Marlow porta le lettere alla fidanzata e le mente pietosamente: le dice che le sue ultime parole sono state il suo nome, e che i progetti di Kurtz non saranno dimenticati.

Il racconto, verboso ed opprimente, conduce attraverso ambienti presaghi di morte: l’edificio della Compagnia, la foresta, il fiume. Il viaggio di Marlow è un viaggio d’iniziazione, attraverso gli oscuri recessi dell’animo umano, quelli che vengono stimolati da impulsi primordiali. Ad un certo punto Marlow s’è identificato con l’uomo di cui sta prendendo il posto, e quando egli muore gli sembra di morire con lui: in effetti muore, perché il nuovo Marlow è un’altra persona, non più un bambinone affascinato dalle zone misteriose d’una carta geografica, ma un uomo che sa mentire alla fidanzata del defunto. /P>

In pratica i due racconti narrano la stessa storia di maturazione attraverso un’identificazione con il male; dopo la quale l’uomo è finalmente capace di fare del bene. Due viaggi allegorici, il primo nell’oceano deserto, il secondo a ritroso nel tempo, portando il soggetto a penetrare nelle profondità della propria anima. Il secondo è molto più complesso e divagante: l’alleanza con il male è doppia (i capitalisti occidentali per cui lavora ed il selvaggio bianco in cui s’immedesima), e diversi personaggi minori (il russo, la selvaggia, il timoniere) corredano l’educazione del giovane.

"Youth" (1902)

synopsis forthcoming

"Typhoon" (1903)

La nave a vapore Nom-shan salpa al comando del capitano Mac Whirs per trasportare a casa duecento cinesi; il capitano è un anziano ottuso ed incompetente, e non va d’accordo con il giovane ed impulsivo Sukes: quando il barometro impazzisce, il capitano si legge un libro sui cicloni, ma il suo giudizio è scettico; non dà retta a Sukes che gli propone d’allungare il viaggio per una rotta più sicura.

Quando il ciclone arriva, il capitano rimane inerte ed impassibile in coperta; uno dei marinai si rivolta contro di lui ed è costretto a colpirlo; il nostromo viene ad avvertire che nella stiva s’è scatenata una colossale rissa: a causa degli scrolloni cui la nave è soggetta, alcuni bagagli si sono aperti e ne sono uscite delle monete; nel tentativo di recuperare i propri averi, i cinesi si calpestano l’un l’altro. Il capitano ordina a Sukes di sedare la rissa e Sukes s’avvia controvoglia, pensando che non ha senso preoccuparsi, in una condizione così precaria, della sorte dei cinesi: Sukes ed i marinai impongono, nell’antro buio, la loro autorità, pur tremando perché in netta inferiorità numerica; legatili, raccolgono il denaro.

Quando il ciclone finalmente si placa, il capitano si preoccupa di rendere giustizia a quei poveri uomini, mentre Sukes, sempre cinico, è del parere di tenerli legati finché non siano al sicuro in porto (teme che, appena slegati, insorgano contro di loro); il capitano, invece, li fa slegare e distribuisce tranquillamente il denaro, rimproverando anzi Sukes, che s’è prontamente armato; in effetti non accade nulla ed il capitano può concludere il viaggio affermando: "ci sono cose che non si trovano nei libri."

Parallelamente alla storia del tifone ed a quella dei cinesi, Conrad segue le mogli dei marinai, che, a terra, ricevono notizie mediante lettera: la moglie del capitano s’annoia a leggere quelle del marito, sempre piatte e fredde; le scorre superficialmente, sicché non legge neppure del tifone: in fondo teme soltanto che torni troppo presto, soprattutto adesso che ha un buon ingaggio.

La personalità del capitano, ferma ed umana, e quella della moglie, svagata e cinica, danno il contrasto fra l’uomo che vive sul mare, ogni giorno a contatto con i più materiali istinti umani, e la gente di terra, schiava delle abitudini quotidiane. L’umanità del capitano, contrapposta al cinismo di Sukes (per quanto sia infinitamente più intelligente), è il simbolo positivo del racconto.

"Nostromo" (1904) ++

A Sulaco, una cittadina portuale piuttosto emarginata dai traffici marittimi della repubblica sudamericana di Costaguana, il capitano Joseph Mitchell, responsabile della locale colonia d'una compagnia di navigazione, ha tempo addietro assunto un energumeno genovese, Gian Battista Nostromo, affidandogli, su consiglio del vecchio Giorgio (un altro italiano, proprietario di un albergo), le operazioni di carico e scarico. La colonia inglese e quella italiana vivono in accordo, e, insieme, devono fronteggiare la difficile situazione sociale (un nutrito stuolo di delinquenti) e politica (continui golpe militari). Giorgio è un ex garibaldino: combatté a Montevideo con l'Eroe dei due Mondi e lo seguì nell'Impresa dei Mille; vive con la moglie e due figlie, la quattordicenne Linda e la dodicenne Giselle. Il personaggio più influente della zona è Charles Gould, proprietario della miniera d'argento e marito di doña Emilia; entrambi godono di grossa stima, lei per l'ospitalità della sua casa, lui per il valore dimostrato dagli antenati nel difendere la causa delle province spagnole d'oltremare. Proprio sull'ascendente di Gould sull'aristocrazia spagnola conta sir John, presidente della compagnia ferroviaria, appositamente giunto da Londra per convincere Sulaco ad approvare la convenzione con la ferrovia, alla quale stanno già lavorando gli uomini dell'ingegnere.

Gould deve la sua fortuna alla propria determinazione: aiutato da un capitalista di nome Holroya, seppe fare delle miniera una delle voci salienti dell'economia nazionale; il nipote dell'eloquente don José Avellanos, Bonifacio, è l'agente della miniera, incaricato di trattare coi politici. Gould e la moglie vedevano nella miniera qualcosa di più di un semplice affare: per quella turbolenta regione può fungere da stabilizzatrice e portare a quell'ordine sociale che l'incapace governo dei tiranni non ha saputo creare. Ben presto, infatti, la miniera divenne la principale istituzione del paese, ed il presidente don Vicente Ribiera non è altro che l'emanazione dell'immenso potere acquisito da Gould, e grazie a Gould, che ha organizzato una cerimonia d'inaugurazione presenti Ribiera ed i notabili di Sulaco, sir John ottiene il nulla osta per far passare di lì la sua ferrovia, e cede volentieri alle pressioni dell'amabile Emilia affinché non si debba abbattere l'albergo di Giorgio.

Scoppia la guerra civile, fomentata dai fratelli Montero, che hanno in pugno l'esercito: José Avellanos, che sotto il precedente dittatore patì il carcere e che ora vive solo con la devota figlia Antonia, si schiera dalla parte di Ribiera, che proprio lui aveva d'altronde voluto alla guida del paese per avviare un processo di rinnovamento.

Martin Decoud, un creolo spagnolo allevato a Parigi che si dà arie di boulevardier, accetta di dirigere il giornale dei Ribieristi, ma non tanto per fedeltà alle idee di don José, quanto per amore della bella ed austera Antonia. Decoud è ostile agli speculatori occidentali, che sfruttano le risorse del paese mentre il popolo s'ammazza nella guerra civile, li considera né più né meno dei prosecutori dell'opera dei pirati inglesi di un tempo, e, forte della sua educazione, si rende conto di quanto sia comica quella guerra condotta da un generale come Pablo Ignacio Barrios, che s'è impegnato tutte le uniformi per pagarsi i debiti di gioco, e nella quale padre Corbelan, un missionario vissuto in mezzo ai selvaggi, cerca di riabilitare il temuto bandito Hernandez, divenuto tale per aver subito una flagrante ingiustizia.

Decoud porta ad Emilia Gould la notizia della disfatta di Ribiera e le propone un suo piano, poco idealista ma pratico: separare Sulaco dal resto della nazione e difendersi facendo affidamento sulle truppe di Barrios, sui desperados di Hernandez e sul prestigio di cui Nostromo gode sulle classi inferiori.

Per prima cosa bisogna però mettere in salvo l'argento della miniera, e, a tal fine, Decoud e Nostromo lo caricano su una barca e lo portano al largo; scoprono che a bordo è rimasto un mercante codardo, Hirsch, rifugiatosi sulla barca al primo accenno di disordini. La missione è disperata: Nostromo l'ha accettata per la gloria, Decoud per amore di Antonia. Al buio percepiscono la presenza dei nemici, che vengono a rubare l'argento; Nostromo e Decoud riescono a non farsi sentire, ma il battello urta la loro barca e Hirsch si mette a urlare: aggrappato alla corda dell'ancora, viene tirato a bordo dagli uomini di Sotelo, il traditore che comanda l'operazione, ed interrogato; fortunatamente non credono alla sua confessione, sicché la barca col tesoro continua indisturbata la sua navigazione sino all'isola di Isabel, dove, scaricate le casse, i due eroi si separano: Decoud resta a terra, mentre Nostromo riparte alla volta di Sulaco, ma prima di sbarcare affonda la prova della missione, immaginando che a terra lo attendano le truppe degli insorti.

La prosa narrativa di Nostromo costituisce un'ardita architettura formale: il racconto ha un ritmo lento ed ondulato, imbottito di flashback che risalgono al passato, di modo che la narrazione sembra fluire tanto avanti quanto indietro nel tempo. I personaggi si stagliano sullo sfondo della repubblica sudamericana da operetta: Sulaco ha una fauna umana varia, al centro della quale, nel bene e nel male, si trovano gli uomini responsabili del progresso; per motivi diversi, Decoud e Nostromo ne sono i bracci armati: il crudo e scettico realista e l'incorruttibile fedele e generoso. Le autorità morali sono personaggi che hanno lottato duramente per i propri ideali: Gould (self-made man), Viola (garibaldino) e don José (patriota).

Sotillo sbarca con i suoi uomini e si rende subito conto che Hirsch ha detto la verità; infuriato, fa imprigionare Mitchell e il dottor Monygham; mentre il primo sostiene la parte dell’inglese scandalizzato dall’abuso di potere e rifiuta di collaborare, il dottore finge di fornire informazioni preziose, ma in realtà false, come quella che il tesoro sarebbe stato trafugato da Gould in persona.

I civili sfollano, mentre Hernandez viene nominato generale dai ribeiristi e dà loro rifugio nel suo campo e Gould prova la spiacevole sensazione di non essere più l’unico "re di Sulaco". Monygham, un dottore che è passato sotto i ferri della locale Inquisizione al tempo delle precedenti dittature e per aver ceduto ha perso l’onore di ufficiale, porta a Gould la notizia, diffusa in buona fede da Hirch, che la barca col tesoro è affondata e che i due uomini sono affogati. A guardia della miniera Gould ha lasciato il fido don Pepe, il quale ha a disposizione un arsenale di dinamite per far saltare tutto in caso estremo. /P>

Nostromo si risveglia sulla costa e rientra nottetempo in città, dove tutti lo credono morto. Incontra Monygham, che gli racconta l’avvenuto e gli mostra il cadavere di Hirsch, torturato e ucciso da Sotillo dopo che il dottore lo ha convinto che il tesoro è rimasto a terra; Nostromo nota come il dottore non si senta in colpa per quel disgraziato (che altrimenti sarebbe ancora vivo, essendo tanto pauroso da confessare subito tutto), e al tempo stesso il suo coraggio, perché sta ingannando un sadico come Sotillo che, quando scoprirà il suo gioco, lo farà senz’altro ammazzare. Nostromo è deluso soprattutto dall’ingratitudine dei nobili e dei ricchi: davanti all’occupazione della città la sua azione è passata presto in secondo piano, e la sua stessa presunta morte non è stata pianta come quella d’un eroe; punto nel vivo della sua ingenua vanità, Nostromo si risente verso tutti coloro che hanno sfruttato i suoi sogni di gloria, memore anche degli avvertimenti di Teresa Viola, lasciata in punto di morte poco prima di partire con Decoud, la quale lo metteva in guardia proprio dal farsi troppe illusioni riguardo la riconoscenza delle classi superiori. Comunque Nostromo non rivela al dottore che il tesoro è in salvo, gli lascia credere che sia affondato.

Il dottore sta mettendo in atto un piano ingegnoso, e molto rischioso per lui, che lo espone agli occhi dei compatrioti (visto che mercanteggia con l’invasore), e che è fondato sulla brama di Sotillo per il tesoro, e sulla fretta dello stesso, visto che è ormai arrivato Pedro Montero, il capo della guerriglia. Mentre il dottore convince Sotillo a dragare la riva in cerca del tesoro invece che congiungersi con Montero, affida a Nostromo il disperato incarico di raggiungere le truppe di Barrios e consegnare al generale l’ordine di far ritorno a Sulaco e liberare la città. La buona riuscita del piano dipende perciò dall’acume di Monygham e, nuovamente, dal coraggio e dal valore di Nostromo. Entrambi rischiano la vita per salvare un ceto sociale che li ha sempre tenuti in stato d’inferiorità, l’uno considerato un fallito, l’altro niente più che un manovale. Entrambi vogliono riscattarsi, il primo riconquistando il proprio onore, il secondo guadagnando fama e denaro con i suoi servigi. Quando Sotillo intuisce d’essere stato gabbato e troppo tardi: le armate di Barrios lo travolgono e ripristinano l’ordine.

Nel frattempo Nostromo ne approfitta per passare dall’isola a trovare Decoud, ma trova con sgomento che sono stati rubati quattro lingotti del tesoro e che Decoud non c’è più. In effetti Decoud s’è suicidato dopo essersi impossessato di quattro lingotti, afflitto, nella solitudine, dalla malinconia d’una vita sbagliata, dedita all’intelligenza e alla passione. Pur non riuscendo a capire cos’è successo, Nostromo decide di tenere la verità per sé, e di lasciare che Sulaco continui a credere all’affondamento, e che Antonia pianga Decaud annegato.

L’episodio della guerra civile è una scena collettiva così ben congegnata da sembrare un gioco ad incastro: don Pepe di guardia alla miniera con l’esplosivo, Gould impassibile davanti a Montero, Sotillo ammaliato dal tesoro fantasma, ecc.

Ognuno dà il proprio contributo ad erigere un equilibrio complicato e millimetrico; con le sue due imprese Nostromo funge da forza della natura, che prima mette in scacco gli uomini, costringendoli a quella situazione di stallo, e poi li libera di colpo, spazzando via di colpo con una sola folata i legami che li immobilizzano.

Anni dopo, quando tutto sembra essere finito con Mitchell tornato in patria, Nostromo arricchito e Viola promosso a guardiano del faro dell’isola, un fatto nuovo incuriosisce il dottore ed Emilia Gould: Ramirez e Nostromo, corteggiatori di Giselle e Linda, non possono recarsi al faro dopo il tramonto, per divieto del guardingo ed austero padre; ma Ramirez è furibondo, poiché ha più volte visto Nostromo aggirarsi sull’isola fino a tarda notte.

Nostromo vive nell’ossessione di due cose: la buon’anima della signora Teresa ed il tesoro. Nel nome della prima ha accettato di fidanzarsi con Linda, anche se ama, corrisposto, Giselle. Al secondo ha già sacrificato l’anima della vecchia, che, quando lui partì per l’isola con Decoud, invocava un sacerdote e la vita d’un uomo, appunto Decoud, abbandonato solo sull’isola. Adesso Nostromo brama quel tesoro, che gli servirà per costruire il suo futuro con Giselle; ma lo perseguita il ricordo di quei quattro lingotti mancanti.

La notte però l’anziano Giorgio spara nel buio a qualcuno che s’aggira sull’isola e che crede sia Ramirez; invece è Nostromo, che Giselle crede a sua volta sia venuto per lei; ma Linda ha capito che lui non veniva per nessuna delle due. In punto di morte confessa ad Emilia Gould d’essere stato infatuato dal tesoro, e d’aver serbato rancore per tutti coloro che lo ferirono nell’orgoglio ignorando l’impresa in cui aveva rischiato la vita e che aveva intrapreso dietro le loro suppliche.

Linda piange la fine miserabile della felicità che le era stata preparata fin da bambina dalla madre: lo aveva amato da sempre. Il vecchio invece non connette più, si lascia accompagnare a casa dalla figlia che da anni è la vera guardiana del faro.

Nostromo muore portandosi nella tomba il segreto del tesoro, ed è questa la sua vendetta nei confronti di Sulaco.

Capolavoro tragico nel quale si fondono più motivi, sostenuti da una struttura narrativa complessa.

Gould, l’indefesso costruttore dell’impero minerario di Sulaco (fino a trascurare la moglie); Decoud, scettico e nichilista; Monygham, reietto in lotta per i suoi ideali cavallereschi che una volta ha tradito; Nostromo, vanesio, incorruttibile, tenace, inarrestabile; Sotillo, avido, cieco, perverso; Giorgio, l’eroico garibaldino, ridotto ad un vecchio ipocondriaco ed arteriosclerotico; Linda, innamorata fedele e totale, sono tutti sotto la cappa minacciosa del tesoro, che mieterà le sue vittime lasciando una scia di dolore e disperazione. Pubblico e privato, ideale e morale, si fondono in un motivo unico, lo scopo dell’esistenza, che in forme diverse sospinge uno o l’altro verso la propria meta.

L’intricata tragedia ha per sottofondo uno Stato burla, che questi uomini idealizzano e valorizzano per il fatto stesso di averci passato la vita. Conrad descrive minutamente le storie di questi personaggi, in modo che ognuno ha una personalità ben definita dal proprio passato.

Le antitesi ordine-disordine (costaguenesi ed inglesi), integrità (Gould)-volubilità (Decoud), materialismo-moralismo (la miniera nelle due accezioni d’affare capitalistico e di simbolo del progresso e del benessere), comunità (gli inglesi, gli italiani, i nobili di discendenza spagnola)-solitudine (Nostromo durante le imprese, Decoud sull’isola, Emilia Gould trascurata dal marito, Linda nell’isola del faro).

"The Secret Agent" (1907)

Con questo romanzo Conrad inventa il giallo spionistico, adattando agli avvenimenti politici internazionali il detective novel inventato da Conan Doyle e Collins. Adrel Verloc è un agente segreto al servizio di un’ambasciata straniera a Londra. Il suo capo, Mr. Vladimir, gli ordina di causare un incidente di grande risonanza e gli consiglia di prendere di mira l’astronomia. Verloc conduce un negozio di giornali con la moglie Winnie e mantiene generosamente anche la suocera ed il fratello scemo di Winnie, Steve. Nel negozio si riuniscono gli anarchici terroristi di cui intende servirsi Verloc: il predicatore Michaelis, invasato, l’anziano terrorista Karl Vundt, lo scrittore eversivo Alexander Ossipon. Un giorno in un parco un uomo salta in aria. Ossipon va a chiedere notizie al Professore, un piccolo scienziato dedito morbosamente alla tecnologia degli esplosivi. Il Professore gli rivela d’avere appena fornito un ordigno a Verloc. L’ispettore Heat trova sul luogo dell’esplosione un cappotto con l’indirizzo di Verloc, che conosce assai bene, come tutti gli eversivi; con Verloc ha fatto anzi un patto di non aggressione: Verloc gli fornisce indirizzi utili e Heat fa finta di non sapere che nel suo negozio si vendono anche fogli rivoluzionari. L’ispettore comunica al suo capo, Commissario, di ritenere che ci sia lo zampino di Michaelis, ben sapendo che questi è il protetto di una nobildonna, amica intima della moglie del commissario. Il commissario rimuove Heat dalle indagini e se ne incarica personalmente.
Qualche tempo prima dell’esplosione la madre di Winnie va a vivere per conto suo. Sia lei che la figlia sanno che Verloc si prenderà cura come un padre di Stevie. Verloc propone di mandarlo in villeggiatura da Michaelis, affinché si svaghi e Winnie acconsente di buon grado, felice che Verloc prenda così a cuore la sorte del fratello. Pochi giorni dopo il commissario prima, l’ispettore poi, vengono a trovare Verloc. Winnie ascolta di nascosto la conversazione fra Heat e Verloc e capisce che qualcuno è saltato in aria nel parco, dilaniato dall’esplosione, che Verloc aveva dato la bomba a quel qualcuno, che quel qualcuno aveva indosso il cappotto di Stevie (era stata lei a scrivere l’indirizzo, nel caso si fosse perduto) … che quel qualcuno è Stevie! Di colpo è chiara la fredda insensibilità di Verloc: altro che essere "come un padre" per Stevie. Il commissario è felice che Verloc gli abbia confessate le proprie responsabilità e scagionato Michaelis. Il commissario si propone ora di liberare Londra dalle spie attraverso la risonanza che avrà il processo. Verloc è sinceramente dispiaciuto dell’accaduto: Stevie deve essere inciampato, perché la bomba non doveva esplodere che molto più tardi. Verloc aveva fatto affidamento sulla docilità dell’idiota per fargli compiere l’attentato in sua vece e maledice l’arrogante Vladimir che, trattandolo come uno schiavo, lo ha obbligato a prestarsi per quello stupido attentato, e promette di vendicarsi di lui. Fa anche piani per la moglie, ma lei è ammutolita dall’orrore. Quando si riprende, si rende conto di essere vissuta con quell’uomo soltanto perché lui si prendeva cura di Stevie, ed ora scopre che lui la le ha portato via il suo Stevie, non per una vacanza, ma per ucciderlo. Prende allora un coltello da cucina e trafigge il mostro. Poi fugge in preda al panico e sta per suicidarsi quando la ferma Ossipon, da sempre innamorato di lei, il quale crede che a saltare in aria sia stato Verloc e si presta volentieri ad aiutare la sua amata, finalmente libera. Quando scopre la verità n’è terrorizzato, si sente incastrato. Con uno stratagemma riesce a mettere su un treno per Parigi la pazza, che si è aggrappata istericamente a lui, e dopo averle sottratti tutti i risparmi. Winnie, disperata, si toglie la vitaida gettandosi dal battello che la porta in Francia. Ossipon ne rimane stordito. Il Professore sembra l’unico a trionfare, cinico ed indifferente: una forza della natura il cui unico scopo è distruggere l’odiata umanità; al suo confronto il francescano Michaelis fa una figura assai meschina, quasi da idiota, con le sue teorie umanitarie. A dominare il mondo è il professore. Dal mondo sotterraneo degli intrighi spionistici Conrad ricava un apologo pessimista sul futuro dell’umanità. La struttura narrativa è quella di un carosello: ogni capitolo ha un protagonista diverso ed è dalla sua ottica che Conrad descrive gli eventi. Concisione ed effettismo.
Al tema dell’apologo ne sono sovrapposti altri: - il triangolo Verloc-Winnie-Stevie; - la personalità di Winnie, vittima della sua situazione famigliare e dell’egoismo generale; - la malvagità e la stupidità dei rivoluzionari (dostoevskiani); - il dualismo Heat/Commissario: il potere non è meno infido dei rivoluzionari.

"Under Western Eyes" (1911)

Razumov, un giovane studente ambizioso e solo al mondo, si spaventa quando l’amico Haldin, un radicale, si nasconde a casa sua dopo aver ucciso con una bomba uno spietato tiranno. Razumov lo denuncia ad un principe, che passa l’informazione alla polizia: Haldin è giustiziato; Razumov è sospettato dai poliziotti e rispettato dai rivoluzionari che, ignari del tradimento, vedono in lui l’estremo amico del martire, decide di accettare un incarico dalle autorità e trasferirsi a Ginevra, dove vivono la madre e la sorella di Haldin, in particolare quest’ultima, Nathalie, e dove Razumov è introdotto dall’influente Peter Ivanovic nei salotti degli espatriati come una personalità di rilievo. Razumov è in realtà tormentato da dubbi e rimorsi. Intorno a lui si muovono esseri abbietti o fanatici. Razumov è un traditore ed una spia, ma è accolto come un eroe da Nathalie. Razonov se ne innamora, ma i suoi nervi cedono e quasi le confessa la verità, ormai incapace di connettere, causando altro dolore alla ragazza e a sua madre, già impazzita per la morte del figlio. Ad una riunione dei rivoluzionari Razonov confessa il suo crimine: uno di loro gli rompe i timpani e lo rende sordo.

"The Secret Sharer" (1912)

Il giovane capitano d’una nave che sta seguendo una rotta tropicale (Indonesia-Cambogia) e che è ferma ad un’isola per mancanza di vento, si offre di sostituire i suoi uomini nell’opera di vedetta, in modo che essi possano riposare un po’. Mentre passeggia da solo scopre che un uomo sta per salire a bordo: si chiama Leggart ed è fuggito a nuoto dalla nave ancorata poco distante in attesa dell’alta marea; racconta d’essere stato il secondo di bordo finché, durante una tempesta di vento, ha strangolato un marinaio in una lite. Il capitano è sorpreso dalla somiglianza, che s’estende perfino ai dati anagrafici, e, una volta fornitagli una sua divisa, lo ospita nella propria cabina. Siccome per la ciurma il capitano è un perfetto estraneo, nessuno riuscirebbe a distinguerlo dal suo sosia. Il capitano decide di tenere nascosta ai suoi uomini la presenza del fuggiasco e non lo consegna al capitano dell’altra nave quando questi viene a compiere le sue ricerche. Con il ritorno del vento la nave si rimette in viaggio, ed il capitano vive momenti terribili, nell’ansia che l’ospite (nascosto nel bagno) venga scoperto dallo steward o faccia qualche rumore rivelatore. Il fuggiasco decide di gettarsi a nuoto appena la nave lambirà una delle isole disabitate della Cocincina e, per aiutarlo anche in quest’impresa, il capitano fa compiere alla nave una pericolosa manovra d’avvicinamento alla costa; favorita la fuga del sosia e sostenuta l’ostilità dei marinai, che, ovviamente, non hanno capito la necessità d’arrischiare la nave in quel modo, il giovane riesce ad uscire e a riprendere il largo: adesso si sente veramente comandante della nave, e non più estraneo ad essa.

"Victory" (1915)

synopsis forthcoming

"The Shadow Line" (1917)

Un giovane marinaio decide d’abbandonare improvvisamente la nave su cui è imbarcato e d’aspettare nel più vicino porto della Malesia una nave che lo riporti a casa; sceso a terra, si reca alla Casa degli Ufficiali e dei Marinai per affittare una camera. Nello stesso ostello sono ospiti il marinaio Hamilton ed il capitano Gells: Hamilton è pieno di debiti, ed il viscido steward che dirige l’ostello non vede l’ora di liberasene, ma Hamilton non trova più imbarchi; quando apprende che il ragazzo s’è appena dimesso, corre all’ufficio portuale a proporsi come sostituto, ma non verrà assunto, e sfogherà la sua delusione sparlando del ragazzo con lo steward.

Gells è un vecchio lupo di mare che si mette a parlare in modo sibillino; quando lo steward riceve una carta dall’Ufficio Portuale e subito la nasconde, è Gells a spingerlo a farsi dire il contenuto della missiva: messo alle strette, lo steward rivela che si tratta di un’offerta di lavoro e Gells spiega che, probabilmente, lo steward voleva farlo sapere in esclusiva a Hamilton per sbarazzarsi di lui; invece, dietro lo strano incoraggiamento di Gells, il ragazzo decide di presentarsi per quel posto.

All’ufficio portuale scopre che stavano cercando proprio lui: il lavoro consiste nel prendere il comando d’una nave ancorata a Bangkok dopo la morte del precedente capitano, e dalle referenze è già risultato che la persona più adatta è lui.

Sempre sotto l’influsso dei discorsi di Gells, il ragazzo accetta, rimandando i suoi propositi di rinuncia (è il suo primo incarico). Una nave gli dà un passaggio fino a Bangkok; salito a bordo della sua nuova nave fa la conoscenza del secondo, Burns, un pover’uomo che ha assistito il suo predecessore negli ultimi momenti, e lo steward, Ransome, vivace e premuroso, ma malato di cuore. Dall’umore di Burns il ragazzo capisce la sua cocente delusione: sperava che il comando venisse affidato a lui, ed aveva cercato, a bella posta, il porto più fuori mano.

Durante il periodo di preparazione al viaggio, il giovane neocapitano fa la conoscenza dell’umano e comprensivo dottor Kennedy; Burns cade malato e, smesso il grugno ostile, lo supplica di non abbandonarlo a terra, poiché ha moglie ed un figlio da mantenere. Il giovane è indeciso, ma Kennedy lo consiglia d’accondiscendere, poiché avrà bisogno dei consigli di qualche anziano. Burns viene così imbarcato all’ultimo momento, anche se nel delirio parla spesso del vecchio capitano, della sua mania di suonare il violino alle ore più impossibili e dei suoi amori per i quali faceva ritardare le partenze di giorni, se non di settimane: quell’uomo morì in un eccesso d’odio per il mondo, scagliando fuori bordo il suo violino e maledicendo la ciurma, ed ora quella maledizione assilla Burns.

Il giovane non gli dà peso, ma per giorni e giorni la nave rimane prigioniera del golfo, senza un alito di vento che la sospinga in alto mare, ed il caldo torrido e stagnante favorisce il diffondersi della febbre. Uno dopo l’altro tutti gli uomini cadono ammalati, salvo il capitano e lo steward; Burns continua a farneticare sulla maledizione del morto, che è stato sepolto in mare proprio in quelle acque; come se non bastasse, il capitano fa un giorno la drammatica scoperta che sulla nave non c’è più chinino: evidentemente il vecchio capitano vendette l’intera scorta per pagarsi i suoi svaghi a terra, riempiendo d’altro le boccette.

Quando il giovane, che si sente in colpa anche per non aver controllato di persona alla partenza, comincia ad immaginare la nave alla deriva con l’intero equipaggio morto, una pioggia liberatrice rimette in moto la nave; persino Burns, salito in coperta, si sta lentamente rimettendo, ma continua a ripetere che la loro è una lotta contro lo spirito malvagio. La vicenda finisce comunque bene, la nave giunge nel porto malese da cui il giovane partì ed i medici provvedono a curare i marinai.

Il giovane incontra il capitano Gells e gli confessa di sentirsi invecchiato.

S’incrociano due temi: uno, quello conradiano per eccellenza, cioè l’iniziazione alla vita d’un giovane ("Youth", "Secret sharer"), l’altro collridgiano. "Shadow line" ripercorre infatti i simboli dell’ancien mariner: lo spirito polare (il capitano morto) che strega la navigazione, la pioggia liberatrice, la ciurma di scheletri ed il completamento del viaggio senza braccia abili.

"Karain" (1898)

Tre inglesi (Conrad, Hollis e Jackson) prestano servizio in Malesia e nelle Filippine vendendo armi ai nativi, e vengono a contatto con Karain, un pittoresco personaggio che fu esiliato dal villaggio natale per motivi misteriosi, e che si fa sempre accompagnare da un vecchio. Un giorno il vecchio muore e Karain scompare dalla circolazione; quando stanno per salpare, i tre inglesi se lo vedono arrivare a bordo: con aria terrorizzata li implora di portarlo via con loro e racconta la storia della sua vita.

Nel villaggio natale viveva un capo di nome Matara, di cui Karain era molto amico; un giorno giunse un mercante tedesco e, poco tempo dopo, la sorella di Matara fuggì di casa per andare a stare con il tedesco; Matara li condannò a morte, ma il fratello di Karain trattenne saggiamente la sua ira per non provocare sanguinose reazioni da parte delle navi tedesche attraccate nei pressi.

Quando i due amanti lasciarono quella regione, Matara decise di seguirli per compiere la propria vendetta, e Karain si offrì d’accompagnarlo; dopo un lungo ed avventuroso viaggio, ed una ricerca durata mesi, raggiunsero i fuggiaschi, ma, in tutto quel tempo, Karain era stato allietato dalla visione consolatrice della fanciulla, e, durante una di quelle apparizioni, le aveva promesso che non sarebbe stata uccisa; così, quando Matara si lancia per colpirla e lavare l’onta del disonore, invece di sparare al tedesco Karain fulmina l’amico.

Ecco il perché dell’esilio: da quel giorno Karain è tormentato dallo spettro di Matara; il vecchio lo proteggeva grazie a qualche potere soprannaturale, ma dopo la sua morte Karain si sente indifeso, è un bambino che ha paura. Allora Hollis escogita uno stratagemma: dona al feroce malese una moneta con l’effigie della regina d’Inghilterra spacciandola per un potente talismano; anni dopo i giornali riporteranno le gesta dell’indomabile ribelle.

È il leitmotiv di "Lord Jim": un uomo condannato dalla propria coscienza ad espiare il tradimento per tutta la vita; un solo istante può influenzare tutta l’esistenza d’un uomo.

Qui Conrad accoppia allo studio sul senso del rimorso il motivo della donna che compare in sogno.

"The Lagoon" (1897)

Variante del leitmotiv di "Lord Jim" e "Karain": Arat vive nel profondo d’una laguna, dove nessuno ha il coraggio d’avventurarsi, a causa d’antiche storie di fantasmi; quando due uomini gli chiedono asilo, egli mostra loro la moglie Diamelen morente e, piangendo, racconta la propria storia: fuggì dal villaggio malese in cui era nato rapendo, con l’aiuto del fratello, la bella Diamelen; braccati dagli uomini del villaggio, i tre continuarono la fuga finché il fratello decise di fermarsi ad ostacolare gli inseguitori; Arat non ebbe però il coraggio di fermarsi ad aspettarlo, nonostante egli lo chiamasse tre volte: Arat l’abbandonò nelle mani dei nemici e se ne andò con l’amata. Visse il resto della sua vita nella laguna, tormentato dal rimorso, ed ora accoglie la morte della moglie come una condanna divina.

Arsat è divorato dal rimorso: lui e il fratello andarono a rapire la sua amata, ma, scoperti, furono inseguiti fino alla canoa; Arsat preferì mettere in salvo la sua preda piuttosto che aiutare il fratello, il quale, sopraffatto dagli inseguitori, fu ucciso. Arsat si stabilì con la moglie in una capanna, lontano da tutti. Ma adesso la donna sta morendo, divorata dalla febbre.

"An Outpost of Progress" (1896)

L’avamposto del progresso è una remota e sperduta stazione commerciale della Sierra Leone, dove vengono insediati due nuovi agenti, Kayerts e Carlier, accolti dal negro Makola, che ha già assistito il loro predecessore. Il direttore della Compagnia finge d’avere una grande fiducia in loro, e li commuove con un patetico discorso d’arrivederci: in realtà li ritiene due incapaci.

La dura vita sul fiume, in mezzo alla foresta, circondati da indigeni dal fare ambiguo, li deteriora fisicamente e mentalmente, finché un giorno, alla vigilia di un’ispezione del direttore, Makola baratta un grosso carico d’avorio con il gruppo di negri che lavora per loro, lasciando che un branco di guerrieri del sud se li porti via come schiavi: pur inorridendo all’idea, i due europei finiscono con l’adattarvisi, essendo quell’avorio indispensabile per non sfigurare agli occhi del direttore; i giorni, però, passano senza che compaia il battello della Compagnia, e i due si rodono in un’attesa sfibrante.

Un giorno, per dello zucchero, scoppia un futile diverbio fra di loro, e Kayerts deve correre attorno alla casa braccato dal suo assistente, finché i due si scontrano e lui, terrorizzato, preme il grilletto della rivoltella: Carlier stramazza al suolo, e così Kayerts può vedere che era disarmato; lui e Makola convengono nel raccontare che è morto di febbri malariche, ma quando il battello finalmente arriva, il direttore trova Kayerts impiccato.

Agghiacciante la scena dell’inseguimento attorno alla casa.

"Youth" (1898)

Marlow racconta una sua avventura giovanile, un passaggio su una nave maledetta, la Judea, che, dovendo trasportare del carbone da Londra a Bangkok, salpa diverse volte al comando dell’anziano neocapitano Beard, ma ogni volta deve rientrare in porto per qualche riparazione; la pessima fama della nave tiene lontano i marinai (anche i topi l’abbandonano), ma alla fine l’armatore riesce a reclutare la ciurma. La nave arranca fin quasi alla meta, ma, per colmo di sfortuna, il carico prende fuoco ed una forte esplosione smembra la carcassa: questa volta Beard deve abbandonare la nave e procedere su tre barche, nel tentativo di portare a destinazione almeno le suppellettili della nave. Una delle imbarcazioni è affidata all’esuberante Marlow, allora ventenne, che è anche il primo a raggiungere la meta, e per lui è il trionfo.

"Amy Foster" (1901)

Il dottor Kennedy racconta al narratore la storia di Amy Foster, una abitante del suo villaggio: messa a servizio dagli Smith per procurare ai suoi un po’ di denaro che allievi le loro condizioni indigenti, si distingue subito per la delicatezza d’animo, che la fa intristire perfino per la sorte dei topi in trappola.

Quando un forestiero (un europeo meridionale) di nome Yanko viene accolto nel villaggio non può che impietosirsi al cospetto delle sue sventure: partito su una nave d’emigranti alla volta dell’America con i soldi faticosamente racimolati dai suoi, è stato scagliato sulla spiaggia durante il naufragio della stessa; la gente del posto l’accoglie freddamente, come un selvaggio: la totale ignoranza della lingua e dei costumi gli aliena le simpatie di tutti, per quanto lavori come ogni altro essere del villaggio e non molesti nessuno.

Quando, accortosi d’essere entrato nelle grazie di Amy, decide di chiederla in moglie, gli inglesi si scandalizzano, ma Amy acconsente e le nozze si celebrano. Nasce un bimbo e le cose sembrano andare per il verso giusto, ma Amy comincia pian piano a temere le frasi che il marito pronuncia nella lingua materna in presenza del figlio: la terrorizza, non capisce cosa dice ed intuisce che deve trattarsi di qualcosa di sconveniente, visto che lui è stato educato ad un’altra religione. Quando cade malato lei lo assiste con devozione e timore; un giorno, sfibrato dalla febbre, lui le chiede da bere nella sua lingua: lei non capisce e allora lui, sempre nella sua lingua, si mette ad urlare; immaginando che lui stia proferendo terribili minacce, fugge dagli Smith con il bambino, e Yanko muore solo come un cane, vittima della sua solitudine.


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