Percy Shelley



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Percy Shelley (Britain, 1792)

"Hymn to Intellectual Beauty" (1816) [p]

synopsis forthcoming

"Mont Blanc" (1816) [p]

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"Laon and Cythna" (1817) [p]

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"To a Skylark" (1820) [p]

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"To the West Wind" (1819) [p]

Il frasario di Shelley abbonda di similitudini (le foglie morte portate dall'invisibile vento occidentale, simili a spiriti ammaliati da un mago, oppure a moltitudini colpite dalla peste i semi che giacciono come cadaveri nelle proprie tombe) e di personalizzazione della natura: la primavera è la sorella azzurra del vento, che suona il clarino sulla terra sognante e riempie di colori ed odori sia la pianura sia la collina; oltre che selvaggio, il vento è distruttore (in quanto furia inarrestabile) e salvatore (in quanto garante dei cicli naturali), è la forza attiva che sparge nuvole e temporali, colui che sveglia il mare dai suoi sogni estivi e getta l'oceano nei propri abissi, la voce che incute timore al mondo marino come al mondo terrestre, il canto funebre dell'uomo morente, e, soprattutto, è il viaggiatore del cosmo, l'impavido avventuriero che percorre il cielo.

Similitudini e personalizzazioni si condensano quando l'oggetto della descrizione è cosmico: il caotico movimento delle nubi (foglie cadute dal paradiso, messaggere di pioggia e fulmini; riccioli splendenti d'una fiera Menade, cioè del temporale che si approssima; volta del sepolcro nel quale verrà sepolto l'anno morente; atmosfera che esploderà in pioggia, fuoco e grandine); infine appoggiano la propria persona, il tumulto dell'io disperatamente titanico: se fossi una foglia morta tu mi porteresti con te, se fossi una nuvola volerei con te, se potessi essere il comandante dei tuoi viaggi in paradiso, fai di me la tua lira, come se fossi una foresta.

Al termine, abbandonata l'enfasi poetica, esplode l'enfasi umana, che sottintende i preamboli, e passa dal tono disperato al piglio rivoluzionario, una voce tra gli uomini: conduci i miei pensieri nell'universo, e spargi, come da un focolare mai spento, le scintille e le braci, sii tra le mie labbra una tromba profetica per la terra che dorme; e conclude con una frase simbolica, una domanda che si risponde da sé: o vento, quando arriva l'inverno, può la primavera essere ancora molto distante?

Al canto disperato si sostituisce, quindi, una profezia di rivoluzione.

La prima parte della poesia descrive il vento come autore del passaggio di stagione, quindi fattore negativo, mentre nella seconda parte dapprima ne invoca l'aiuto esaltandone la potenza, poi lo chiama a testimone dell'ineluttabile prossimo futuro; in definitiva il vento pare più il tempo, benché Shelley, mentalità irrazionale, preferisca il primo, selvaggio e spaventoso, al secondo, impercettibile e meccanico: il tempi porta brutti giorni e bei giorni, dice Shelley, come il vento deve agire periodicamente, alternandoli uno dopo l'altro; tracciata una similitudine tra vento e tempo, egli pensa di poterla estendere all'uomo ed alla sua storia: il vento è protagonista dei mutamenti della natura, il tempo dell'uomo, e Shelley chiede di poter essere come il vento, per mutare il corso della Storia.

"The Cloud" (1820) [p]

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"Adonais" (1821) [p]

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"Prometheus Unbound" (1821) [p] +

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"The Cenci" (1819) [t]

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